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Ore diciannove e quaranta, un ordinario fine giornata a Reggio Emilia: le luci degli uffici e dei negozi spente, pochissime persone in giro. Una tranquillità che avvolgeva anche il palazzo della Questura: erano rimasti solo i poliziotti che avrebbero affrontato il turno di notte. Un telefono, però, arrivò a turbare il silenzio del centralino.
"Pronto, Questura."
"Devo denunziare un furto."
"Mi dica."
"Ho comprato cinquanta euro di droga, ho pagato con PayPal, ma il pusher non ha consegnato, chill’omm ‘e merd!"
Giovanni Furino, quarantacinque anni, in Polizia da venti, non sapeva se ridere o piangere.
"Ma le pare un motivo per chiamarci?" E mise giù la cornetta.
Trenta secondi dopo, ancora il telefono.
"Sono ancora Giuseppe Esposito. Devo denunziare un furto."
Furino si accarezzò la pelata, soffiò, e passò la telefonata a chi di dovere. Due agenti uscirono, a piedi, su via Dante. All’incrocio con via Roma li attendeva Esposito: nonostante la temperatura sfiorasse lo zero, era vestito solo di un piumino leggero, sbottonato, sopra una jersey del Napoli calcio.
Ore diciannove e quaranta, un ordinario fine giornata a Reggio Emilia: le luci degli uffici e dei negozi spente, pochissime persone in giro. Una tranquillità che avvolgeva anche il palazzo della Questura: erano rimasti solo i poliziotti che avrebbero affrontato il turno di notte. Un telefono, però, arrivò a turbare il silenzio del centralino.
"Pronto, Questura."
"Devo denunziare un furto."
"Mi dica."
"Ho comprato cinquanta euro di droga, ho pagato con PayPal, ma il pusher non ha consegnato, chill’omm ‘e merd!"
Giovanni Furino, quarantacinque anni, in Polizia da venti, non sapeva se ridere o piangere.
"Ma le pare un motivo per chiamarci?" E mise giù la cornetta.
Trenta secondi dopo, ancora il telefono.
"Sono ancora Giuseppe Esposito. Devo denunziare un furto."
Furino si accarezzò la pelata, soffiò, e passò la telefonata a chi di dovere. Due agenti uscirono, a piedi, su via Dante. All’incrocio con via Roma li attendeva Esposito: nonostante la temperatura sfiorasse lo zero, era vestito solo di un piumino leggero, sbottonato, sopra una jersey del Napoli calcio.
“Sono Esposito. Mi hanno fregato.” Anche a un metro di distanza, il suo alito sapeva di vino da quattro soldi.
“Che è successo?”
L’uomo riassunse la faccenda: la richiesta della marijuana, il pagamento via PayPal, la mancata consegna.
“Sarò sincero” parlò uno dei due poliziotti “non deve rivolgersi a noi per queste cose. È già tanto se non le facciamo passare la notte in prigione. Se ne vada.”
Tornarono in Questura, lasciando Esposito in mezzo alla strada.
Non passarono nemmeno cinque minuti. Furino era assorbito da un cruciverba particolarmente difficile, ma dovette interrompersi. Ancora una telefonata.
“Pronto, Questura.”
“Sono Esposito. Devo denunziare una truffa.”
Furino sferrò un pugno al tavolo di legno.
“Ancora lei? La smetta!” e gli chiuse in faccia il telefono.
Ma l’uomo doveva essere un nostalgico del fascismo e, sveglio come tutti i seguaci del suddetto, aveva preso alla lettera il motto “boia chi molla”. E lui non mollava: una, dieci, diciotto telefonate. Finchè Spataro e Poli, gli agenti che lo avevano incontrato in strada, persero la pazienza. Uscirono e raggiunsero il civico 62 di via Roma, un piccolo condominio dove si trovava il domicilio di Giuseppe Esposito. Salirono al secondo piano, dove trovarono aperta la porta dell’appartamento. Esposito era davanti a loro, in poltrona, la maglia del Napoli tirata sul ventre prominente. Strano a dirsi, stava urlando al telefono, stavolta con i Carabinieri. Poli gli si affiancò, gli strappò il telefono di mano e chiuse la chiamata.
“Che fate? Mi portate dal pusher a prendere la mia roba?”
“Certo, come no. La denunciamo per interruzione di pubblico servizio e le regaliamo un soggiorno in Questura. Esposito, lei è un uomo fortunato!”