Ciao Autore.
Certe volte mi sorprendo di come parole che sono usate con sapienza al posto giusto possano invece risultare ambigue o creare fraintendimenti in chi le legge; se, da un lato, è un po’ il bello della scrittura (che ognuno la può rendere propria in base alla propria sensibilità), dall’altro credo sia svilente per chi scrive vedere le proprie opere prendere direzioni ambigue, inaspettate e lontanissime da quello che vogliamo dire.
Ora, l’inizio del tuo racconto ci fa capire che abbiamo davanti una persona parecchio depressa, ma non per moda o modo di dire, ma depressa sul serio, da diagnosi di CSM per intenderci (che chiaramente non ha ricevuto perché figuriamoci se lo stigma sociale di farsi chiamare “pazzo” non vince sull’esigenza di farsi aiutare). Il bagno è anche allegoria di qualcosa che è chiaro appannaggio dei ricchi (vogliamo dire benestanti per non offendere nessuno?), perché ci vogliono litri e litri d’acqua calda per riempire una vasca anche piccola, che poi vanno pagati nelle bollette sia dell’acqua sia della luce. Quindi la tua riga iniziale è fondamentale per farci comprendere il tuo protagonista.
L’immagine del “come fosse a teatro” è predittiva di dove andrà a sfociare il suo malessere. Non per forza nel suicidio, ma sicuramente ha compromesso le sue normali attività quotidiane; e, come nei migliori lavori pirandelliano, il tuo protagonista assume una maschera per sorridere tutti i giorni con i parenti, che lo ritengono perfettamente “normale” e in grado di affrontare il suo malessere con qualche gesto scaramantico, e nessuno si accorge che lui viva perennemente su un palcoscenico.
La scena finale può essere fraintesa solo se lui ha trovato lavoro. Un finale lieto, positivo, in cui finalmente inizia una nuova vita. Senonché tu non ci racconti che ha trovato un nuovo lavoro, ma il trentaseiesimo rifiuto, che probabilmente per te è un numero importante: non voglio neanche ipotizzare perché, poiché sarebbe straziante supporre che qualcuno che conosci si sia suicidato a quell’età. Ma in cento parole non si scelgono parole a cazzo, e se hai optato per scrivere trentaseiesimo un motivo c’è, e anche importante.
E così, chiaramente con premeditazione poiché il verbo che scrivi è “decise”, si immerge nella vasca dove finalmente cancella tutte le umiliazioni subite tagliandosi le vene e immergendole nell’acqua in modo da dissanguarsi più velocemente. E l’acqua cambia colore per il sangue, non per lo sporco, perché lo hai scritto chiaramente che lui si lava: fa le docce. Veloci, per non consumare troppo. Ma si lava. E ai colloqui si presenta ordinato.
E, detto questo, smetto di analizzare il tuo racconto perché basterebbe prendersi trenta secondi in più per leggere per capire che hai scritto un capolavoro in cui ogni parola è al suo posto.
Ma mi resta un profondo rammarico per come si possa passare da un racconto all’altro con una velocità disarmante senza neanche capire che cosa si stia leggendo.