Quietam Usque Ad Finem

Un mini che descrive una bella scena e dalla quale emerge con forza il carattere deciso del protagonista. Mi fa strano che in molti ci hanno visto un racconto d'altri tempi: è così inusuale schiacciare un pisolino su una sedia a dondolo sotto una pergola?
Per chi ha la fortuna di stare in campagna la pennichella dopo pranzo è quasi obbligatoria a quell'età.
Alcune frasi hanno una costruzione poco convincente: quel tomo, per esempio, appare all'improvviso e sembra scollegato al resto della frase, come l'indicazione il segnalibro.
Il protagonista sembra un uomo dai molteplici interessi e che coltiva passioni, peccato che la figlia, distratta dalla preoccupazione per lui, non riesca a cogliere questa sfumatura del padre.

C'è tanta malinconia in questo 100, a dispetto della quiete bucolica nella quale è immerso: penso sia colpa del titolo, perché quella fine, che tanto arriva prima o poi per tutti, ha comunque il grandissimo potere di renderci amari e cupi.
E ci mancherebbe.
L'idea dietro la breve storia non mi dispiace affatto, è una visione quantomeno diversa dalla classica sberluccicanza di sentimenti e persone che si vogliono bene: questo anziano che preferisce stare coi propri ricordi piuttosto che col resto della famiglia è molto più reale, concreto e sincero.

Sarò onesto fino in fondo, però: non mi entusiasma la forma, troppo ricercata in diversi passaggi, un po' arrotata su se stessa, fa perdere qualcosa in termini di intensità per quello che è il mio gusto personale.

Dimenticavo: demodé richiede una E sola, a meno di stare citando una frase in francese, nel quale la seconda E ci va solo in riferimento a termini femminili.

Dimenticavo 2: quella richiesta finale, la chitarra, inizialmente non mi aveva fatto pensare a una malattia di quelle associate alla vecchiaia, poi dai commenti il dubbio mi è venuto.
Non credo che sia così, ma se non c'entrano le malattie, mi stupisce un po' che un uomo che vive dei suoi ricordi non sappia dove ha messo un oggetto per lui così importante.

Ciao Amici e colleghe Penne. Sono finito settimo. È già un ottimo obiettivo. In questo contesto, in queste kermesse, so che è il "massimo" a cui posso giungere. Ho uno stile da affinare ma che tende alla ricerca della bellezza della scrittura, coniugata con la fruibilità. Ancora non ci riesco a coniugarle. So che voglio perseguire un'estica della scrittura, disposto a piacere a pochi. Il buon Tommy (che poi mi ha votato) mi ha considerato inizialmente presuntuoso e "falso". Non sono, almeno lo penso, falso. Cerco una strada, una formula, senza rinunciare a "chi sono e cosa voglio quando leggo e quando scrivo". Non amo le sdolcinature (anche se funzionano), cerco lo "spacco". Anche chi ha vinto stavolta ha scelto lo spacco e lo ammiro. Nel mio racconto, che guarda anche al mio vissuto, ho voluto spaccare. Sono un nonno affezionatissimo a un nipote meraviglioso. Ci sto rispettosamente distante. Scrivo, ascolto musica, quando richiesto "giungo", non mi sento in competizione con altri nonni più ansiosamente presenti. Questo racconto"100" mi racconta. Ci sono e non ci sono. Se occorre ci sono. Voglio bene alla mia famiglia. Voglio bene a me.