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Come nome comanda (differentales.org)Come acqua che scorre
Le mani indurite alzano e abbassano la zappa con colpi pesanti. Le zolle aride si spaccano a fatica.
L’uomo si ferma solo quando i due gli sono di fronte. Li ha visti arrivare da lontano, scendere dalle colline brulle. Ha visto anche il bambino con loro, una corda al collo e le mani legate.
Hanno parole brusche, non chiedono per favore. Ce l’ha, l’uomo, un posto dove rinchiudere il bambino?
Gli basta un’occhiata. Questi sono predatori. L’uomo china la testa. Sì, ha un posto che si chiude con il chiavistello. Ci teneva gli animali, ma ora di animali non ne ha più, da un mucchio di tempo.
– Tienilo sotto chiave fino al nostro ritorno. Se scappa, ci rimetti la vita.
– Dovrà mangiare, – si azzarda l’uomo – il mangiare costa.
– Poco. Basta che rimanga vivo. Ma avrai una moneta.
Strattonano il bambino che, al momento di essere rinchiuso nello stalletto buio, tenta di divincolarsi. Urla qualcosa in una lingua straniera, mentre il chiavistello viene serrato, poi tace.
Quando i due si allontanano, l’uomo riprende il lavoro. Alza e cala la zappa con gesti automatici, così la mente è libera di vagare seguendo nuovi pensieri.
Il bambino ha la pelle di un colore diverso, è brutto e puzza. Figlio di gente straniera e nemica. Ogni tanto se ne prende qualcuno, qui, non troppo lontano dal confine. Anche adesso sono andati a cercarne qualcun altro.
Lo venderanno, lo fanno sempre.
Potrebbe venderlo lui. Guadagnerebbe molto più di una moneta. Potrebbe inventare una storia. Che qualcuno se l’è preso, che è fuggito.
No, non gli crederebbero. Troppi rischi. Una moneta è sicura, meglio accontentarsi.
Al calare del buio, un canto si alza dallo stalletto. L’uomo sferra un calcio alla porta. La voce tace. Nel silenzio l’uomo mangia, nel silenzio va a dormire.
Si sveglia d’improvviso. Il bambino canta nella notte. Un canto strano, parole in una lingua incomprensibile, ma la melodia fluisce fino a lui. Le note scivolano nel buio, quasi acqua che scorre. La voce modella lo spazio, modella il silenzio, muove il cuore.
Anche suo figlio sapeva farlo. L’uomo no, non ne era mai stato capace, ma ammutoliva stupito nell’ascoltare suo figlio, come facevano gli altri sulle piazze, nelle vie, e a volte non si capacitava di come da quella terra dura, da quelle mani pesanti, avessero potuto scaturire quel sorriso e quella voce.
Era un cantastorie. Non doveva andare in guerra, non era il suo mestiere, ma un giorno glielo avevano portato via, e non era più tornato.
Avevano raccontato, a lui e a sua moglie, come era successo. Sua moglie era morta pochi mesi dopo. Per non morire anche lui, aveva dimenticato.
Non è morto. Si alza, lavora, mangia, dorme. Così ogni giorno. Senza pensare, senza ieri. Senza domani.
L’uomo rimane a letto, non va a colpire la porta dello stalletto.
Anche il giorno dopo, mentre lavora, a tratti sente il bambino cantare. Potrei comprarlo io, si sorprende a pensare, ma sa di non avere abbastanza.
Qualcosa lo ferma all’improvviso. Lascia la zappa, si china sul secchio e raccoglie l’acqua con le mani. Chiude gli occhi e si sciacqua la faccia. Forse ricorda male. Le parole sono diverse, in quella lingua che non conosce. Forse se lo immagina soltanto, che la melodia sia la stessa.
Le domande sono talmente tante da non riuscire nemmeno a distinguerle. Poi, d’un tratto, non hanno più importanza. L’uomo entra in casa, prepara un fagotto di cibo, disserra il catenaccio dello stalletto.
Non è facile, non si capiscono. Deve convincerlo a non scappare subito. Deve obbligarlo a guardare la mappa che disegna nella polvere, ma infine il bambino comprende. Lo contempla stupito per un istante, poi annuisce. Prende il fagotto che l’uomo gli porge e scompare veloce.
Ogni ora che passa è un’ora guadagnata. Per fortuna, solo dopo un altro giorno l’uomo vede i due tornare. Calpestano il terreno con passi stanchi e frustrati. Non portano nessuno con loro.
Non lo guardano nemmeno in faccia, quando gli passano davanti. Calciano il chiavistello e sbattono la porta, per aprirla. Urlano un ordine, ma nessuno esce. Urlano di nuovo, entrano.
L’uomo continua a zappare. Ignora il trambusto, i passi che gli si avvicinano pesanti alle spalle. Sente lo schianto in testa, e crolla sulle ginocchia. Gocce calde bagnano la pelle screpolata delle mani.
Un nuovo colpo, e l’uomo finisce a terra. Un fiume di sangue gli passa davanti agli occhi.
Ma no, pensa prima del buio, non è più sangue. È acqua. È solo acqua che bagna la terra.