Polifemo morì per una lettura sbagliata
Polifemo morì per una poesia sbagliata, almeno così narrano antiche vicende.
Avendo egli letto con due occhi una missiva di Vulcano, gli pigliò un coccolone credendo che uno gli fosse spuntato dal nulla.
Egli, disorientato dalla novità corporea, consultò molti specialisti ma tutti gli diagnosticarono un’allucinazione mentale sulla quale sarebbe stato meglio chiudere un occhio.
Polifemo, disorientato e scoraggiato, in un atto estremo si scolò tutte le botti di vinello che aveva in cantina e, dopo aver fatto un rutto colossale a stomaco cavernicolo, si sdraiò in terra per riposare.
In quel preciso istante, a causa delle violente vibrazioni causate dal rigurgito polifemico, le rocce della montagna franarono e la sua grotta collassò nei gorgheggi degli inferi profondissimi.
Persino Vulcano sentì la scossa tellurica ed esclamò: “minchia che botta!”.
Una commissione d’inchiesta sull’accaduto, istituita da Giove, acclarò i fatti rapidamente ed emise un semplice e laconico comunicato: “pace all’anima sua”.
Ulisse, commosso per la perdita del vecchio amico, organizzò una cerimonia a suffragio con una sfilata di pecore e maiali rosa forniti dalla comune amica Circe.
Ma gli attivisti di Green Pork intentarono una causa inoltrando alla magistratura una denuncia per abusi sui porci.
Il comune di Troia, dove s’era svolta la famigerata sfilata, si costituì parte civile e il sindaco emise un decreto di espulsione per Ulisse e una diffida a Circe, con divieto di avvicinarsi alla città.
L’avvocato dei due, un certo Agamennone, fece a sua volta una contro denuncia alla Corte Europea
dei diritti dei supereroi per chiedere l’annullamento del procedimento giudiziario nei confronti dei suoi assistiti.
Il sindaco di Troia, disgustato dalla vicenda, rassegnò le dimissioni e si arruolò nella legione degli stranieri, non spiegandosi affatto le azioni umane e non avendo trovato afflato umano e comprensione nella giunta comunale.
Enea, stanco di quel rompicoglioni d’un Ulusseo, prese l’arco al balzo e, tramite l’aiuto dell’avvocatessa Cassandra, denunciò alla Corte Internazionale Penale l’incendio di Troia come atto doloso dovuto proprio a Ulisse.
La corte del tribunale, dopo anni e anni di dibattimenti, pronunciò una sentenza in cui si indicava come unico colpevole dell’incendio il fratello del re Priamo.
Tal congiunto, poco conosciuto alle cronache mondane, era un certo Menelaolemani.
Ecco i fatti: Menelaolemani, essendosi recato alla Conad Il Barbaro a fare la spesa, aveva lasciato, nel parcheggio interrato della struttura, la sua autovettura, una Renault 6 di seconda mano con l’impianto a GPL, col motore acceso. Tale circostanza, in seguito a un corto circuito, aveva fatto esplodere il bombolone a gas in dotazione al mezzo.
Il mezzo disastro aveva causato un vasto incendio propagatosi poi in tutta la città.
(L’autore comprende la lunghezza prosopopeica delle proposizioni grammaticali e se ne scusa con i lettori ma sta di fatto che fu proprio quell’imbecille a causare l’incendio).
Molte case editrici, a causa di questa sentenza, citarono in giudizio Ulisse asserendo che, per suo frodo intellettuale, aveva mentito allorquando s’era presa la paternità dell’incendio e per tal ragione esse avevano dovuto ristampare tutti i libri di storia e l’Iliade con enormi costi.
Ulisse al merito dichiarò alla stampa: “cazzo e tutto per una sfilata di porci”.
Molte associazioni di consumatori, fan d’Ulisse, scatenarono un putiferio invitando tutti a boicottare le case editrici.
Sul monte Olampone, intanto, gli dei seguivano le vicende terrene organizzando party con tv 70 pollici e gustandosi, tra patatine e sprizt, tutte le puntate di Quarto Grado di Giudizio Telepilotato.
L’intera opinione pubblica mondiale aveva oramai le idee chiare, la scrittura era morta per un'epica sfilata di porci visto che tutti erano contro tutti e il caos regnava fra corti di tribunali, social sul web e…
(Sempre scusandosi umilmente l’autore ora fa un salto temporale indefinito e continua la narrazione perché mo basta co ‘sto Ulisse della malora e tutti i filobustieri con la sciatica).
Un archeologo non pagato, e parliamo di molti secoli dopo o prima delle vicende ulissiche, ritrovò, in seguito a faticosi scavi nel mar Morto, una stele recante i dieci comandamenti per uccidere la scrittura.
In breve tempo il dictatum, imposto dalle iscrizioni sulla stele, divenne una regola precisa e ferrea per tutte le nazioni del mondo.
Nessuna grande storia sarebbe più stata scritta e, con l’inverno dell’uomo alle porte, gli Alpaca, per paura di essere tosati, s’erano riuniti in conclave permanente per eleggere il nuovo Papalcapa, con la speranza che un nuovo credo risollevasse le sorti della scrittura.
E l’inverno giunse inesorabile (l’autore dichiara, sotto scorta armata, di scrivere ora in modo poetico), la neve cominciò a scendere abbondantemente sulle cime e i negozianti rispolverarono le maglie di lana residuate dai saldi degli anni precedenti.
Interno, giorno di neve, negozio d’abbigliamento a Napoli.
«Papà, vojo la maja di lana».
Un influencer, che era nei paraggi, pubblicò immediatamente un video che nel giro di poche ore divenne virale su youtubero.
I maya, incavolati per la presunta presa in giro attuata nei loro confronti, si ritirarono sul Kilimangiaro, attuando la più grande traversata degli oceani mai eseguita a bordo di Alpaca attrezzati con pannocchie di mais attaccate al culo.
In soccorso delle bestiole, il governatorato internazionale dei diritti degli sfruttati inviò su un biplano, con navigatore a vista, il famoso scienziato ed esploratore Amundsen col compito di filmare tutto e di porre fine allo scempio degli Alpaca.
L’eroe, per evitare problemi di freddo e sentirsi in sintonia con i maltrattati, si infilò un completo di Alpaca ma nessuno lo aveva avvisato che in Africa centrale faceva un caldo pluviale che non ti dico...
Appena sbarcato dal biplano cominciò a dare in incandescenza e si denudò cominciando a saltare come se facesse una danza tribale.
Le guardie del parco del Serengeti lo presero immediatamente dicendogli che era vietatissimo danzare in Tanzania.
Amundsen, impaurito e sconcertato, dichiarò: “ma dove cazzo sono sbarcato io dovevo atterrare sul Kilimangiaro”.
Processato e condannato per danza illegale fu appeso alle porte del parco sopra un chioschetto di gelati.
Ma qualcosa forse stava cambiando, qualcuno, impietosito dalla storia dell’esploratore ex polare, scrisse una poesia a ricordo, dopo essersi gustato un gelato pistacchio e panna.
Evviva la scrittura era rinata!
Macché… fuoco fatuo, la scrittura, in tutto il mondo, era proprio morta, tant’è che nessuno lesse quella poesia in memoria e né d’essa rimase memoria.
Tal notizia, che a dir il vero oramai non faceva più notizia, rimbalzò nei salotti letterari, frequentati oramai da youtuberisti e socialtrendisti e lì rimase, senza più alcun rimbalzo.
Il social trend aveva vinto.
(L’autore, per ottemperare alle esigenze dei puristi della scrittura, gira il pallottoliere del racconto e continua a raccontare a modo suo, chiedendo al lettore di portar pazienza che il racconto prima o poi finirà).
Trend giorni dopo quella poesia su Amundsen, ed eravamo nel 1919 o giù di lì di qualche anno, la nave, della regia marina britannica, Titanico fu varata e, dopo un rodaggio ai topi di bordo, prese il largo, col suo carico di vippi, verso Nuova York.
Lo fece, intendendosi il viaggio, senza il comandante causa suo invito per un apericena sull’isola
del Giglio, in Toscana, sulla nave Costola Concordata.
Il comandante della suddetta nave, dopo aver elogiato le prodi e valenti capacità del suo collega titanico, lo pregò di trattenersi lì per almeno cento anni con la promessa di fargli assistere a un inchino da favola.
Nel frattempo il Titanico, dopo una virata verso la baia di Nuova York, aveva evitato, per un pelo di orso polare, lo scontro con una barchetta governata da un eschimese che vendeva caramelle ghiacciate di contrabbando ai contrabbandieri del porto di Nuova York.
Tutti i telegrafi del mondo batterono la notizia del mancato incidente e, nonostante non fosse successo nulla, i Loyds di Londra furono costretti a pagare una cospicua tangente incontrandosi in tangenziale, alla Garbatella de Roma ,con Giovannona coscia lunga che, a dir il vero, aveva tariffe veramente esagerate, ma si sa che le marchette costano e pure le tangenti che mai si devono tangere in pubblico, cioè all’aria aperta.
In ogni caso, la presunzione ardita poi fu quella del New York Telegraph che, in prima pagina,
pubblicò la notizia del fattaccio senza conoscere nulla del fattaccio, insomma un bel fattaccio di fake news.
La commissione d'inchiesta, richiesta da non si sa chi, stabilì, in seguito, che il povero eschimese, mentre scriveva una poesia da mandare all’amata che era oltretutto una bella foca, s'era distratto e, non vedendo il trans-atlantico, lo aveva speronato.
E non finì affatto così… l’eschimese fu anche condannato per la scrittura della poesia e per la depauperazione dei ghiacciai del Polo, visto che se li grattava tutti per fare le caramelle.
Gli ambientalisti si dichiararono soddisfatti e chiesero in custodia assegnata tutti i pacchi di caramelle non ancora venduti.
L’intento era quello di ricostruire, col tali dolciumi ghiacciati, un modello a scala naturale dell’Arca di Noè.
Passarono anni e non si sa nemmeno quanti e se a ritroso o in avanti… (Che palle sto modo de scrivere però).
Fatto sta che molti si recarono in massa, essendo appunto molti, al centro commerciale l’Arca per gli acquisti festivi, due ovetti e due uova bio illogiche non confezionate.
A quel punto Noè, proprietario dell’Arca, se incacchiò come una bestia e scese nell’atrio dell’Arca,
ma nessuno se lo filò.
Urlando e maledicendo i consumi orgiastici festivi che lui era un buon uomo, che lui non si sarebbe mai approfittato dei consumatori che lui, che lui, che lui…
Insomma che lui prese il suo bolide, senza benzina, e scappò.
Dopo pochi metri fu costretto a fermarsi per fare rifornimento al self e... avendo veduto la benzinara colle tette prominenti decise di farsi un selfie con lei, ma causa sturbo immediato inciampò e si ruppe un alluce mentre tirava su la pompa.
In ospedale confidò a un infermiere che quella era stata veramente un’esperienza allucinante.
L’infermiere rispose che effettivamente farsi i selfie da soli è brutto e poi si diventa ciechi.
Un medico del pronto soccorso, intanto, era convinto che i danni corporali fossero più importanti dell’alluce e preparò per il buon Noè una TAC con contrasto, sospettando una costola fratturata.
Noè, che era un tipo instabile, fu trasferito nello stabile attrezzato per le radiografie.
Io (autore del racconto di cui prendo ora le redini) mi recai in struttura per fargli un salutino ma, non conoscendo il posto, mi persi e nemmeno l’informatore all’ingresso del palazzo seppe darmi indicazioni in merito che lui era stato appena assunto che era in tirocinio che non aveva nemmeno fatto colazione che nemmeno voleva quel posto che se non fosse stato per mammà sarebbe rimasto al bar con gli amici e…
(I righi del racconto vanno letti tutti d’un fiato e senza virgole per comprendere l’ansia del giovinotto).
Con molta fortuna, qualcuno mi indicò la stanza radio e io mi ci vi recai di corsa.
All’ingresso mi chiesero di indossare dei gambaletti color arcobaleno e una parrucca con le treccine bionde.
E tutto perché quella era la stanza di radio Pippi Calzelunghe.
Appena entrato mi infilarono in mano un secchio e uno straccio con dei detersivi.
«Aho ce sta quello de e pulizie».
Attuai un diversivo e riuscii a divincolarmi dalla presa a tenaglia del radiologo con cuffie e microfono.
«Non farò mai il pulitologo!» urlai a squarciagola mentre scappavo per i corridoi della USL.
Nel frattempo l’esito della Tac per Noè era stato totalmente negativo e, con parere positivo del medico di turno, l’infortunato era stato dimesso, che fortuna!
Contattai Noè e lo ringraziai per le sue intenzioni sul diluvio.
Lui mi rispose che non aveva nessuna intenzione di pubblicare un libro sul diluvio, «non sono mica matto così poi me denunciano e faccio la fine de Ulisse».
Affranto per il diniego decisi io di scrivere una storia.
La scrissi sui muri di casa, per non essere denunciato.
E poi visto che avevo da scrivere un muro di parole quale luogo migliore d’un muro.
E forse avrei dovuto liberamente andare a Berlino ma quel tipo di muro cittadino, tipico di quel luogo, non esisteva più.
E intanto la poesia era morta, la scrittura era morta.
E intanto perché diamine m’affannavo a scrivere?
Nel giro di qualche secolo avrei sicuramente terminato il mio primo murales bestia seller della storia.
(Avviso per i lettori. Si ringraziano anticipatamente i lettori e si fa preghiera di lasciare un bacino in fondo se la scrittura sarà gradita, un vaffa se risulterà tediosa e inutile. Volendo si accettano anche donazioni biologiche in verdure e frutta come dimostrazione di diniego totale. Nell'angolo personale dell'autore potrete ritirare inoltre uova marce virtuali per l'utilizzo che più riterrete opportuno. Grazie e arrivederci, magari...)
Ultima modifica di Flash Gordon il Mar Mar 19, 2024 12:55 pm - modificato 2 volte.