https://www.differentales.org/t2841-genesi-3-5#34092
Non era ancora l’alba quando il predicatore venuto da Nazareth venne trasportato dalle guardie del sinedrio dall’abitazione di Anna a quella di Caifa, il sommo sacerdote. Gli avevano legato le mani e lo tiravano violentemente con una corda, come fosse un animale catturato. Le autorità ebraiche, dopo averlo interrogato, ne avevano stabilito la condanna a morte ma, non avendo alcuna legge che prevedesse una tale pena, decisero di consegnarlo al prefetto perché fosse giustiziato dai romani.
Le lunghe nuvole nere sopra Gerusalemme si erano appena illuminate di rosa quando i sacerdoti, i loro seguaci e le guardie si fermarono con il loro prigioniero fuori dalle mura severe della prefettura. Pilato, assai irritato, venne loro incontro, circondato da un manipolo di altissimi pretoriani. Squadrò con fastidio e un certo disprezzo l’intera delegazione, ritirò il prigioniero, notificò le accuse ad esso rivolte e notò con preoccupazione l’assembramento di folla che lì si andava velocemente formando. Presto quella tumultuosa moltitudine cominciò a urlare ritmicamente: “Crocifiggilo! Crocifiggilo! Crocifiggilo!”. Pilato, sempre più nervoso, quasi intimorito, rientrò nella fortezza, raggiunse il cortile e si avviò a interrogare quell’uomo magrissimo, triste e scomodo che gli avevano consegnato.
“Sei dunque tu il re dei giudei?”.
L’uomo, forse sorpreso da quella domanda, non rispose e, rivolto a Pilato, chiese: “Dici questo da te o altri ti hanno parlato di me?”.
Rispondere a una domanda con un’altra domanda era un comportamento che il prefetto, in altre circostanze, avrebbe ritenuto del tutto inaccettabile e avrebbe duramente sanzionato ma questa volta non si spazientì, si avvicinò lentamente al prigioniero e, con tono disteso, quasi pacato, continuò imperturbabile:
“Sono forse io giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?”.
Ci fu un attimo di silenzio, poi l’interrogato rispose, fissando il prefetto dritto negli occhi senza alcun timore:
“Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai giudei; ma il mio regno non è qui”.
Pilato rimase più colpito dallo sguardo penetrante dell’interrogato che dall’assurdità della sua risposta.
Quell’uomo era davvero bizzarro, diverso da qualsiasi altro incontrato prima, non sembrava pazzo né temerario ma solo sincero, di una sincerità però disarmante, non umana. Così Pilato, con un garbo inconsueto per il suo ruolo, proseguì con l’interrogatorio : “Dunque tu sei re?”.
“Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce.”
Il volto del prefetto si fece improvvisamente scuro. Il suo sguardo si staccò dall’interrogato e i suoi occhi, stanchi e arrossati, si persero come in fondo a un abisso. Conosceva benissimo e da diverso tempo quel non luogo dove affondava talvolta la sua coscienza. Era un territorio inesistente, seducente e pericoloso quanto il deserto. Pilato odiava e amava precipitare in quell’indefinibile altrove, alternava l’attrazione alla repulsione con la stessa perversa ambiguità con cui il suicida guarda alla vita e al suo veleno. Poi, con un filo di voce, quasi un sussurro, fece la sua ultima domanda:
“Che cos’è la verità?”.
L’uomo di Nazareth non rispose. Sapeva che il prefetto conosceva già la risposta.
La tensione fuori dal pretorio, nel frattempo, era cresciuta minacciosamente.
Pilato era profondamente turbato, quasi sconvolto, non solo non aveva trovato alcuna colpa oggettiva che potesse assecondare la volontà di Caifa, di Anna e dei loro furiosi seguaci, ma aveva deciso, volontariamente e liberamente deciso, di salvare quello strano piccolo uomo da quei fanatici, a qualunque costo. Si rivolse dunque alla folla e con tono perentorio gridò per tre volte: “Non trovo in quest’uomo alcuna colpa! Non trovo in quest’uomo alcuna colpa! Non trovo in quest’uomo alcuna colpa!”.
Si levò allora in risposta quasi un ruggito: “Crocifiggilo!”. Pilato reagì in modo sprezzante, rovesciò a terra con teatralità il catino dove era solito lavarsi le mani e, con un cenno del capo, diede ordine al centurione di disperdere la moltitudine inferocita. Si alzò un’ immensa nuvola di polvere che intorbidì la luce cristallina e scintillante di quel mattino senza croci.
Governare la Giudea sarebbe diventato ora un compito impossibile.
Non era ancora l’alba quando il predicatore venuto da Nazareth venne trasportato dalle guardie del sinedrio dall’abitazione di Anna a quella di Caifa, il sommo sacerdote. Gli avevano legato le mani e lo tiravano violentemente con una corda, come fosse un animale catturato. Le autorità ebraiche, dopo averlo interrogato, ne avevano stabilito la condanna a morte ma, non avendo alcuna legge che prevedesse una tale pena, decisero di consegnarlo al prefetto perché fosse giustiziato dai romani.
Le lunghe nuvole nere sopra Gerusalemme si erano appena illuminate di rosa quando i sacerdoti, i loro seguaci e le guardie si fermarono con il loro prigioniero fuori dalle mura severe della prefettura. Pilato, assai irritato, venne loro incontro, circondato da un manipolo di altissimi pretoriani. Squadrò con fastidio e un certo disprezzo l’intera delegazione, ritirò il prigioniero, notificò le accuse ad esso rivolte e notò con preoccupazione l’assembramento di folla che lì si andava velocemente formando. Presto quella tumultuosa moltitudine cominciò a urlare ritmicamente: “Crocifiggilo! Crocifiggilo! Crocifiggilo!”. Pilato, sempre più nervoso, quasi intimorito, rientrò nella fortezza, raggiunse il cortile e si avviò a interrogare quell’uomo magrissimo, triste e scomodo che gli avevano consegnato.
“Sei dunque tu il re dei giudei?”.
L’uomo, forse sorpreso da quella domanda, non rispose e, rivolto a Pilato, chiese: “Dici questo da te o altri ti hanno parlato di me?”.
Rispondere a una domanda con un’altra domanda era un comportamento che il prefetto, in altre circostanze, avrebbe ritenuto del tutto inaccettabile e avrebbe duramente sanzionato ma questa volta non si spazientì, si avvicinò lentamente al prigioniero e, con tono disteso, quasi pacato, continuò imperturbabile:
“Sono forse io giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?”.
Ci fu un attimo di silenzio, poi l’interrogato rispose, fissando il prefetto dritto negli occhi senza alcun timore:
“Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai giudei; ma il mio regno non è qui”.
Pilato rimase più colpito dallo sguardo penetrante dell’interrogato che dall’assurdità della sua risposta.
Quell’uomo era davvero bizzarro, diverso da qualsiasi altro incontrato prima, non sembrava pazzo né temerario ma solo sincero, di una sincerità però disarmante, non umana. Così Pilato, con un garbo inconsueto per il suo ruolo, proseguì con l’interrogatorio : “Dunque tu sei re?”.
“Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce.”
Il volto del prefetto si fece improvvisamente scuro. Il suo sguardo si staccò dall’interrogato e i suoi occhi, stanchi e arrossati, si persero come in fondo a un abisso. Conosceva benissimo e da diverso tempo quel non luogo dove affondava talvolta la sua coscienza. Era un territorio inesistente, seducente e pericoloso quanto il deserto. Pilato odiava e amava precipitare in quell’indefinibile altrove, alternava l’attrazione alla repulsione con la stessa perversa ambiguità con cui il suicida guarda alla vita e al suo veleno. Poi, con un filo di voce, quasi un sussurro, fece la sua ultima domanda:
“Che cos’è la verità?”.
L’uomo di Nazareth non rispose. Sapeva che il prefetto conosceva già la risposta.
La tensione fuori dal pretorio, nel frattempo, era cresciuta minacciosamente.
Pilato era profondamente turbato, quasi sconvolto, non solo non aveva trovato alcuna colpa oggettiva che potesse assecondare la volontà di Caifa, di Anna e dei loro furiosi seguaci, ma aveva deciso, volontariamente e liberamente deciso, di salvare quello strano piccolo uomo da quei fanatici, a qualunque costo. Si rivolse dunque alla folla e con tono perentorio gridò per tre volte: “Non trovo in quest’uomo alcuna colpa! Non trovo in quest’uomo alcuna colpa! Non trovo in quest’uomo alcuna colpa!”.
Si levò allora in risposta quasi un ruggito: “Crocifiggilo!”. Pilato reagì in modo sprezzante, rovesciò a terra con teatralità il catino dove era solito lavarsi le mani e, con un cenno del capo, diede ordine al centurione di disperdere la moltitudine inferocita. Si alzò un’ immensa nuvola di polvere che intorbidì la luce cristallina e scintillante di quel mattino senza croci.
Governare la Giudea sarebbe diventato ora un compito impossibile.