- Geremia e La regina degli Ameneurii:
Anche a me è successo come Tom. È sparito il commento che avevo fatto a questo racconto... boh.
Comunque ti dico che questa bella fiaba mi ė proprio piaciuta. La parte che ho apprezzato un po’ meno è il finale perché ho immaginato che i due amici rivelassero al fabbro il loro segreto e che anche lui diventasse più ricco, ma infelice.
Ti suggerirei di modificare “ a pochi giorni fa se la“ in “pochi giorni prima.”
A leggerci!
Racconto finalista a “ore contate” 2019 - incipit di Joe Lansdale
Nel bunker di cemento, i ratti erano terribili, il serpente anche peggio.
Ma quello che preoccupava maggiormente Carrie era il buio, dover ascoltare con tanta
attenzione per capire dove e quanto vicino fossero i ratti e il cobra. I ratti riuscivi a identificarli facilmente, ma il serpente praticamente non faceva il minimo rumore.
Eppure fino a poche ore prima Carrie non avrebbe mai immaginato che la cantina di un lussuoso hotel di Luxor potesse nascondere l’accesso a quella terrificante prigione. Per dirla tutta, non aveva proprio idea di come potesse essersi ficcata in quel casino, o forse era solo l’ossigeno rarefatto che la rendeva meno lucida. “Meglio così”, pensava, “meglio non essere troppo vigile casomai non dovessi farcela a restare viva.”
Tutto era cominciato qualche mese prima come un assurdo gioco.
Carrie adorava l’Egitto, anzi si può dire che avesse una vera e propria fissazione per la sua storia antica che l’aveva affascinata fin da piccola. Non lo aveva mai confessato a nessuno, ma per qualche arcano motivo, aveva sempre pensato di avere qualche goccia di sangue egiziano che scorreva nelle vene.
— Dai Jenny, taglia.
— Sei sicura?
— Che aspetti? Taglia, ti ho detto. Una bella frangia corta che mi arrivi proprio qui, a metà
della fronte. E poi la lunghezza deve essere questa: poco sopra la base del collo.
Jenny aveva eseguito e nel giro di mezz’ora i lunghi capelli di Carrie erano sparsi sul pavimento del piccolo negozio che pareva ricoperto da paglia dorata.
Carrie stava con gli occhi spalancati davanti al grande specchio, osservando come ipnotizzata i gesti esperti della donna. Le pareva che le forbici fossero un prolungamento delle mani. Quando il lavoro fu finito la sua fisionomia era davvero cambiata.
— Beh, sei soddisfatta?
— Non ancora. Adesso devi farmi il colore.
— Colore?
— Si, colore, - rispose Carrie spazientita - Deve essere un bel nero corvino.
Jenny non fece altre domande e a malincuore applicò la tinta pensando che era proprio un sacrilegio imbrattare quegli splendidi capelli biondi.
Quando rientrò a casa corse in bagno a truccarsi. Si era esercitata a lungo, non era stato facile imparare a fare una riga diritta e precisa sopra gli occhi con l’eye-liner, ma alla fine era diventata una vera esperta. L’immagine riflessa era quella di una bella ragazza che pareva uscita da un libro di storia dell’antico Egitto. Sì, quello era l’aspetto che voleva.
Quando Francine, la sua compagna di stanza, se la trovò davanti, stentò quasi a riconoscerla.
— Carrie, sei tu? Oh, cazzo lo hai fatto davvero!
— Francine, dovresti conoscermi, sai che non mi tiro indietro. Mi piacciono i giochi! E questo è davvero troppo intrigante...
Carrie si trovava in biblioteca per una delle sue ricerche, quando il suo smartphone vibrò. Un messaggio da un numero sconosciuto. Non era il solito messaggio pubblicitario, sembrava piuttosto un invito.
“Ciao bella biondina, ti va di giocare con me?”
Carrie si guardò intorno con inquietudine. La biblioteca non era molto frequentata quel pomeriggio. Chi poteva averle inviato il messaggio? E soprattutto come faceva ad avere il suo numero di cellulare? Decise di non dare peso alla cosa e si rituffò nella lettura.
Non passò molto tempo prima che il telefono vibrasse di nuovo.
“Dai, di cosa ti preoccupi? Voglio solo giocare un po’ con te, non fare la timida e non diventare rossa come la tua T-shirt.”
L’inquietudine stava cedendo il passo alla paura. Non era il caso di rimanere ancora in quel posto. Chi la stava spiando?. Non sarebbe riuscita a leggere neppure una parola in più. Lentamente fece per alzarsi, quando arrivò un nuovo messaggio:
“Mia Nefertiti, non te andare. Pronuncia il mio nome a voce alta e io saprò che hai deciso di giocare con me.”
Carrie pensò che doveva trattarsi per forza di uno scherzo. Chiunque la conoscesse sapeva della sua passione. Si tranquillizzò un poco e decise che forse poteva essere divertente stare al gioco, quindi, alzando il tono di voce, disse: “Akhenaton!”. Poi, senza guardarsi intorno, si alzò e uscì dalla biblioteca seguita dagli sguardi interrogativi dei presenti.
Il gioco era cominciato così, in un giorno qualsiasi e senza un vero perché.
Da quel giorno aveva ricevuto una quantità di messaggi che sembravano del tutto innocui: contenevano istruzioni semplici, tutte legate alla storia dell’antico Egitto. Poi, col passare dei giorni, le richieste si erano fatte più particolari. Aveva dovuto depilarsi con una ceretta fatta col miele, un’ altra volta cospargersi il corpo con un unguento a base d’incenso, fino a quell’ultima bizzarra richiesta. Carrie avrebbe dovuto tagliare i lunghi capelli biondi , tingerli e truccarsi da antica egizia. Era indispensabile che lo facesse per proseguire il gioco e ricevere il “premio finale”.
Ora Francine, la guardava con aria preoccupata. Da quando era cominciata quella storia del gioco, Carrie pareva aver perso la testa.Tingersi i capelli poi!
— Beh, e ora dove ti ordinerà di andare il tuo amico? È presto per un veglione di Halloween!
— Ma dai, Francy è solo un gioco! E poi io mi vedo proprio bella con questo taglio! Non trovi?
In quel momento il telefono vibrò di nuovo: “Sei bellissima, mia regina” diceva il messaggio. Quella notte Carrie non dormì.
Erano trascorsi parecchi giorni da quell’ultimo messaggio, quando una mattina, aprendo la cassetta delle lettere, Carrie rimase di stucco. La cassetta conteneva una busta bianca, senza francobollo con scritto “Nefertiti”.
Aveva le mani sudate per l’eccitazione, era curiosa e al tempo stesso allarmata. Era fin troppo chiaro che lo sconosciuto compagno di gioco, sapeva tante cose su di lei.
Salì piano le scale: non voleva farsi sentire; quella vecchia pettegola dell’affittacamere era sempre in agguato dietro la porta e lei non era proprio in vena di chiacchiere.
Francine era già uscita e così Carrie si buttò a peso morto nel letto ancora disfatto e poté dedicarsi ad aprire la busta in santa pace. Chissà, forse lo sconosciuto faraone avrebbe finalmente rivelato la sua identità.
No, nessuna rivelazione. Anzi. Il gioco si fece ancora più pesante. Nella busta c’era un biglietto aereo per Luxor. Partenza la sera stessa.
“Merda!...E ora che faccio?” Prima ancora che il cervello avesse formulato una risposta, le mani si erano già messe all’opera e stavano riempiendo alla rinfusa il trolley.
Lasciò un biglietto per Francine: l’avrebbe chiamata lei quando poteva. Non le scrisse dove stava andando, in fondo non erano proprio affari suoi e poi non voleva certo sorbirsi consigli da “grillo parlante”.
Nella fretta della partenza non si accorse di un dettaglio: la busta conteneva un biglietto di sola andata.
Atterrò a Luxor che era notte. Diavolo, era proprio un’idiota. Non aveva un alloggio e aveva pochi euro in tasca.
Le si avvicinò un facchino che, con sua sorpresa, parlava un buon inglese.
— Conosce un hotel economico?
— Solo hotel di prima categoria per lei, Miss Carrie.
Carrie si sentì gelare il sangue nelle vene. Lui era lì e la stava spiando. Doveva aspettarselo. Ma ormai il danno era fatto.Il gioco doveva continuare.
L’hotel era davvero splendido. La stanza era apparentemente pulita e ordinata e di giorno doveva avere una vista magnifica.
Quello era il viaggio che aveva sempre desiderato fare: in fondo sentiva di appartenere a quel luogo e poi quello era il suo premio, quindi non aveva nulla da temere; si decise a telefonare.
— Pronto, Francine?
— Ma dove sei finita? È tutto il giorno che ti cerco!
— Sto bene, non preoccuparti. Tornerò presto.
Carrie riattaccò prima che Francine potesse chiederle altro e crollò in un sonno profondo.
Fu svegliata nel cuore della notte dalla vibrazione del telefono.
“Bentornata a casa, mia regina. Ora ti prego di truccarti e d vestirti. Troverai l’abito nell’armadio. Poi scendi giù nella hall. Fai in fretta.”
L’armadio conteneva un kalasiris immacolato e dei sandali.
Nella hall c’era una luce soffusa. Si guardò intorno ma non vide nessuno. Poi, si accorse che c’era una porta aperta dalla quale proveniva una tenue luce. La porta conduceva a delle scale abbastanza ripide. Carrie scese con cautela almeno una trentina di gradini prima di rendersi conto di essere finita in uno scantinato.
La stanza era calda e umida e si faceva fatica a respirare. Ad un tratto, sentì qualcosa sfiorarle il volto. Si sarebbe detta una carezza leggera, un alito di vento che la fece trasalire.
— Finalmente sei arrivata!
— Finalmente possiamo conoscerci! Rispose, ma senza riuscire a vedere il volto del suo interlocutore.
— Mia Nefertiti è da così tanto che aspetto il tuo ritorno! E ora che sei qui, non ho intenzione di perderti di nuovo.
— Non capisco. Davvero. Si spieghi per favore e mi lasci andare, la prego.
— Vieni... vieni con me e capirai.
Di nuovo quella sensazione... A un tratto le parve che un’ombra si staccasse dal muro e gridò per lo spavento. Poi, Carrie toccò una pietra nella parete e questa scattò con un rumore sinistro. Un attimo dopo con un uno stridente cigolio, dal pavimento si aprì una botola.
L’ombra si avventò fulminea su Carrie e la spinse dritta dentro al buco. Poi disse:
— Bene, bene mia cara regina. Siamo giunti alla fine del gioco. Voglio facilitarti il compito:
Sappi che lì sotto è pieno di ratti. Queste immonde bestiole sono parecchio affamate, ma non sono sole... c’è un simpatico cobra tra loro. Sopravvivi per me fino a domani e avrai vinto. Quindi lasciò che la botola si richiudesse sopra la testa di Carrie.
Nel buio fitto i topi cercavano di prenderla a morsi. Quelle bestie le avevano sempre fatto schifo. Erano animali stupidi e chiassosi e per questo, nonostante mancasse la luce, riusciva in qualche modo a capire dove fossero e a schivarli, ma il cobra no. Lui era un elegante, sinuoso e silenzioso strumento di morte. Un animale di una bellezza regale.
Regale come il cobra che adornava il copricapo del suo Akhenaton. All’improvviso i ricordi affiorarono prepotenti alla mente.
Non sapeva se sarebbe riuscita a evitare quel morso e, in fondo, non le importava.
Il richiamo di un antico amore l’aveva condotta fino a lì. Il suo re era tornato a cercarla tra i vivi e l’aveva ricondotta a sé per l’eternità. Il gioco era finito, ma entrambi avevano vinto.