“Questa lettera è come un messaggio in bottiglia, lanciato nell’oceano, perché le onde lo trascinino su qualche spiaggia del futuro.”
Ho voluto iniziare citando la frase di uno dei miei autori preferiti, perché non credo sarei riuscito a trovare parole migliori per definire queste righe che stai leggendo. E poi, quando – e soprattutto se – le leggerai, di me che le ho scritte ormai non sarà rimasto più neppure il ricordo.
Ma se davvero stai leggendo, se davvero ancora esiste la possibilità che tu riesca a decifrare questi segni, allora non tutto è andato perduto, non tutto è stato distrutto, e la speranza che ha guidato la mia mano – e le mani dei miei compagni che hanno scritto documenti simili – non è stata vana: nonostante le devastazioni umane e naturali che hanno colpito la Terra, qualcosa ha resistito.
Qualcuno si è salvato.
Non posso sapere se nel tuo futuro, prossimo o remoto che sia, esisterà ancora la possibilità di accedere ad archivi, di trovare tracce di ciò che è stata la nostra epoca, di capire i riferimenti ai fatti e agli avvenimenti di cui leggerai. Ma, pur sospesi fra disperazione e fiducia, abbiamo voluto comunque lasciare a te, a voi, un resoconto, il più fedele e obiettivo possibile, di ciò che è accaduto intorno alla metà del XXI Secolo.
Un resoconto accompagnato dalla promessa, che ciascuno di noi ha fatto, di non dare troppo sfogo all’emotività, di non trasmettere – se non, umanamente, in minima parte – il peso che grava sui nostri cuori dopo aver assistito alle scene che si sono svolte davanti ai nostri occhi; dopo aver camminato sull’orlo dei baratri, metaforici e reali, che hanno sfregiato la superficie terrestre.
Ognuno di noi ha una capsula temporale, nella quale verranno sigillati i nostri documenti. Proprio come messaggi in bottiglia scagliati in mare da dei naufraghi.
A meno che una delle tante morti possibili, sempre in agguato di questi tempi, non decida altrimenti.
Non avevamo ancora del tutto riassorbito gli effetti disastrosi del Covid-19, una delle più gravi pandemie che avessero colpito l’umanità, che già scoppiavano nuovi focolai di guerra in diverse parti del mondo, mentre in altre non erano mai cessati. Le ragioni? Sempre le stesse e comunque sempre riconducibili al solito e unico denominatore comune: il denaro e il potere che da esso deriva.
Est Europa, Medio Oriente, vaste zone dell’Africa e dell’Asia: i focolai si accendevano ed espandevano, come incendi attizzati dal vento. Arrivavano a lambirsi l’un l’altro, guidati da una cieca forza centrifuga.
Fra il 2022 e il 2028, fu un continuo scambio di attacchi e ritirate nei territori contesi fra le varie parti in conflitto, un susseguirsi di azioni militari che si lasciavano dietro solo morte e distruzione, soprattutto fra i civili. E tieni conto che venivano usate le cosiddette “bombe intelligenti”.
Poi, come se non fossero già stati abbastanza gravi i danni inflitti all’ambiente dalla normale opera umana, con le guerre si moltiplicarono i roghi in boschi e foreste, gli sversamenti di carburanti in mari, laghi e fiumi e tutto il resto del peggior repertorio possibile, fino a sfiorare, in diverse occasioni, incidenti nucleari di grandi dimensioni.
Finché uno dei contendenti non tirò fuori quella che doveva essere l’arma definitiva.
La nuova arma si sostituì ben presto a fucili, cannoni, bombe, missili…
Droni imprendibili sorvolavano le postazioni nemiche, lasciando dietro di sé candide scie di agenti patogeni. I soldati morivano, a centinaia, ma, ancora, neppure i civili venivano risparmiati: tutto ciò che di organico rientrava nel loro raggio di azione, con l’eccezione di animali e strutture vegetali, nel giro di qualche minuto si dissolveva, diventava cenere, proprio come se, anziché una manciata di secondi, fossero trascorsi dei secoli.
Mucchi di abiti polverosi che, svuotati dei loro occupanti, giacevano abbandonati su strade e marciapiedi e, al minimo refolo, si muovevano in assurde pantomime; carcasse di auto che, persi improvvisamente i conducenti, sostavano in pose assurde, sbilenche, l’una contro l’altra oppure contro muri o tronchi d’albero.
Le città prossime alle zone di guerra divennero ben presto silenziosi mausolei, abitati soltanto dal sibilo del vento e dal fruscio del pulviscolo dei poveri resti. Ma, dato che niente di materiale veniva distrutto, “dopo”, non ci sarebbe stato nessun bisogno di ricostruire. Senza contare che, secondo i geniali inventori, “non arrecava danni all’ambiente” …
Durante gli anni di guerra e, a maggior ragione, dopo l’arrivo della nuova arma, molti hanno ipotizzato che il Covid-19 non fosse altro che una sorta di prova generale: far evolvere il virus fino alla variante finale, creata così bene che dopo poche ore di esposizione all’aria – e dopo aver svolto il proprio compito letale – svaniva senza lasciare alcuna traccia.
Tuttavia, fu proprio grazie alla volatilità del virus che io e buona parte dei miei concittadini riuscimmo, almeno momentaneamente, a salvarci. Anche la nostra piccola città era rimasta coinvolta, per il solo fatto di essere vicina a un sito militare. Ma grazie al forte vento che ci spirava a ogni ora del giorno e della notte le scie si disperdevano prima di poter colpire a fondo.
Non che con questo ci sentissimo al sicuro. Dopo tutto, non eravamo che dei superstiti, dei sopravvissuti che presto sarebbero stati decimati: vittime inermi il cui destino era ormai segnato.
Per un po’, tuttavia, ogni ostilità rimase sospesa, a parte piccole – ma comunque feroci – scaramucce. Il virus divenne un deterrente formidabile, in attesa che anche altri contendenti potessero in qualche modo entrarne in possesso.
Ma né i vinti né i vincitori avevano fatto i conti con un altro attore che all’improvviso volle accaparrarsi con forza tutta la scena.
Il nuovo soggetto fece il suo ingresso in sordina, nei panni dimessi di un piccolo vulcano dell'isola di Sumbawa, nell'arcipelago della Sonda: il Tambora.
L’eruzione in sé fu poca cosa, circoscritta all’isola stessa e senza vittime, tanto da passare pressoché inosservata negli scarni notiziari, almeno in quelli rimasti attivi, ancora monopolizzati dai bollettini di guerra e da una sempre più macabra conta delle vittime. Restò un fattarello di secondo piano, all’apparenza, ma in realtà fu la scintilla che dette il via a una catastrofe di dimensioni planetarie.
Non sono uno scienziato e non ho che scarse nozioni di geologia; posso solo darti, da profano, un’idea approssimativa di ciò che accadde nell’arco di una ventina di giorni dalla prima eruzione.
Fu come se la Terra, quasi fosse un cane che si è rotolato sulla sabbia, volesse scrollarsi di dosso i fastidiosi granelli che continuavano a punzecchiarla.
I primi a esplodere, e stavolta in maniera eclatante, furono gli altri vulcani del Pacifico. In pochi giorni, procedendo in una sorta di progressione geometrica da sud a nord, l’Anello di Fuoco si scatenò in eruzioni, terremoti, maremoti e tsunami che si propagarono rapidamente sulle coste di Asia e America.
Interi Paesi vennero cancellati, sommersi dalle onde oppure inghiottiti in voragini senza fondo. Da una parte dell’oceano cessarono di esistere, fra i tanti, Giappone, Filippine, Indonesia, Nuova Zelanda; sull’altra sponda, fu come se Canada, Stati Uniti e parte dell’America Latina si fossero di colpo ristretti, mentre dell’America Centrale non restava quasi traccia.
Poi, lo sciame sismico-eruttivo si infilò nelle sue autostrade sotterranee e raggiunse il centro dei vari continenti con la velocità di un fulmine. In Europa furono poche le zone risparmiate. E fra quelle non c’era l’Italia, vittima di terremoti ed eruzioni multiple.
Anche le bocche del tranquillo vulcano sottomarino Marsili esplosero all’unisono, causando l’apertura di una voragine che, ancora al momento in cui scrivo, l’attraversa dalla Campania alla Puglia e nella quale si sono riversate le acque del mare.
È stato solo grazie alla sua posizione, all’interno del Mediterraneo, che i danni sono stati sì devastanti, ma più contenuti rispetto a ciò che hanno subito i Paesi sugli oceani. Una sorte condivisa con altri Stati affacciati sullo stesso Mare.
Mi mancano le parole per poter descrivere con efficacia lo spettacolo spaventoso che di giorno in giorno si presentava davanti ai nostri occhi. Sembrava di essere entrati chissà come dentro uno di quei film apocalittici che cinema e TV ci propinavano fra la fine del XX e l’inizio di questo Secolo.
E molti dei sopravvissuti, di fronte alla morte dei propri cari, davanti alle rovine delle proprie case, perdevano il lume della ragione ed esplodevano in risate folli, convinti di trovarsi davvero all’interno di un set cinematografico; certi che le poche facciate rimaste in piedi non fossero altro che fondali di cartapesta e che, una volta usciti dai cancelli degli studi, tutto sarebbe stato normale.
Scusami, amico mio. Mi rendo conto che, nonostante l’impegno, ho continuato a scrivere e descrivere come se tu fossi in grado di seguire senza problemi i miei ragionamenti e i miei esempi. Come se tanto di ciò che c’era una volta esistesse ancora.
Spero che sia così. Non posso pensare, accettare, che siano state rase al suolo città come Parigi, Firenze, Venezia, Londra, New York, Roma… Che nella loro caduta siano andate perdute le opere d’arte. Che voi non possiate più accarezzare con gli occhi lo sguardo di Monna Lisa, le ninfee di Monet, i girasoli e le notti stellate di Van Gogh, e poi Botticelli, Caravaggio… Non riesco ancora convincere me stesso che tutto questo possa essere accaduto.
Ma, razionalmente, so che lo è, anche se, in questo rifugio che ancora resiste, sono ormai tagliato fuori dal mondo e non mi arrivano più notizie nemmeno dagli altri “relatori”.
Non resta che la speranza.
E spero che tu, che voi tutti, dopo aver attraversato il mare di calamità che hanno (quasi?) portato alla distruzione del mondo come noi lo conoscevamo, possiate comunque approdare a una società nuova, diversa, più rispettosa dell’uomo e della natura.
Spero soprattutto che anche le mie parole, o quelle di qualcuno dei miei compagni, possano essere servite a dare (o ad aver dato) una spinta nella giusta direzione.
Mi fermo qui.
Non mi resta che sigillare la capsula e attendere la prossima scossa.
Buona fortuna!
***
– Ha letto, signore?
– Sì, sergente. E non riesco a capire che razza di rogna mi sia capitata fra le mani. Come è stato trovato?
– Una coppia di escursionisti, signore. Facendo trekking nei dintorni di un vecchio rifugio antiaereo, su in montagna, si sono imbattuti in quell’involucro d’acciaio e lo hanno scambiato per una bomba inesplosa. Hanno allertato i Carabinieri, che, a loro volta, hanno fatto intervenire gli artificieri.
– Qualcun altro ha letto questa… “cosa”?
– No, signore. Gli artificieri hanno capito che si trattava di una capsula temporale e due di loro ce l’hanno portata immediatamente. La capsula è stata aperta qui, mentre tutti gli altri uomini dei reparti intervenuti sono rimasti sul posto.
– Bene…
– Concludo, signore. Stanno ispezionando anche l’interno del rifugio, ma per ora non è stata rilevata alcuna presenza umana. Inoltre, da qualche anno il sito è una specie di museo ed è quindi dotato di misure di sicurezza e videosorveglianza. Ma neppure le registrazioni hanno rivelato presenze o intrusioni di estranei.
– Davvero bizzarro. Una capsula dovrebbe arrivare dal passato. Ma qui… Lei, sergente, cosa ne pensa?
– Difficile dare una risposta, signore. Farneticazioni di un pazzo, forse. Oppure stralci di un romanzo di fantascienza…
– Già, fantascienza… Eppure c’è qualcosa nel testo che non è del tutto privo di fondamento.
– Se mi è permesso, signore, se si sta riferendo agli accenni sulle guerre, direi che non è difficile apparire realistici. E lo stesso si può dire per i sospetti sul Covid.
– Giusto, sergente, è vero. “Dacci oggi la nostra guerra quotidiana e liberaci dai complottisti”. È così che si dice, no? Ma non mi riferivo a quello. Non solo a quello, comunque. Guardi qua. Proprio stamani i vulcanologi dell’INGV hanno segnalato attività sotterranee fuori standard in diversi siti. E, a parte i soliti Etna e Stromboli, parlano anche di “sommovimenti del Marsili da non trascurare”.