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“La speranza è il peggiore tra i mali, poiché prolunga i tormenti degli uomini.”
Friedrich Nietzsche
“Eccola la città. Con quella sua aria puzzolente di carburanti, cibo e urina, il suo nevrotico traffico umano e veicolare, la sua autocompiaciuta indifferenza”. Pensò, affacciandosi al finestrino abbassato del vagone, mentre il treno si avvicinava a bassa velocità alle volte in ferro battuto della grande stazione vittoriana. Dopo anni di assenza era di nuovo lì, in quel luogo dove era nato e dove aveva vissuto una parte consistente della sua esistenza.
Carlo era tornato, per restare. Era un nuovo inizio, l’ennesimo. Ma questo, al contrario di altri in passato, sarebbe stato privo di qualsiasi forma di entusiasmo e senza grandi aspettative. Avrebbe dovuto riabituarsi al modo di vivere della città, reintegrarsi in quel mondo traballante del lavoro precario e riannodare i fili di quelle ipocrisie insensate, chiamate relazioni sociali.
Non era sereno, non lo era affatto. Doveva assolutamente trovare un trucco per sopravvivere a tutto questo. Sopportare sarebbe stata la parola chiave: sopportare, con forza vigorosa e instancabile pazienza, una serie indefinita di tensioni e fatiche che lo attendevano, ansiose di distruggerlo.
Ma come riuscire in questa dura impresa? Semplice, attraverso l’alienazione. Ma l’alienazione aveva un prezzo molto salato da pagare, ne era consapevole, e in qualche modo ne aveva già avuto esperienza.
La piazza fuori dalla stazione gli sembrò più grande di quanto ricordasse. La sua fredda e ordinata forma geometrica era come sconvolta dal brulicare caotico di una moltitudine di uomini e auto. Ovunque un’esuberanza incontrollata e rumorosa, fatta di carne e motori, sembrava sfidare il cielo grigio, sbiadito e fermo che la sovrastava.
Carlo si diresse con passo spedito verso la fermata del tram con la sua valigia, il vecchio zaino da montagna e una quantità innumerevole di pensieri che continuavano a prendere forma nella sua mente stanca e confusa. Si posizionò sotto la pensilina della fermata del 33. Rimase diversi minuti in attesa, immobile, con il biglietto in mano e con la convinzione in testa, che non c’era modo migliore per sentirsi a casa che prendere un tram.
Amava il tram, lo aveva sempre preferito alla metropolitana e all’autobus, sin da bambino. Tutto di quella macchina di acciaio arancione, uscita da un altro tempo, gli era famigliare: il sussulto ritmico delle ruote metalliche sui binari, l’allegro e strambo scampanellare, le plafoniere di vetro delle luci e le panchine di legno. La porta a soffietto si aprì con uno scatto veloce, come il sorriso di un vecchio amico. Carlo salì e si sedette vicino al finestrino dietro al conducente, da sempre, il suo posto più ambito. E mentre i suoi occhi erano come ipnotizzati dalla confusione quasi gioiosa delle strade, la sua mente incominciò a prendere il largo. Una voce antica, da tempo sopita, si impose languida dentro di lui: “Come vorrei recuperare ogni possibilità scartata, poter vivere in quei mondi paralleli che non sono mai stati, in quelle biforcazioni che a loro volta proliferano e si biforcano infinitamente. Con le nostre scelte uccidiamo numerose vite possibili, ogni giorno. Mi chiedo se la responsabilità di queste decisioni talvolta non ci schiacci, quando il risultato non è esattamente il migliore dei mondi possibili. Ma non delegherò mai ad alcun dio questa funzione. Homo faber ipsius fortunae!” Un nuovo piglio lo colse, dandogli un insolito vigore, illuminandogli inediti punti di vista e spingendolo alla sottoscrizione di nuove allettanti promesse.
Il 33 intanto aveva svoltato verso la zona est della città, infilandosi sicuro nella sua intricata ragnatela di rotaie.
Carlo si soffermò sulle cose da fare ma non riuscì a ordinarle subito in modo preciso. Era come se ognuna di queste fosse troppo complicata per essere ridotta in un elenco. Decise quindi di procedere affrontando una questione alla volta, cercando di sviscerarla in ogni dettaglio e, solo ad analisi conclusa, sarebbe passato puntualmente alle altre.
Uno dei problemi più urgenti da risolvere era sicuramente il lavoro. Avrebbe scandagliato tutti gli annunci di offerte di lavoro della città, spedito centinaia di curricula nei posti più disparati, anche in quelli più improbabili. Avrebbe fatto il giro di tutte le agenzie di lavoro interinale, chiesto in giro, rispolverato vecchi contatti, creato un virtuoso passaparola. In fondo non doveva trovare un lavoro definitivo, bastava un’occupazione qualsiasi, che gli garantisse un’entrata il più possibile stabile, sufficiente per sopravvivere. Ma sopravvivere gli sarebbe bastato? No, non gli sarebbe bastato, non gli era mai bastato. Voleva di più… desiderava un lavoro soddisfacente e con una giusta retribuzione. Per ottenere questo era necessario però un mutamento profondo e un percorso di miglioramento interno. Avrebbe dovuto cambiare, reimpostare il suo atteggiamento, rispondere meglio alle aspettative dei futuri datori di lavoro. Poteva farcela. Magari avrebbe potuto ritagliarsi un discreto numero di ore libere, nelle quali frequentare corsi di formazione o riprendere gli studi universitari interrotti conseguendo la laurea che i suoi genitori avevano sempre sognato. E poi… chi lo avrebbe fermato?
Ma cosa sarebbe stato un uomo senza relazioni? Poteva ancora continuare in quella lunga apnea di solitudine? Era evidente che non era sufficiente un lavoro rispettabile e la mancanza di problemi economici. Erano solo traguardi parziali. La vera battaglia la si combatteva, da sempre, con gli altri esseri umani, nemici necessari, con i quali ognuno doveva allearsi per combattere il vero nemico: l’isolamento e la disperazione del vivere e del morire. No! Troppo cinico e negativo. Così non andava da nessuna parte. Anche qui era indispensabile una riforma radicale del suo atteggiamento. Condivisione e immedesimazione nell’altro sarebbero state, d’ora in poi, le rivoluzionarie linee guida della sua efficace strategia contro l’emarginazione e la solitudine.
Mentre il giorno scivolava nella sera e le prime luci incominciavano ad accendersi, colorando la città come tanti fiori notturni, Carlo ricadde, ancora una volta, nel suo errore più grave: costruirsi nuove false speranze. Il tram, giunto al suo capolinea, si fermò. Aveva finito la sua corsa.
“La speranza è il peggiore tra i mali, poiché prolunga i tormenti degli uomini.”
Friedrich Nietzsche
“Eccola la città. Con quella sua aria puzzolente di carburanti, cibo e urina, il suo nevrotico traffico umano e veicolare, la sua autocompiaciuta indifferenza”. Pensò, affacciandosi al finestrino abbassato del vagone, mentre il treno si avvicinava a bassa velocità alle volte in ferro battuto della grande stazione vittoriana. Dopo anni di assenza era di nuovo lì, in quel luogo dove era nato e dove aveva vissuto una parte consistente della sua esistenza.
Carlo era tornato, per restare. Era un nuovo inizio, l’ennesimo. Ma questo, al contrario di altri in passato, sarebbe stato privo di qualsiasi forma di entusiasmo e senza grandi aspettative. Avrebbe dovuto riabituarsi al modo di vivere della città, reintegrarsi in quel mondo traballante del lavoro precario e riannodare i fili di quelle ipocrisie insensate, chiamate relazioni sociali.
Non era sereno, non lo era affatto. Doveva assolutamente trovare un trucco per sopravvivere a tutto questo. Sopportare sarebbe stata la parola chiave: sopportare, con forza vigorosa e instancabile pazienza, una serie indefinita di tensioni e fatiche che lo attendevano, ansiose di distruggerlo.
Ma come riuscire in questa dura impresa? Semplice, attraverso l’alienazione. Ma l’alienazione aveva un prezzo molto salato da pagare, ne era consapevole, e in qualche modo ne aveva già avuto esperienza.
La piazza fuori dalla stazione gli sembrò più grande di quanto ricordasse. La sua fredda e ordinata forma geometrica era come sconvolta dal brulicare caotico di una moltitudine di uomini e auto. Ovunque un’esuberanza incontrollata e rumorosa, fatta di carne e motori, sembrava sfidare il cielo grigio, sbiadito e fermo che la sovrastava.
Carlo si diresse con passo spedito verso la fermata del tram con la sua valigia, il vecchio zaino da montagna e una quantità innumerevole di pensieri che continuavano a prendere forma nella sua mente stanca e confusa. Si posizionò sotto la pensilina della fermata del 33. Rimase diversi minuti in attesa, immobile, con il biglietto in mano e con la convinzione in testa, che non c’era modo migliore per sentirsi a casa che prendere un tram.
Amava il tram, lo aveva sempre preferito alla metropolitana e all’autobus, sin da bambino. Tutto di quella macchina di acciaio arancione, uscita da un altro tempo, gli era famigliare: il sussulto ritmico delle ruote metalliche sui binari, l’allegro e strambo scampanellare, le plafoniere di vetro delle luci e le panchine di legno. La porta a soffietto si aprì con uno scatto veloce, come il sorriso di un vecchio amico. Carlo salì e si sedette vicino al finestrino dietro al conducente, da sempre, il suo posto più ambito. E mentre i suoi occhi erano come ipnotizzati dalla confusione quasi gioiosa delle strade, la sua mente incominciò a prendere il largo. Una voce antica, da tempo sopita, si impose languida dentro di lui: “Come vorrei recuperare ogni possibilità scartata, poter vivere in quei mondi paralleli che non sono mai stati, in quelle biforcazioni che a loro volta proliferano e si biforcano infinitamente. Con le nostre scelte uccidiamo numerose vite possibili, ogni giorno. Mi chiedo se la responsabilità di queste decisioni talvolta non ci schiacci, quando il risultato non è esattamente il migliore dei mondi possibili. Ma non delegherò mai ad alcun dio questa funzione. Homo faber ipsius fortunae!” Un nuovo piglio lo colse, dandogli un insolito vigore, illuminandogli inediti punti di vista e spingendolo alla sottoscrizione di nuove allettanti promesse.
Il 33 intanto aveva svoltato verso la zona est della città, infilandosi sicuro nella sua intricata ragnatela di rotaie.
Carlo si soffermò sulle cose da fare ma non riuscì a ordinarle subito in modo preciso. Era come se ognuna di queste fosse troppo complicata per essere ridotta in un elenco. Decise quindi di procedere affrontando una questione alla volta, cercando di sviscerarla in ogni dettaglio e, solo ad analisi conclusa, sarebbe passato puntualmente alle altre.
Uno dei problemi più urgenti da risolvere era sicuramente il lavoro. Avrebbe scandagliato tutti gli annunci di offerte di lavoro della città, spedito centinaia di curricula nei posti più disparati, anche in quelli più improbabili. Avrebbe fatto il giro di tutte le agenzie di lavoro interinale, chiesto in giro, rispolverato vecchi contatti, creato un virtuoso passaparola. In fondo non doveva trovare un lavoro definitivo, bastava un’occupazione qualsiasi, che gli garantisse un’entrata il più possibile stabile, sufficiente per sopravvivere. Ma sopravvivere gli sarebbe bastato? No, non gli sarebbe bastato, non gli era mai bastato. Voleva di più… desiderava un lavoro soddisfacente e con una giusta retribuzione. Per ottenere questo era necessario però un mutamento profondo e un percorso di miglioramento interno. Avrebbe dovuto cambiare, reimpostare il suo atteggiamento, rispondere meglio alle aspettative dei futuri datori di lavoro. Poteva farcela. Magari avrebbe potuto ritagliarsi un discreto numero di ore libere, nelle quali frequentare corsi di formazione o riprendere gli studi universitari interrotti conseguendo la laurea che i suoi genitori avevano sempre sognato. E poi… chi lo avrebbe fermato?
Ma cosa sarebbe stato un uomo senza relazioni? Poteva ancora continuare in quella lunga apnea di solitudine? Era evidente che non era sufficiente un lavoro rispettabile e la mancanza di problemi economici. Erano solo traguardi parziali. La vera battaglia la si combatteva, da sempre, con gli altri esseri umani, nemici necessari, con i quali ognuno doveva allearsi per combattere il vero nemico: l’isolamento e la disperazione del vivere e del morire. No! Troppo cinico e negativo. Così non andava da nessuna parte. Anche qui era indispensabile una riforma radicale del suo atteggiamento. Condivisione e immedesimazione nell’altro sarebbero state, d’ora in poi, le rivoluzionarie linee guida della sua efficace strategia contro l’emarginazione e la solitudine.
Mentre il giorno scivolava nella sera e le prime luci incominciavano ad accendersi, colorando la città come tanti fiori notturni, Carlo ricadde, ancora una volta, nel suo errore più grave: costruirsi nuove false speranze. Il tram, giunto al suo capolinea, si fermò. Aveva finito la sua corsa.
Ultima modifica di Andrea Bernardi il Dom Ago 25, 2024 10:35 pm - modificato 2 volte.