Don Camillo, un’omonimia che comprende fisico e grinta, osserva con aria compiaciuta la sala della parrocchia, al cui ingresso campeggia uno striscione nuovo di zecca: “Pesca di beneficenza” e, più sotto, “entrata libera, uscita a pagamento”.
Un altro giorno avrebbe riso per questa trovata dei suoi ragazzi, ma non oggi: questa mattina tutto il paese ha dato l’addio ad Agnese, 84 anni, una vita spesa a lavorare e aiutare tutti: a curare orti e giardini, a spolverare e stirare, senza mai lamentarsi, col solo rimpianto di non aver avuto una famiglia sua.
Il prete l’ha affidata a quel Dio che, e non aveva scelta, adesso doveva occuparsi finalmente anche di lei: meglio sarebbe stato però se le avesse evitato quella stupida caduta dalla bicicletta, là sul vialetto che porta alla villa dell’avvocato Verdi.
Chissà perché stava andando così di fretta? In tanti l’avevano notata:
«Don Camillo, l’ho vista bene: piangeva e andava tutta a zigozago! Le ho urlato di fermarsi ma sa cosa mi ha detto? Remo Gatti, và cagher! Proprio così, lei che non dava dello stupido neanche a uno stupido.»
Il bussare alla porta distoglie il prete dai pensieri: sulla soglia c’è Stefano, il direttore della banca. Un bravo ragazzo, alla mano: in paese è benvoluto da tutti, sempre disponibile e gentile.
«Lo so, lo so: il conto è in rosso demonio!»
«No, don, solo arancione, ma con tutta ‘sta roba tornerà verde brillante.»
Stefano dà un’occhiata alla merce sugli scaffali:
«A casa di mia nonna c’era uno scatolone per la roba che era peccato buttare, da portare al prete per la fiera di San Martino.»
«Oh beh, è un classico. Qui c’è roba che da anni fa il giro del paese: parola delle mie donnette, che hanno una memoria! Sanno dirti…toh, di questa gondola, su quanti televisori è stata!»
«Eh, ma c’è anche del formaggio, stagionato.» In una cesta ci sono punte di Parmigiano, magari piccole, ma insomma.
«Anche l’assoluzione ha il suo prezzo! A certa gente fa più effetto questo che non preghiere recitate a tempo di record.»
I due se ne stanno un po’ in silenzio, poi don Camillo non resiste: è chiaro che qualcosa turba il ragazzo: «Di cosa mi vuoi parlare Stefano?»
Il salotto del prete, a prova di orecchie indiscrete, è un invito alle confidenze: mobili datati, tirati a lucido, tanti libri su vecchi scaffali e dalla finestra aperta entra il frinire delle cicale, ospiti del grande tiglio in cortile, la cui ombra arriva anche tra quelle mura fresche.
«Don, ti capita mai di aver voglia di mandare affanculo qualcuno? Ma di brutto.»
«Qualche volta lo faccio, sperando che il mio capo non senta! Siamo umani, caro mio.»
Stefano di alza e si affaccia alla finestra, con le mani in tasca: Don Camillo capisce al volo, è roba seria.
«Guarda che se piangi non perdi dei punti, anzi.»
«Lo so, ma è una storia… disgustosa. Anche di più, visto che riguarda Agnese.»
«Cosa?»
Stefano gli racconta la scena avvenuta in banca quel pomeriggio: una donna, scarmigliata e agitata, aveva chiesto del direttore, cui aveva allungato un paio di libretti di risparmio.
«Sono la nipote di Agnese Cotti. Voglio incassare questi libretti, erano della zia, mi servono per le spese del funerale. Poi lei mi deve dire anche se ci sono altri soldi. Sono l’unica erede, quindi è tutto mio.»
Stefano è ancora allibito:
«Capisci, don? Io so l’effetto dei soldi sulla gente, che ce ne siano o meno, ma cristo santo… scusa… tre ore prima questa stronza era in chiesa, ma aveva già fatto saltare cassetti e armadi. L’avrei insultata, ma mi sarei abbassato al suo livello.»
«Spese? Che spese? Agnese aveva pagato tutto da tempo. E tu cosa le hai detto?»
«Che non potevo dirle nulla, ed è vero, se non con una dichiarazione che fosse lei l’erede, meglio se redatta da un notaio, come da prassi. Basterebbe anche il Sindaco, ma se davvero le spetta qualcosa, glielo farò sudare.»
Don Camillo è scuro in volto: anche lui sa il male che fanno spesso i soldi sull’animo della gente.
«Detto tra noi», prosegue Stefano, «Agnese aveva una cassetta di sicurezza, dove teneva altri libretti e il testamento. Ogni mese sistemava i suoi conti, rileggeva il testamento e scriveva su un foglietto dove aveva nascosto i libretti in casa, poi mi abbracciava. E io lì come uno stupido, col groppo in gola… avrei dovuto dirle che le volevo bene.»
«Lo so, ma si pensa sempre di avere altre occasioni.»
«Sai cosa mi spiace? Che quando aprirà la cassetta, la nipote troverà il testamento, che non è registrato, e lo brucerà. E tu perderai un sacco di soldi. Eri tu l’erede. Solo tu.»
Don Camillo, senza parole, prende da un cassetto un mazzo di chiavi, una copia delle chiavi di casa di Agnese. Gliele aveva lasciate lei per sicurezza, dopo essere rimasta chiusa fuori un paio di volte.
«È questa la chiave?»
«Direi proprio di sì. Sai, il tuo capo comincia a piacermi. Vieni con me e niente ma.»
A casa di Agnese pare sia passato un uragano: Dina, la nipote, sta rileggendo una breve nota trovata nella tasca di un vecchio cappotto. Sul comò la foto di una donna, dallo sguardo severo.
Un altro giorno avrebbe riso per questa trovata dei suoi ragazzi, ma non oggi: questa mattina tutto il paese ha dato l’addio ad Agnese, 84 anni, una vita spesa a lavorare e aiutare tutti: a curare orti e giardini, a spolverare e stirare, senza mai lamentarsi, col solo rimpianto di non aver avuto una famiglia sua.
Il prete l’ha affidata a quel Dio che, e non aveva scelta, adesso doveva occuparsi finalmente anche di lei: meglio sarebbe stato però se le avesse evitato quella stupida caduta dalla bicicletta, là sul vialetto che porta alla villa dell’avvocato Verdi.
Chissà perché stava andando così di fretta? In tanti l’avevano notata:
«Don Camillo, l’ho vista bene: piangeva e andava tutta a zigozago! Le ho urlato di fermarsi ma sa cosa mi ha detto? Remo Gatti, và cagher! Proprio così, lei che non dava dello stupido neanche a uno stupido.»
Il bussare alla porta distoglie il prete dai pensieri: sulla soglia c’è Stefano, il direttore della banca. Un bravo ragazzo, alla mano: in paese è benvoluto da tutti, sempre disponibile e gentile.
«Lo so, lo so: il conto è in rosso demonio!»
«No, don, solo arancione, ma con tutta ‘sta roba tornerà verde brillante.»
Stefano dà un’occhiata alla merce sugli scaffali:
«A casa di mia nonna c’era uno scatolone per la roba che era peccato buttare, da portare al prete per la fiera di San Martino.»
«Oh beh, è un classico. Qui c’è roba che da anni fa il giro del paese: parola delle mie donnette, che hanno una memoria! Sanno dirti…toh, di questa gondola, su quanti televisori è stata!»
«Eh, ma c’è anche del formaggio, stagionato.» In una cesta ci sono punte di Parmigiano, magari piccole, ma insomma.
«Anche l’assoluzione ha il suo prezzo! A certa gente fa più effetto questo che non preghiere recitate a tempo di record.»
I due se ne stanno un po’ in silenzio, poi don Camillo non resiste: è chiaro che qualcosa turba il ragazzo: «Di cosa mi vuoi parlare Stefano?»
Il salotto del prete, a prova di orecchie indiscrete, è un invito alle confidenze: mobili datati, tirati a lucido, tanti libri su vecchi scaffali e dalla finestra aperta entra il frinire delle cicale, ospiti del grande tiglio in cortile, la cui ombra arriva anche tra quelle mura fresche.
«Don, ti capita mai di aver voglia di mandare affanculo qualcuno? Ma di brutto.»
«Qualche volta lo faccio, sperando che il mio capo non senta! Siamo umani, caro mio.»
Stefano di alza e si affaccia alla finestra, con le mani in tasca: Don Camillo capisce al volo, è roba seria.
«Guarda che se piangi non perdi dei punti, anzi.»
«Lo so, ma è una storia… disgustosa. Anche di più, visto che riguarda Agnese.»
«Cosa?»
Stefano gli racconta la scena avvenuta in banca quel pomeriggio: una donna, scarmigliata e agitata, aveva chiesto del direttore, cui aveva allungato un paio di libretti di risparmio.
«Sono la nipote di Agnese Cotti. Voglio incassare questi libretti, erano della zia, mi servono per le spese del funerale. Poi lei mi deve dire anche se ci sono altri soldi. Sono l’unica erede, quindi è tutto mio.»
Stefano è ancora allibito:
«Capisci, don? Io so l’effetto dei soldi sulla gente, che ce ne siano o meno, ma cristo santo… scusa… tre ore prima questa stronza era in chiesa, ma aveva già fatto saltare cassetti e armadi. L’avrei insultata, ma mi sarei abbassato al suo livello.»
«Spese? Che spese? Agnese aveva pagato tutto da tempo. E tu cosa le hai detto?»
«Che non potevo dirle nulla, ed è vero, se non con una dichiarazione che fosse lei l’erede, meglio se redatta da un notaio, come da prassi. Basterebbe anche il Sindaco, ma se davvero le spetta qualcosa, glielo farò sudare.»
Don Camillo è scuro in volto: anche lui sa il male che fanno spesso i soldi sull’animo della gente.
«Detto tra noi», prosegue Stefano, «Agnese aveva una cassetta di sicurezza, dove teneva altri libretti e il testamento. Ogni mese sistemava i suoi conti, rileggeva il testamento e scriveva su un foglietto dove aveva nascosto i libretti in casa, poi mi abbracciava. E io lì come uno stupido, col groppo in gola… avrei dovuto dirle che le volevo bene.»
«Lo so, ma si pensa sempre di avere altre occasioni.»
«Sai cosa mi spiace? Che quando aprirà la cassetta, la nipote troverà il testamento, che non è registrato, e lo brucerà. E tu perderai un sacco di soldi. Eri tu l’erede. Solo tu.»
Don Camillo, senza parole, prende da un cassetto un mazzo di chiavi, una copia delle chiavi di casa di Agnese. Gliele aveva lasciate lei per sicurezza, dopo essere rimasta chiusa fuori un paio di volte.
«È questa la chiave?»
«Direi proprio di sì. Sai, il tuo capo comincia a piacermi. Vieni con me e niente ma.»
A casa di Agnese pare sia passato un uragano: Dina, la nipote, sta rileggendo una breve nota trovata nella tasca di un vecchio cappotto. Sul comò la foto di una donna, dallo sguardo severo.
Ultima modifica di Susanna il Mar Set 03, 2024 10:14 pm - modificato 3 volte.