Vodizze, 8 ottobre 1683
Madre mia amatissima,
mi è rimasta solo una mezza candela, appena capace di resistere al soffio continuo del vento che, anche qui all’interno, scompiglia tutto. Solo una fiammella tremolante per illuminare a tratti il foglio sul quale sto scrivendo poche righe di saluto.
Con le lacrime che mi scendono dagli occhi, non posso fare a meno di paragonare la sua luce incerta alla fragile speranza che si accende e spegne nei nostri cuori.
Il nostro nascondiglio non è certo una reggia. Quattro assi inchiodate, un tetto di vecchie reti da pesca ricoperte di paglia e fango, due aperture senza vetri né imposte a far da porta e finestra; e folate, ancora tiepide per fortuna, a farci compagnia, a farci stringere l’una fra le braccia dell’altro mentre le orecchie si riempiono del loro fischio e del rumore del mare.
Mi manchi tanto. Ci manchi.
E so quanto io, la tua povera figlia, manchi a te. Riesco appena a immaginarmi la tua sofferenza, la tua disperazione non vedendomi tornare dalla bottega, quella sera. Quanto avrai pianto per la mia sparizione improvvisa e quanti pensieri funesti saranno nati nella tua mente, finché Andreas non è riuscito a portarti notizie e rassicurarti sulla nostra sorte.
Purtroppo non è ancora arrivato il momento di rivederci, di riabbracciarci. A questi lunghi mesi in cui siamo dovuti rimanere nascosti, se ne aggiungeranno altrettanti e, forse, altri ancora, dopo che Jakov e io ci saremo messi sulla via della fuga.
Perché sì, madre mia, è arrivato infine il momento che abbiamo tanto atteso. Domani sera prenderemo il mare sulla piccola barca che gli amici pescatori hanno preparato per noi in tutta segretezza e, con l’aiuto di Dio e col favore del buio e del vento, ce ne andremo di qua.
Il vento, il buon scirocco, dopo averci spettinati, accarezzati, coccolati, gonfierà la nostra vela e ci guiderà verso una sponda d’oltremare, verso una meta che, per tua e nostra sicurezza, non posso ancora svelarti, come non ti ho rivelato il luogo dove ci siamo rifugiati fino a ora per sfuggire alle accuse false, assurde e terribili che quell’uomo – non riesco neppure scrivere il suo nome – mi ha gettato addosso.
Soltanto perché l’ho respinto; solo perché, a differenza di alcune poverette che per mille ragioni non potevano opporsi, ho rifiutato di sottostare alle sue voglie; perché non ho voluto che mi mettesse le sue sporche mani addosso: per questo sono stata accusata, perseguitata, schernita.
Che nessuno mi avesse, se non poteva avermi lui.
Una strega! Così mi ha definita.
E denunciata.
Col suo potere, la sua carica, il suo denaro, non gli è stato difficile convincere sbirri e giudici della mia colpevolezza. La bottegaia che se la intende col demonio, la fattucchiera che getta il malocchio sulla brava gente… Un altro po’, e qualche onesto cittadino, pagato o minacciato che sia, avrebbe testimoniato perfino di avermi vista volare a cavallo di una scopa nelle notti di luna piena.
Una condanna, lo capisci, sarebbe stata inevitabile, con le conseguenze tragiche che non ci vuole molta fantasia a immaginare. Un mucchio di fascine intorno a un palo, una torcia fiammeggiante, un bel falò ed ecco fatto: il male è estirpato, per sempre.
Siamo riusciti a scappare appena in tempo, Jakov e io, grazie a un tempestivo messaggio di suo cugino che spesso lavora agli approvvigionamenti per la sbirraglia del Sindaco.
Ma tu, madre, di certo sai già tutto.
Le cattive notizie, si sa, corrono veloci.
Le lingue di paese, specie quelle più malevoli, sono svelte, si muovono in fretta.
Per questo, con mia grande tristezza, non ti ho fatto sapere dov’ero né ti dirò dove andrò. Dove andremo. Se voci del nostro tentativo dovessero arrivare alle sue orecchie, saremmo perduti. Il timore che, nonostante tutta la prudenza, qualcosa sia già trapelato ci opprime: alcuni pescatori hanno visto facce sconosciute e sguardi maligni aggirarsi nei vicoli del porto.
Ma la decisione ormai è presa. Confidiamo, in questo momento così amaro, che almeno il buon Dio e lo scirocco ci saranno benigni.
Lascerò questa lettera a uno dei pescatori che ci hanno ospitato e protetto. Lui sa come fare per consegnarla ad Andreas nel più breve tempo possibile e farla arrivare altrettanto velocemente nelle tue mani.
Stringila a te. Sarà il nostro abbraccio, in attesa di uno vero e forte che spero ci scambieremo presto.
Perdonami per averti lasciata sola.
Perdonami per averti fatta soffrire così tanto.
E da’ a Jakov e a me la tua benedizione.
La tua devota figlia
Lucija
«Ecco, Signor Giudice. Questa è l’ultima lettera che ho ricevuto da mia figlia.»
«Abbiamo compreso, Signora Lindek. Sappiamo che sua figlia e Jakov Salik sono periti nel naufragio della loro barca, affondata a causa del forte vento…»
«No, Signor Giudice. Perdonatemi, ma non è così. Non è stato affatto il vento a uccidere mia figlia e il suo Jakov. Spirava un forte scirocco quella sera, è vero, ma la vera causa della tragedia è stata una vile azione di sabotaggio perpetrata da quell’essere spregevole e messa in atto dal suo sgherro di fiducia.»
«E sapete dirci come, Signora Lindek?»
«Purtroppo sì, Eccellenza. La vela era stata manomessa, bloccandone il movimento, con un trucco che nemmeno il più abile dei marinai avrebbe potuto scoprire. E, sotto l’incalzare delle raffiche e delle onde, la barca è diventata ingovernabile ed è affondata.»
«Un trucco che, probabilmente, sarà anche difficile da dimostrare, dato che la barca è finita in fondo al mare.»
«Lo leggo nei vostri occhi, il dubbio, Eccellenza. Misto a un sentimento di pietà che non voglio e non credo di meritare.»
«Non è del mio sguardo che si deve preoccupare, Signora, ma del mio giudizio. E sappia che, per quanto umanamente possibile, esso sarà assolutamente severo e imparziale. Ha tutto il mio rispetto e la mia comprensione, Signora Lindek. Per lei e per il suo dolore. Ma un grave delitto è stato commesso e non posso certo lasciarlo impunito.»
«Di nuovo, Signor Giudice, vi chiedo di perdonarmi. Sono pronta a rispondere a tutte le vostre domande e, per quanto mi è possibile, cercare di chiarire tutti i dubbi.»
«Bene, Signora Lindek. Vuole dunque illustrare a questa Corte come ha saputo di questo ingegnoso sabotaggio e come si sono svolti i fatti che, esattamente dodici giorni fa, nella notte del 7 novembre 1683, hanno portato alla morte del Sindaco Račko?»
«Sì, Eccellenza. Vi chiedo solo, umilmente, attenzione e pazienza.»
«Così sia. Proceda, badando di essere breve.»
«Pochi giorni dopo la lettera di mia figlia, ne ricevetti un’altra, un documento ufficiale con tanto di firma del Sindaco, che mi annunciava, con grande rammarico e partecipazione, il naufragio della barca e la tragica fine dei due passeggeri.
«Non avevo ancora finito di leggerla che già una piccola delegazione di pescatori era di fronte alla mia porta: una mezza dozzina di persone ansiose di esprimermi la loro vicinanza nel dolore, ma soprattutto di farmi sapere che no, non poteva essere stato un incidente causato dal vento.
«“È vero”, mi dissero, “in mare può accadere di tutto, ma Jakov era un marinaio esperto. Troppe volte aveva affrontato lo scirocco, e in qualche caso anche la furia del libeccio, per lasciarsi sorprendere così. Una faccenda davvero strana…”
«Ascoltando le loro parole, e ripensando ai tizi sospetti nella zona del porto di cui mi aveva scritto Lucija, decisi che non potevo permettermi di soccombere al lutto, non ancora almeno, e che dovevo fare chiarezza. Ci sarebbe stato tempo, dopo, per lacrime e dolore. Ora, era tempo di cercare giustizia. Giustizia per due ragazzi che volevano solo essere felici insieme e dei quali invece non avremo nemmeno una tomba sulla quale piangere.»
«Riprenda pure fiato, Signora. Si prenda il suo tempo. E chiarisca a questa Corte anche il ruolo del suo complice.»
«Giusto, Eccellenza. Eccolo là. Quel pezzo d’uomo che spicca fra la gente è Andreas, amico da una vita e una specie di zio affettuoso per Lucija, fin da quando era piccola. Chi, come me, lo conosce bene sa che non farebbe male a una mosca, ma la sua stazza è stata sufficiente perché quel vigliacco di Pavel, il fedele sgherro del Sindaco, si sentisse minacciato e ci rivelasse, piagnucolando e verde di fifa, tutti i particolari della macchinazione. Così abbiamo saputo del sabotaggio. E solo a quel punto, certi della sua colpevolezza, ci siamo mossi affinché Račko ricevesse il giusto castigo.»
«E perché non lo avete…»
«Denunciato, Eccellenza? Ci abbiamo pensato, ve lo giuro. Ma quanto sarebbe valsa la mia parola, la parola di una semplice bottegaia, o quella di Andreas o di qualche pescatore, contro un uomo ricco e potente? Contro la parola del Sindaco? Credete davvero che, in questo caso, legge e giustizia sarebbero andate di pari passo?»
«Ehm… Sì… Qualcuno può chiudere quella finestra che sbatte? Vento infernale… Mi scusi. Vada pure avanti, Signora Lindek.»
«Potrà sembrare incredibile, ma rapire Račko dal Municipio è stato anche troppo facile. Perché, Eccellenza, chi mai andrebbe a pensare che una povera madre, distrutta dal dolore, possa rappresentare una minaccia? In breve, ho chiesto udienza al Sindaco e lui, nella sua grande magnanimità, me l’ha concessa. E, una volta sola con lui, l’ho fatto cadere addormentato drogando il suo bicchiere. Con l’aiuto di Andreas, che mi aspettava lì fuori, ho fatto uscire quel serpente dalla finestra posteriore, e, nel buio, lo abbiamo caricato su una carrozza chiusa.
«Lo scirocco aveva già lasciato posto al libeccio, ma, nonostante la sua cattiva fama, neppure lui volle ostacolarci; anzi, pareva piuttosto intenzionato a darci una mano: grazie alle sue folate ben dirette, il corpo del Sindaco sembrava pesare la metà e in un attimo lo issammo dentro la carrozza. E, ancora sulle ali del vento, lo accompagnammo verso il suo destino.
«Che lo attendeva nello stesso luogo, già noto ad Andreas, in cui si erano nascosti Jakov e mia figlia: una stamberga per le reti da pesca posta alla fine del vecchio molo. Un brutto posto, credetemi Eccellenza, per viverci a mesi interi come hanno fatto quei poveri ragazzi. Ma con un grande pregio, dal nostro punto di vista: una botola che si spalanca sul mare, in un punto in cui le acque sono già molto profonde. È proprio lì sopra che abbiamo messo Račko, legato stretto e con una grossa pietra assicurata alle caviglie.
«Il meccanismo era semplice: una tenda, una sorta di vela ammainata sopra la porta e collegata al paletto di apertura della botola. Appena sistemato il Sindaco, abbiamo calato la vela. Il vento l’ha gonfiata e ha fatto scattare il paletto. Il coperchio della botola è andato giù e…»
«Basta così, Signora Lindek. Quanto abbiamo udito non fa altro che confermare come lei abbia voluto sostituirsi in tutto e per tutto alla legge e farsi, al tempo stesso, sia giudice che boia!»
«No, Signor Giudice. Non io, credetemi. Il boia… È stato il vento.»