Jean-Luc li vide entrare con la coda dell’occhio, mentre tentava di vergare la lettera su un angolo del banco della portineria: la candela che s’era messo accanto ondeggiò allo spostamento d’aria.
Erano un uomo sui sessanta e una ragazza molto più giovane, sui venti, dai capelli neri e lisci. Li osservò attestarsi al banco, alla sua sinistra, e attendere.
“Torna subito,” scandì in buon italiano, “Il garzone, dico.”
La giovane gli elargì un’occhiata sorniona e sorrise. Aveva un bel viso tondo, occhi sottili, tratti piacevoli e pelle curata. Una bella donna. Il vestito, di buona fattura, era d’un colore azzurro che non le rendeva giustizia.
L’uomo invece non si voltò affatto; sotto la mantella gli s’intravedeva il collo d’un abito talare nero bordato di rosso: continuava a fissare avanti in attesa del ragazzo della portineria che, di suo, tardava a ricomparire.
Jean-Luc tornò a concentrarsi sulla lettera; aveva le parole ma non l’energia per metterle su carta. Lo distrasse il sentir lui descrivere, in francese, che sarebbe stato un grande fatto, al Duomo, un evento colmo di colori, con i vescovi e la corona di Carlo Magno.
“Perdonate,” sentì il prurito d’intromettersi, “Ma l’incoronazione c’è già stata.”
Calò un silenzio grottesco. Lui, l’uomo di fede, mosse una mano e, sempre senza voltarsi, sembrò indicarlo in modo scomposto. “Chi è questo giovane, mia cara?”
L’occhiata di lei parve di nuovo maliziosa, accompagnata a un sorrisetto mellifluo. “Un gran bel soldato, eccellenza.”
“L’incoronazione c’è già stata?”
“Temo di sì,” Jean-Luc accennò alla finestra e al Duomo che stava dall’altra parte della piazza, “Due giorni fa.”
Pensò che il suo evitare di guardarlo fosse dovuto a un’illogica timidezza, ma realizzò molto presto, quando ne scorse il volto, che i suoi occhi erano appannati e bianchi come quelli di certe creature ipogee.
L’uomo di chiesa abbassò il capo, come deluso, ma lo rialzò quasi subito in un picco di stizza. “L’avevo detto io che non dovevamo tagliare per Digione.”
“Non l’avete detto, eccellenza.”
“L’ho detto, eccome se l’ho detto, Juliette. Ricordo bene d’averlo detto!” Sospirò e poggiò ambo le mani, pallide, sul banco. “Quindi a quest’ora ella sarà già morta.”
“Morta scannata.”
Jean-Luc sentì un brivido traversarlo per intero. “Chi è morta?”
“Quella bella donna, figliolo, dalla chioma scura e il gran seno.”
“A chi vi riferite, di grazia?”
Questa volta il prelato si voltò del tutto come a guardarlo, sebbene i suoi occhi fossero vacui e privi di qualsiasi colore. “La donna più importante di Francia.”
“Ho presenziato all’incoronazione, ero di picchetto: vi assicuro che madame de Beauharnais era ed è in ottima salute.”
“La vista inganna, signor…?”
“Sono il tenente Aubrier della Guardia, monsieur. E insisto nel dirvi che non è accaduto nulla di quanto dite.”
“Vorrei potervi dare ragione, figliolo. Se fossimo arrivati in tempo forse questo non sarebbe accaduto: ma ora un’altra è morta…”
“Morta scannata.”
“…e s’aggiunge alle altre.”
Tornò a guardare avanti e la ragazza accigliò. “Volete pernottare lo stesso, quindi?”
“Ormai è tardi per rimettersi in viaggio. Dormiremo qui. Alloggiate anche voi, tenente?”
Jean-Luc assentì pur avvertendo l’improvviso bisogno di trovarsi altrove.
“Cosa scrivete, se posso?”
Il soldato increspò lo sguardo, rigirò per un momento il pennino tra le dita, guardò l’uomo. “Come sapete che…” Il fruscio della carta o il tocco dello stilo nel calamaio, si rispose da sé. “È solo una lettera,” farfugliò raccogliendo il foglio e ripiegandolo con un paio di gesti nervosi nel taschino dei calzoni. “Vi auguro la buonanotte.”
S’alzò e congedò con un cenno educato, avviandosi alle scale e lasciandoli ad attendere il garzone.
*
Jean-Luc non sentiva il richiamo del sonno.
Sedeva sul letto e s’alzava di continuo, vagando nella camera. Il Duomo, dalla finestra, appariva e spariva nei lumi notturni. Quel vecchio prete e la sua bizzarra accompagnatrice entravano e uscivano dalla sua testa come fantasmi, ora seducenti ora orribili. Continuava a ripetersi che l’indomani avrebbe lasciato Milano, pure l’idea che ci fosse qualcosa di vero nei vaneggiamenti del prelato lo turbava e inquietava.
Immagini di belle donne morte, con gli occhi sgranati e le labbra dischiuse, apparivano di continuo dietro le palpebre.
Resse finché poté poi cedette.
Rindossò l’uniforme senza giacca, mise la sciabola alla cintura e uscì nel corridoio. Non aveva idea d’in quale stanza alloggiassero, ma riconobbe subito la risata giuliva di lei nel silenzio dell’albergo e s’accostò a origliare. C’era un che di perverso in quella coppia: possibile che l’uomo di chiesa se la filasse con una prostituta?
Gelò quando non sentì più alcuna voce ma un silenzio sepolcrale.
La porta gli s’aprì davanti e Jean-Luc perse un respiro: il prelato, in camicia, calzoni e crocefisso, sembrava guardarlo sornione dietro la barriera sgradevole dei suoi occhi ciechi.
“Potevate bussare, figliolo.”
“Come sapevate che…?”
Il passo degli stivali sul legno o forse il respiro troppo forte, si rispose da sé.
“Entrate, entrate.”
“Non era mia intenzione disturbare.” Lo seguì malvolentieri in camera richiudendo la porta. Jean-Luc stranì alla vista del cavalletto con la tela e ancor più della figura di lei, Juliette, sdraiata sul letto, nuda, le braccia sopra il capo e un sorriso vibrante sui tratti.
“Sedete, ragazzo,” il monsignore s’assise su uno sgabello davanti alla tela e riprese il pennello, “Ve l’avevo detto, mia cara, che sarebbe venuto a cercarci.”
“Non l’avete detto, eccellenza.”
“L’ho detto, eccome se l’ho detto, Juliette. Ricordo bene d’averlo detto!”
Il tenente Aubrier aggiustò la camicia, a disagio, cercando di non tenere lo sguardo su di lei, le sue forme tonde esposte, il suo occhieggiare con malizia.
“Avete delle domande, deduco,” incalzò l’uomo, ora concentrato sul dipingere.
“Cos’è accaduto all’incoronazione? Perché parlate d’una donna morta?”
“Non morta: uccisa.”
“Scannata,” fece eco Juliette.
“Che storia è questa?”
L’uomo sorrise spennellando con cura maniacale. “L’hanno assassinata sotto gli occhi di tutti, solo che nessuno se n’è accorto. Neppure voi.”
“Fantasie. E chi sarebbe l’assassino?”
“Il vostro imperatore, ma non da solo.”
Verso di sarcasmo. “Delirate. Come potreste sapere queste cose se neppure avete presenziato?”
“Oh, le deduco dai vostri pensieri licenziosi.”
Jean-Luc spostò lo sguardo su di lei, le sue gambe nude, le curve dei fianchi, dei seni carnosi: Juliette ricambiò con un mordicchiare di labbra.
“Se c’è stato un omicidio allora c’è un corpo: dove si trova?”
“Nel Duomo, chiaramente. Ma ve ne sono altri, a Notre Dame per esempio.”
Scosse il capo, teso. “L’imperatore avrebbe fatto assassinare questa donna?”
“E non è la prima. Sono una lunga fila, a dire il vero, ormai da anni a questa parte.”
“E per quale dannato motivo?”
“Calcolo, ritorno, gloria personale? Per cosa uccidete voi, tenente?”
Il caldo nella stanza s’era fatto più intenso di quanto le candele accese potessero indurre. C’era del sudore a bagnargli il colletto della camicia. Immagini delle scariche di fucileria tra le barricate di Nantes divamparono nel suo inconscio.
“Assurdo. Servono delle prove per accuse gravi come le vostre.”
“Le avete qui innanzi.”
Juliette salutò con un movimento civettuolo delle dita.
“Non vi muovete, cara.”
Jean-Luc accennò brusco, infastidito, “Come potete ritrarla se siete…?”
“Cieco? Dio mi ha tolto la vista, figliolo, non l’uso delle mani.”
Aubrier si sporse a guardare la tela in facimento: la figura della ragazza era ritratta con cura e dovizia, come se egli potesse davvero vederla, stesa e nuda sul letto. Pure ne aveva alterato l’espressione, gli occhi erano dilatati, colmi d’orrore, le labbra schiuse, un rivolo di sangue al lato della bocca.
Se mai fosse esistita una raffigurazione ideale della morte, il cadavere dipinto di Juliette ne sarebbe stato eccellente esempio. Notò altre tavole poggiate contro il muro, coperte, e senza attendere permesso le andò a svelare: altre donne morte giacevano stese su erba, lenzuola, terra, in pose contratte e scomposte. Non s’assomigliavano l’una con l’altra eppure tutte avevano un qualcosa d’orribile, come se le avesse già vedute da qualche parte nel corso della propria esistenza.
Jean-Luc si ritrasse sgomento. “Siete un folle o peggio: nessun uomo di Dio indulgerebbe in questa perversione!”
“Voi siete un uomo di Dio, tenente?”
Sentì la saliva seccarsi. Il corpo di Juliette non era più sufficiente a tenere acceso quel baleno di passione che l’aveva accaldato: sentiva un freddo da inverno precoce. I lampi e le grida di Clisson tornarono a graffiarlo sulla parete della memoria. Non era possibile raffigurare la morte così perfetta senza averla vista coi propri occhi.
“Assassino,” scandì Jean-Luc poggiando la mano sulla sciabola, con le dita pallide e rigide.
“Vi sbagliate. Io cerco gli assassini, tenente, è il mio mestiere.”
Si ritrasse, attonito, incespicò, mentre il prelato continuava a dipingere imperturbato e Juliette a posare per lui, nuda tra le lenzuola, un sorriso malizioso sui bei tratti.
Era una bella donna.
“Vi avevo detto che ci vuole occhio.”
“Non lo avete detto, eccellenza.”
“L’ho detto, eccome se l’ho detto, Juliette. Ricordo bene d’averlo detto!”
Aubrier arretrò malamente fino alla porta. C’era una donna, vista a St. Christine, che le somigliava orribilmente. Un’altra, a Clisson, l’aveva intuita su una delle tele contro il muro.
Il suo corpo nudo e lascivo non era diverso che per dettagli da quello d’una violenza carnale rimasta impressa nella sua memoria.
Voi per cosa uccidete, tenente?
“Non sono qui per punirvi,” l’apostrofò una volta di più il vecchio, “Quello è il lavoro del Signore. Ma date retta: la lettera che avete in tasca, fatene buon uso.”
Jean-Luc sentì i nervi crollare: aprì la porta della camera e barcollò nel corridoio.
Non poteva sapere. Non ne aveva parlato mai con nessuno.
Scese la scala fino alla portineria, dove il guardiano del turno di notte non diede che un sussulto dal sonno, e poi in strada. Il Duomo sembrava guardarlo come la bocca d’una grande bestia.
Appoggiò la schiena alla parete in muratura e lì rimase, ansando come un cane alla fine dei giorni.
Nessuno l’aveva inseguito e gli parve di sentire ancora la risata cristallina di Juliette.
*
Alla luce del giorno tutto era tornato canonico. Le guglie del Duomo, maestose, non sembravano più zanne di demone.
Seduto al banco della portineria, Jean-Luc Aubrier guardava il viavai di ospiti man mano che gli astanti venuti ad assistere all’incoronazione si rimettevano in viaggio.
Chiese all’addetto se potesse dargli il nome del vecchio religioso e della ragazza, ma quello non aveva idea di chi parlasse. Non c’erano uomini di chiesa sul registro e nessuno s’era presentato come tale, men che meno avevano clienti affetti da cecità.
Attese di vederli scendere fino a tarda mattina, invano.
Se n’erano andati ancor prima dell’alba, quando lui era caduto, stremato, in un sonno convulso: i lemuri della guerra, invece, quelli non erano andati mai via, per quanto li avesse seppelliti a fondo.
Gli scorci titillanti di Juliette erano ora connessi a quelli delle giovani violentate e massacrate a St. Christine, Clisson e una dozzina d’altri luoghi che aveva scelto di dimenticare. Un prezzo necessario, diceva allora.
Fu certo che le belle donne morte sulle tele del vecchio le avesse create lui stesso, per dare volto a quelle che aveva visto trucidare negli anni, sotto le baionette e i proclami: una aveva il nome di Vandea, un’altra di Rivoluzione, un’altra ancora Repubblica, poi Libertà, Uguaglianza, Fraternità.
L’imperatore aveva assassinato quasi tutte ma lui più ancora, che con un fucile e una baionetta, assieme a migliaia d’altri, l’aveva reso possibile.
Non c’era un assassino, tutti lo erano.
Voi per cosa uccidete, tenente?
Tolse di tasca e appoggiò sul banco la carta ripiegata. Recuperò il pennino e il calamaio: il garzone della portineria lo guardava annoiato.
Aveva le parole e stavolta anche l’energia per metterle per iscritto.
Cominciò a vergare la propria lettera d’addio alle armi.