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Nebbia sulla laguna (Un giorno a Venezia)

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Flash Gordon

Flash Gordon
Padawan
Padawan

https://www.differentales.org/t2820-haiku#39406:

 Nebbia sulla laguna

Nebbia sulla laguna… s’insinuava leggera e impalpabile fra brunite briccole.
Il mattino trasmetteva al corpo tutto il freddo della notte, quella che a volte lo spirito insegue senza trovare alcuna luce.
Le prime luci dell'alba accompagnavano passi lenti e incerti.
Il bavero del cappotto alzato, gli occhi sbarrati verso il nulla.

Passavano accanto a me figure esili, d'un contorno sfumato e ombroso.
La loro essenza appariva dipinta da un malinconico andare.
Erano così grevi e tristi nella loro staticità da essere molto distanti da quel mondo reale che le avvolgeva stritolandole con il suo vuoto interiore.
Presi un treno a caso, il primo a tiro di salita.
Il mio lavoro m’attendeva all’arrivo con il suo ancestrale mistero, cucitogli indosso da uno straordinario alchimista.
Intorno a me v'era un silenzio fatto dei frastuoni delle anime che, raccontando degli altri, tra loro discorrevano.
Immaginavo che parlassero del loro passato e di cosa sarebbe avvenuto solo se...
Era un universo seduto su un sedile di velluto, in attesa di Venezia.
Posai le suole delle mie scarpe sul marciapiede, al fermarsi del treno, e mi estraniai dalla confusione. L’acqua era così immobile e…

Tenevano compagnia al mio sguardo ancora quelle briccole che affondavano dentro la laguna.
Pali in legno di quercia che in gruppi di tre puntellavano il mare segnando
i canali navigabili e l'altezza delle maree.
L'aspetto verdastro donatogli da alghe e licheni le rendevano invisibili allo sguardo distratto.
M'apparve così Venezia, nella sua bellezza sdrucita e immaginifica.

Santa Lucia: approdo nel sogno, stazione d'arrivo e mai di partenza, perché mai si vorrebbe andar via da questa città.
S'intrecciavano i pensieri formando, nella diversità delle lingue, un unico grande suono che percepivo sotto forma d'un leggero brusio che sembrava seguirmi giù per i gradini che aprivano la strada per la basilica di San Marco.
Mi ritrovai immerso nel Sestiere di Cannaregio, fra vie e salizade che si snodavano davanti agli occhi lasciando intravedere vetrine di negozi segnate dal tempo, all'interno di ognuna una storia rapiva il visitatore distratto tra l'effimero della bellezza e la sostanza della vita.
Tutto era diverso nella normale realtà quotidiana così tanto consueta per quei luoghi.
Nel procedere ammiravo, nei loro colori tra il rosso vivido e il giallo spento, una serie di costruzioni plasmate dai secoli in molteplici forme.
Esse lasciavano intravedere legni ricurvi modellati da chissà quale artigiano naturale.
Presi a camminare in modo veloce e attraversai il mercato del pesce trovandomi, senza accorgermene, sul Ponte di Rialto.
Salii quei gradini marmorei che degradavano le tonalità in un grigio tenue che ben s'accordava con la giornata plumbea e piovigginosa.
Una volta in cima ammirai il corso del Canal Grande, governato da melmose acque, che poco lasciavano vedere dei fondali.
Eppure v'era più vita in essi di tanti luoghi che avevo visto in precedenza.
Nel sentire il suono d'un remo in mare, che trascinava nere gondole dai fregi dorati portando con sé sorrisi e sogni d'innamorati, restai lì a pensare estraniandomi per un po' dalla realtà circostante e soffermandomi attentamente verso il moto ondoso creato da quelle imbarcazioni che, nel suo ondulare, sbatteva contro palazzi e banchine dipingendo su di loro sbuffi di verdastri colori.
Immaginai allora d'incrociare con lo sguardo l'antico “Bucintoro”, Galea di stato dei Dogi che era usata ogni anno per la celebrazione del rito dello sposalizio con il mare nel giorno dell'Ascensione.
Tutto ciò non era certo possibile nella realtà perché quella magnifica imbarcazione fu distrutta dai Francesi nel 1797 dopo la caduta della Serenissima.
Deluso dalla storia scesi da Rialto e presi una via a caso dirigendomi comunque verso piazza San Marco.
Nell'avviarmi, ebbi un sussulto d’anima… ero così estraneo a quei luoghi eppure così vicino, venivo da lontano ma ero a casa.
Mi inoltrai, tra caffè e vetrine polverose opulenti d'una ricchezza andata, passando sotto gli archi che squadravano la piazza.
L'aria umida e fredda, nel frattempo, mi scuotevano in un respiro affannoso che toglieva un certo vigore fisico.
Mi fermai per un attimo, raccolsi i sensi e le forze.
Mi sciolsi in un tepore visivo nel vedere la Basilica, il campanile e il Palazzo Ducale.
Pensai così a Casanova sgusciato nottetempo via dalle sue prigioni, dopo una beffarda fuga in una sera di gran ballo a Palazzo.
Mi domandai poi quante volte Marco Polo aveva tracciato i suoi passi sulle vie di Venezia, non trovando risposta in me.

Così andava la mia vita in un uggioso giorno in cui la statua del campanile s'ergeva sulla laguna... quella stessa statua rimasta miracolosamente intatta dopo il crollo del campanile avvenuto ai primi del 1900, in una mattina in cui fra mille tremori esso s'accasciò sulla piazza, frantumandosi completamente in milioni di piccoli frammenti, che in seguito furono raccolti e depositati sul fondo della laguna.
Rappresentavano l'essenza della città stessa, il legame con la storia.
Il Palazzo Ducale appariva magnifico, alle spalle del campanile, quasi a voler rivendicare il suo posto di guida e di potere nei confronti degli altri. Nell'appoggiarsi suo alla Basilica di San Marco volgeva il fianco alla fede completa. Gli stucchi dorati e le cupole orientali descrivevano con ricchezza di particolari il passato di Venezia, porta dei traffici commerciali verso l'oriente, fino a quando il genovese Colombo ne decretò il lento e inesorabile declino, cui mise fine definitiva Napoleone alla fine del 1700.
Da allora divennero tristi e solitarie le opulenti ville sulla riviera del fiume Brenta che, costruite dai nobili veneziani, erano rifugio estivo per balli e divertimenti. Mentre pensavo a questo, cominciai ad avvertire un freddo persistente dentro di me, mi accostai su una banchina, acquistai un biglietto per il vaporetto che, attraverso il Canal Grande, mi avrebbe riportato alla stazione di Santa Lucia. Aspettai intorpidito l'imbarcazione e nella calca generale, al suo arrivo, trovai un posto in piedi sulla tolda all'altezza della prua. M'aggrappai a un passamano e, tra il vorticoso rollio della acque e il rumore del motore, iniziai a osservare la laguna.
La foschia, persistente e gelida, irretiva la vista sempre di più e io, preso dal mio malinconico sogno, mi lasciavo trasportare dall'immaginazione, mentre un'antica suonata cantava nel mio cuore...
Mentre Venezia era nel cuore.


______________________________________________________
Io sono quell'effimero scorcio d'arancio e di giallo che al tramonto appare per un istante e s'allunga in cielo, prima che la terra volti la faccia e il sole si ritrovi dall'altra parte del mondo.
Io sono sempre dall'altra parte del mondo quando gli altri mi leggono, per questo non esisterà mai un mio scritto.

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