Verità celate
In una piccola casetta ai bordi di una foresta nel New Jersey, Stati Uniti, viveva Eloisa.
Da sempre abituata alla solitudine e alla tranquillità del luogo, di rado andava in paese ma riceveva regolarmente la visita di Margy che, col pretesto di portarle le provviste, spettegolava sui fatti altrui.
Appena trentenne, Eloisa ancora non sapeva che qualcosa di insolito avrebbe stravolto la sua vita, mancavano vent'anni agli inizi del '900...
Da giorni camminava senza meta, voleva ritrovare i suoi ricordi.
L'uomo era di giovane età, forse appena trentenne, un accenno di barba lo faceva apparire trasandato e la stanchezza traspariva dal suo volto.
Si ritrovò in quel luogo sperduto senza comprendere le ragioni che lo avevano spinto ad addentrarsi in luoghi cosi lontani dalla sua abituale dimora.
Stanco e affamato bussò a una modesta abitazione isolata dal resto del paese.
Abituata al silenzio Eloisa avvertì quell'insistente bussare e, con un certo timore, si accinse ad aprire l'uscio.
Due occhi smarriti, color smeraldo, la fissavano con insistenza.
Un debole abbozzo di sorriso fu la prima cosa che notò prima di vederlo stramazzare al suolo privo di sensi.
Eloisa non si perse d'animo, facendo forza, lo afferrò ai piedi trascinandolo nel divano situato nell'ampia cucina munita d'una grande finestra che illuminava la stanza, rendendola confortevole e calda. Prese i sali e accostandoglieli alle narici gli parlò energicamente:
«Giovanotto, svegliati, non farmi questo! Cosa penseranno in paese se scoprono che un uomo è disteso nella mia cucina? Quella pettegola di Margy non attende altro per sparlare, vogliamo darle questa soddisfazione?»
Per un attimo il giovane aprì gli occhi e una luce, intensa come una visione, diede loro vita spegnendosi subito e facendolo piombare in un sonno profondo.
Eloisa gli rinfrescò il viso con po' d'acqua, notando un accenno di piccole rughe attorno agli angoli delle labbra che sfiorò delicatamente seguendone i contorni. La sua attenzione, con sguardo furtivo, cadde poi su tutto il resto del corpo.
Indubbiamente era bello e atletico, i muscoli pettorali si sollevavano col respiro facendo vibrare la stoffa della camicia.
Con fatica riuscì a sfilargliela, lo ripulì con un morbido panno imbevuto d'acqua tiepida situata in un catino esposto al sole che utilizzava all'occorrenza ; restava da togliere stivali impolverati e pantaloni. Arrossì fino alla radice dei capelli ma comprese che doveva liberare quel corpo da indumenti incollati addosso dal sudore.
Riuscì nell'intento sentendosi affaticata: negli intervallati risvegli era riuscita a farlo mettere a letto, nel suo letto. Si distese al suo fianco e si assopì mentre le ombre della sera coprivano di rosso l'orizzonte.
Si destò più volte nell'arco della notte per umettargli le labbra febbricitanti, il corpo era scosso da fremiti e lei sempre più preoccupata per i risvolti di questa strana faccenda; perché quel bel giovane si era fermato proprio da lei? Cosa cercava, chi era, poteva essere un ladro o un assassino. Ci avrebbe pensato al risveglio, era troppo stanca per lambiccarsi il cervello.
Qualcosa le sfiorava il viso, cercò di scacciarla con la mano ma quel qualcosa la afferrò stretta:
spalancò gli occhi e un urlo le morì in gola. Realizzò di avere un uomo nel suo letto e sistemandosi alla meglio la lunga gonna che non si era tolta si rizzò a sedere.
«Lei è un angelo, mi ha salvato da morte certa, ero sfinito, quando ho visto la sua dimora ho compreso d'avere avuto fortuna.
Erano giorni che girovagavo nei boschi circostanti, mi sono smarrito dopo essere sfuggito a dei malfattori che mi hanno depredato. Ero alla ricerca di qualcosa che ho perduto, il destino mi ha condotto qua, non abbia timore, non ho perduto il senno, ho solo perduto i miei ricordi d'infanzia e dell'adolescenza, non riesco a comprendere cosa mi abbia condotto nei pressi di questo villaggio, qualcosa mi ha spinto a venire in questi luoghi, ci sarà una ragione a tutto questo.
Intanto mi presento:« Mi chiamo Benjamin Kent e vengo dal Sussex, erede d'un nobile casato, orfano dall'infanzia ho sempre vissuto nell'agiatezza con mia zia adottiva, mi sono sempre chiesto dove fossero finiti i miei ricordi. Inizio la mia vita dall'età di diciotto anni, ciò che è successo prima è per me un mistero, non so niente del mio passato, la zia non ha mai voluto parlarmi della mie origini.
Poco prima di morire ha fatto qualche ammissione confusa che non sono riuscito ad afferrare, ho seguito il mio istinto, mi ha condotto in questi luoghi e per fortuna ho incontrato lei, mio angelo, ha riportato luce nella mia vita.»
Eloisa confusa e incantata lo osservava attentamente, nessuna parola le era sfuggita e uno strano impulso di sfiorare quel viso per donargli conforto le fece allungare le mani che ritrasse immediatamente mentre un rossore si diffondeva nel diafano volto.
Avevano tanto in comune, anche lei era orfana, fino all'età di diciotto anni aveva vissuto in istituto, non aveva mai saputo chi era la sua famiglia, un muro di silenzio l'aveva separata dal mondo.
Calde lacrime le rigarono il viso.
«Mio angelo, non pianga per me.»
«Non piango per lei Benjamin, la sua storia somiglia stranamente alla mia, con la differenza che non ho mai avuto una zia ricca, ho dovuto lavorare tanto per potermi permettere l'acquisto di questo rudere che poi ho riattato per renderlo vivibile.
Anch'io vorrei scoprire chi sono i miei genitori e perché mi hanno abbandonato in istituto.»
«Mi spiace cara» disse Benjamin mentre le rivolgeva una lieve carezza a cui Eloisa si abbandonò chiudendo gli occhi, le ciglia fremettero brillando di lacrime che scivolarono copiose.
Si scosse tossendo imbarazzata.
Sistemò i riccioli biondi sfuggiti allo chignon, le incorniciavano il viso rendendola ancor più attraente agli occhi di Benjamin che la osservava incantato.
«Mi scusi, sarà affamato, preparo qualcosa da mangiare.»
«Grazie cara, le do una mano in cucina» Era talmente debilitato che ricadde pesantemente sul letto, pallido in volto, probabilmente ancora febbricitante.
Gli offrì un veloce pasto caldo che divorò in poco tempo, anche Eloisa mangiò con un certo appetito, felice di non essere sola, la presenza di quell'uomo la faceva sentire viva, utile.
Si era instaurata tra loro una strana complicità, parlarono di tante cose, della loro vita attuale, dei loro progetti e delle segrete speranze di scoprire le loro origini.
Avevano tante cose in comune, era sorprendente che in breve tempo si sentissero cosi vicini e affiatati, quasi complici.
Il giorno seguente Benjamin si destò all'alba, si sentiva forte e decise di fare una sorpresa a Eloisa che stanca dagli avvenimenti era ancora addormentata.
Uscì in giardino, spaccò un po' di legna e rientrando accese il camino. Un tepore e un'atmosfera familiare lo rendevano particolarmente euforico, preparò la colazione; non scordò di aggiungere una bellissima rosa colta ancora intrisa di rugiada, associandola col pensiero al bel viso di Eloisa.
Un profumo di caffè e pane tostato la risvegliarono, un sorriso affascinante e due occhi color smeraldo fecero il resto: un crampo alla bocca dello stomaco la avvertì che non era indifferente a quell'uomo appena conosciuto. Le piaceva, le piaceva così tanto da farla star male.
Non aveva mai provato niente di simile per nessun altro uomo prima di quell'istante.
Distolse gli occhi ma Benjamin si rese conto d'averla turbata, anche lui provava le sue stesse sensazioni, i loro occhi si incrociarono e senza rendersene conto si ritrovarono abbracciati.
Un ardente bacio sigillò quel primo e inaspettato approccio.
Si fermarono in tempo e scoppiarono a ridere entrambi non senza imbarazzo.
«Perdonami cara, è stato più forte di me, le tue labbra splendide come questo bocciolo di rosa mi hanno stregato, dovevo baciarti per non morire.»
«Devo confessarti che l'ho desiderato come te e mi vergogno, non so cosa mi stia succedendo con te, stai rivoluzionando la mia esistenza ma sono felice d'averti qua.»
«Eloisa, domani vorrei andare al villaggio per parlare col sacerdote, stanotte nel sogno qualcuno mi ha suggerito di andare là, vuoi venire con me?»
«D'accordo Benjamin, non ci sono problemi, vieni con me a fare due passi? Vorrei farti vedere la mia bellissima valle, mia per modo di dire, vado là quando mi sento triste, c'è una grotta scavata tra le rocce, la uso come rifugio; alcune volte, stanca di fantasticare mi sono addormentata là; una notte mi ha svegliato un lupo, era più spaventato di me, ci siamo osservati e siamo scappati entrambi.»
S'addentrarono nella valle, una meravigliosa vista si presentò ai loro occhi, si presero per mano e corsero a perdifiato in un tratto verdeggiante di pianura; incrociarono cerbiatti e conigli selvatici, alcuni puledri in libertà brucavano erba e alla loro vista scattarono in un precipitoso galoppo.
Giunti alla grotta ammirarono indisturbati quell'angolo di paradiso che si presentava ai loro occhi; si distesero e dopo ore di lunghe chiacchierate decisero di rientrare.
All'ingresso si abbracciarono suggellando quella giornata con un lunghissimo bacio che li lasciò ansanti e desiderosi di andare oltre ma, si trattennero confusi.
Il giorno dopo si recarono dal sacerdote del paese che li accolse con modi modi gentili.
Ascoltò attentamente la storia del giovane e grattandosi pensoso il mento disse:«Mi pare di ricordare: in quegli anni si parlava tanto di una nobildonna che aveva partorito in incognito nel convento delle Carmelitane Scalze, un luogo di severa clausura che raramente ospitava viandanti. Nell'occasione i genitori della nobildonna elargirono un grosso lascito all'istituto che si impegnò a mantenere segreto l'avvenimento, ma si sa, i segreti non durano mai a lungo, qualcuno parlò della nascita di un bellissimo bimbo che in seguito fu affidato a una nobile famiglia.
Il fatto curioso è che venne alla luce anche una bimba lo stesso giorno e qualcuno paventò l'idea che la nobildonna avesse partorito due gemelli.
E' giunto il tempo figliola che tu sappia che quella piccina eri tu.»
Eloise si sentì sprofondare, Benjamin impallidì e diede un violento pugno alla parete.
Il vecchio sacerdote spaventato non comprese la reazione del giovane e scuotendo il capo con fastidio accompagnò i due alla porta, per lui la discussione era chiusa.
I giovani ammutoliti, non avevano il coraggio di guardarsi; erano fratelli, che orrore, si erano baciati e stavano per andare oltre, non potevano essere fratelli, non era possibile quell'attrazione che per poco non gli aveva fatto perdere il senno, Dio mio avevano sfiorato l'incesto, (pensarono entrambi.)
Conati di vomito scossero il corpo di Eloisa e Benjamin pallido in volto non osò guardarla.
Si avviarono verso casa affranti, entrambi cercavano di proferir verbo ma si fermavano, non poteva il destino averli fatti incontrare per separarli allo stesso tempo, che orrore, che tragedia, non pensavano ad altro, volevano scomparire entrambi, riportare indietro l'orologio del tempo, non pensare all'oggi che li rendeva così infelici facendoli vergognare.
Dovevano allontanarsi, dirsi addio subito, non potevano pensare al loro legame di sangue, come poteva il sacerdote essere stato così sicuro e crudele nel non aver taciuto.
Giunsero a casa sconvolti, Benjamin raccattò le sue cose, la sfiorò delicato, si trattenne dall'abbracciarla stretta stretta e con le lacrime si allontanò da quel luogo che gli aveva donato oblio e tormento. Eloisa inebetita, per giorni e giorni rimase ad osservare quella porta sperando fosse frutto di un incubo, si riaprisse quell'uscio e Benjamin l'abbracciasse dicendole che era stato un brutto sogno.
Passarono lenti i giorni e le settimane ma il dolore si faceva più intenso. Come poteva amare in quel modo suo fratello? Stessi pensieri e tormenti albergavano in Benjamin che smagrito e depresso si mostrava scorbutico con tutti.
Intanto il tempo fuggiva come i pensieri di Eloisa, l'inverno aveva ceduto il passo alla primavera che aveva fiorito l'intera valle ma il suo cuore era sfiorito e cadeva a pezzi come i petali delle margherite stanche di vivere, niente più aveva senso per lei.
Benjamin era sempre nei suoi pensieri e lei si rinchiudeva sempre più in se stessa cercando di scacciarne il ricordo ma, i pochi baci che si erano scambiati erano rimasti impressi come un marchio che la condannava all'eterno disprezzo di se stessa.
Un altro inverno era giunto, di lei era rimasta solo l'ombra, tant'è che in paese cominciarono a mormorare che era pazza, stava interi giorni innanzi alla sua grotta a borbottare e pregare come un eremita.
Distesa nel suo letto osservava senza vedere il soffitto, strane ombre deridevano i suoi immutati pensieri e ciò la faceva vergognare. Un bussare precipitoso all'uscio la scosse dall'apatica indolenza che l'aveva fatta cadere nel precipizio della depressione.
«Chi é?» chiese
«Sono John Gray, il sacerdote, apri figliola, sono venuto a portarti conforto»
«Vada via, non voglio vedere nessuno»
«Ti prego figliola, sono venuto a portarti buone notizie, suvvia apri quest'uscio»
A stento la ragazza s'avviò verso la porta, il curato piombò dentro come un fulmine, sudato e arrossato come un peperone si sedette poggiando i gomiti nella tavola dell'accogliente cucina.
Lo interrogò con lo sguardo, egli diede alcuni colpi di tosse, altamente imbarazzato e le chiese un bicchiere d'acqua.
Bevve d'un fiato e asciugandosi la fronte imperlata di sudore con un fazzoletto sgualcito la fissò dicendole:«Accomodati figliola, ti vedo smagrita e penso d'essere la causa di ciò che ti tormenta, la mia avventatezza è stata imperdonabile, sono voluto andare a fondo della faccenda per quanto riguarda i tuoi natali.
La madre badessa per fortuna teneva un registro e tramite le mie conoscenze ho avuto l'opportunità di dare un'accurata sbirciatina.
Non crucciarti figliola, ho scoperto tutto.»
«Mi lasci in pace, non vivo più, ho amato quell'uomo e Dio mi perdoni lo amo ancora non come fratello, sarò dannata in eterno.»
Aveva consumato le lacrime, il suo viso portava i segni del tormento e il cuore del prelato si sciolse dalla pena e dal senso di colpa che lo perseguitava da alcuni mesi.
Doveva parlare, raccontare ciò che aveva scoperto e poter così rappacificare la coscienza e porre fine al tormento di Eloisa.
Troppo tempo era intercorso tra dubbi e verità celate, era tempo di vuotare il sacco-.
«Cara figliola, devi sapere che nel convento si trovava ospite una giovane maestrina di umili origini e un grande peso da nascondere, ella era rimasta ingravidata da uno straniero che le fece perdere il senno ma non potè sposarla poiché un fulmine in una notte di tormenta, lo incenerì prima che potesse chiederla in sposa, era sulla via del ritorno al villaggio ma Iddio o il demonio non gli concessero quella possibilità e la poveretta per la vergogna e il dolore si rifugiò al convento dove morì mettendoti alla luce, non ti ha abbandonato di sua volontà, sicuramente ti ha amata tanto nel suo grembo, eri frutto dell'amore, come avrebbe potuto non amarti?»
«E Benjamin! Che ne è stato della nobildonna che lo mise al mondo?»
«Era frutto di tradimento e i genitori la costrinsero ad abbandonare il piccino ma non gli fecero mai mancare niente, lo adottò una zitella senza prole, si assicurò un futuro per lei e per il piccolo. Di nobili origini, caduta in disgrazia, grazie a quel cospicuo lascito riportò il suo casato agli splendori d'un tempo.
La povera madre di Benjamin morì di crepacuore pochi mesi dopo la sua nascita.»
Eloisa era senza parole, un dolore misto a stupore e gioia insieme si stavano impossessando di lei, iniziò a camminare avanti e indietro nella cucina senza ben comprendere cosa fare. Abbracciò il curato, stampandogli un sonoro bacio sulle grasse guance, corse in camera sua a preparare la valigia
con poche necessarie cose.
Doveva raggiungere Benjamin al più presto, una frenesia si stava impossessando di lei, doveva far presto e comunicargli la notizia.
Era trascorso tanto tempo ma in fondo al cuore nutriva la segreta speranza di poterlo riabbracciare senza alcun timore.
Aprì l'uscio e andò a sbattere contro un qualcosa che non si sarebbe mai aspettata di rivedere : Benjamin era innanzi a lei, smagrito, occhi cerchiati e barba incolta, la strinse a sé e singhiozzando
le disse:«Dio m'è testimone, ho lottato per sconfiggere il sentimento che provo per te, voglio abbracciarti un'ultima volta e poi le porte del convento si apriranno per me, non voglio più vivere in questo mondo, col pensiero di te radicato nella mente, mi dedicherò al ritiro e nella preghiera spero di trovare finalmente pace, perdonami Eloisa»
Eloisa si lasciò abbracciare e sfiorando il bel viso dell'amato sussurrò : «Amore, ben tornato, stavo venendo a cercarti ora ti spiego tutto»
Se fosse stata una fiaba si sarebbe potuto scrivere : vissero felici e contenti, formando quella famiglia tanto desiderata.
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Ultima modifica di GENOVEFFA FRAU il Gio Gen 14, 2021 10:01 pm - modificato 1 volta.