Charles tirò su col naso e si strinse ancora di più nel giaccone pesante, come un bruco nel proprio bozzolo, poi fece cenno al collega di calare il carico. Sopra di lui, Calvin cominciò a manovrare la gru, facendo scendere con cautela la grossa cassa. Legname e grano, questo era ciò che giungeva a Millwall. Ogni tanto anche spezie e caffè, ma perlopiù grano e legname.
Con estrema precisione il manovratore posizionò il contenitore sull’ultima porzione libera del pianale dell’autocarro, quindi richiamò il gancio, dopo che Charles lo ebbe liberato dalle funi di sicurezza. Il cielo sopra di loro era un’immensa macchia bianca che si perdeva all’orizzonte, con la neve che continuava a scendere lenta. Le gru di scarico si stagliavano come ombre scure e minacciose contro quel cielo candido. Charles guardò quella fila di ferraglia, ricordando i tempi in cui lavoravano a pieno regime; erano passati pochi anni, ma sembrava trascorsa una vita. Augurandosi di poter contare su quel lavoro ancora per molto tempo, Charles salutò i colleghi, poi si mise alla guida del camioncino e portò la merce in magazzino per lo stoccaggio.
Lo Sleeping Moon era un alberghetto di quart’ordine, incastonato come un fondo di bottiglia tra un pub scalcinato e un anonimo banco dei pegni nel distretto di Cubitt Town. Lei alloggiava lì e ogni sera, dopo il lavoro, Charles non poteva fare a meno di andarla a trovare. Amanda non si ricordava di lui, ma non gli importava. Spesso, mentre percorreva a piedi le due miglia che separavano il suo appartamento dall’albergo situato nel versante orientale dell’Isola Dei Cani, rimuginava su come erano andate le cose. Lui non aveva alcuna colpa, tuttavia continuava a sentirsi responsabile per non averla protetta. Se fosse stato presente magari avrebbe potuto fare qualcosa e cambiare il corso degli eventi, anche se in fondo sapeva che la verità era un’altra: col destino non si usciva mai vincitori. Salì i tre gradini di pietra consumati dal tempo e si ritrovò nella piccola portineria dell’hotel. Dietro al bancone marrone Thomas era così immerso nella lettura del giornale che nemmeno si accorse di lui. Alle sue spalle, la carta da parati a strisce bianche e verdi si accanì su Charles col solito rigurgito di tristezza. Quel posto era un vero cesso. E non solo per quella dannata carta che si stava staccando, lasciando intravedere qua e là porzioni giallognole di muro. No, era anche per la gente che lo frequentava, disperati e balordi di ogni tipo. A ben vedere, l’unica cosa carina di quel posto era il nome. E naturalmente Amanda, la più disperata di tutti.
«Qualche notizia interessante?» chiese Charles, posando sul banco la busta di carta che teneva in mano.
«Ciao Charlie, sei in ritardo stasera» rispose Thomas, togliendo le birre dal sacchetto e aprendole con la forchetta sporca di sugo che giaceva tra i resti della sua cena.
I due fecero tintinnare le bottiglie, brindando nell’ordine alla regina, alle donne e al West Ham United. Si conoscevano da un paio di mesi e ormai erano diventati amici.
«Ho fatto tardi al lavoro» disse il portuale, guardando l’orologio. Erano da poco passate le otto. «Lei è già uscita?»
«Non ancora, ma non dovrebbe mancare molto.»
Charles si passò le mani sui calzoni grigi. Il riscaldamento non era in funzione e faceva un freddo cane, eppure le mani gli sudavano come uno scolaretto.
«Allora, che c’è di nuovo?» disse indicando con una mano il Daily Telegraph.
«Nulla d’interessante. Non credo che febbraio possa fare meglio di gennaio, non dopo la dipartita di Eliot e di Sir Winston Churchill. Comunque siamo solo al cinque del mese, c’è ancora speranza.»
«Dio mio, quanto sei cinico!» esclamò Charles, sciogliendosi in una risata liberatoria.
L’uomo stava ancora ridendo quando Amanda fece la sua comparsa. Indossava una gonna di pelle nera che metteva in risalto le cosce color madreperla e ai piedi calzava un paio di stivali di una improbabile tonalità di viola. Anche la parte alta lasciava poco spazio all’immaginazione, con una camicetta rossa attillata che esaltava il seno generoso. Sotto braccio teneva un cappotto rosso di lana.
«Ciao Thomas, ciao Charles» li salutò sorridendo.
Thomas le fece l’occhiolino, mentre l’altro le si avvicinò, baciandola sulla guancia.
«Vedo che anche stasera vuoi passare inosservata» le disse con una punta di gelosia nella voce, ma poi si pentì subito e aggiunse «fuori sta nevicando, faresti meglio a indossare il cappotto. Fa freddo.»
Amanda sorrise di nuovo, guardandolo con la stessa tenerezza con cui si potrebbe guardare un bambino che non riesce ad afferrare la verità più semplice di questo mondo.
«Sì, come no. Già che non sono bella, ci manca solo che esca tutta infagottata. Nella mia professione il trucco sta nel mostrarla la merce, mica nasconderla. Se do retta a te rischio di non battere chiodo.»
«Perché dici così? Non è vero che non sei bella» protestò Charles accarezzandole il viso. I capelli rossi naturali le coprivano una buona metà del lato sinistro del volto, celando quasi del tutto l’occhio malandato. Mentre la contemplava, i suoi occhi parlavano e le dicevano che era la donna più bella del mondo. Erano andati a letto insieme più di una volta e lui aveva sempre pagato, come tutti gli altri. Solo che Charles non era come gli altri, lui non la scopava. No, lui era diverso. L’amava. Quando la penetrava aveva la sensazione che cercasse di toccarle l’anima. Non ci era abituata e questo le faceva paura, così come la tormentava la sensazione che lui sapesse ogni cosa di lei e della sua vita.
«Lo sai che non mi piace quando mi guardi così» gli disse, fermando la mano che stava risalendo lungo il suo profilo peggiore. Poi lo baciò sulla
bocca e uscì nella fredda notte londinese d’inizio febbraio.
«Perché non ti decidi a dirle tutto?» disse Thomas, vedendo lo sconforto nell’espressione dell’amico. Charles gli aveva raccontato tutta la storia e gli dispiaceva molto vederlo in quello stato.
«Raccontarle tutto? E che senso avrebbe? Adesso è come se lei fosse un’altra persona e io voglio che si innamori nuovamente di me.»
Charles, con la fronte appoggiata al vetro della porta, guardava di fuori. La luce gialla di un lampione lasciava intravedere i fiocchi di neve che senza sosta calavano giù dal cielo: questa volta facevano sul serio e di lì a poco avrebbero fatto presa sull’asfalto. Quando lui le aveva chiesto di sposarlo invece pioveva. Avevano mangiato patatine e calamari fritti al loro chiosco preferito, quello lungo il Tamigi nella zona di Limehouse, poi lui gliel’aveva domandato. Charles lavorava già al molo di Millwall, mentre Amanda si era appena diplomata.
«Mi vuoi sposare?» le aveva chiesto inginocchiandosi e mostrandole l’anello di calamaro che aveva tenuto da parte.
Amanda prima era arrossita, poi era scoppiata a ridere. «Dici sul serio?» gli aveva risposto divertita.
«Mai stato più serio in tutta la mia vita.»
«E perché mai dovrei sposarti?»
«Perché? Prima di tutto perché sono un bravo ragazzo. In secondo luogo perché ho un buon lavoro. Infine perché ti amo alla follia e muoio dalla voglia di darti un anello vero.»
Amanda aveva detto di sì e lo aveva baciato, poi la pioggia si era trasformata in diluvio, obbligandoli a correre come due ragazzini sotto l’acqua in cerca di un riparo. Si trovavano a un passo dalla felicità, ma la pioggia non era stata di buon auspicio. Infatti, qualche giorno dopo, si era verificato l’incidente. Lui avrebbe voluto accompagnarla, ma non si era liberato in tempo. In seguito, quante volte si era maledetto per quel fatto: davanti allo specchio mentre si radeva, al lavoro, la notte quando si rigirava nel letto senza riuscire a prendere sonno. Così Amanda era andata da sola al colloquio per quel posto da segretaria a cui teneva tanto e la sua vita era cambiata in un attimo. Mentre camminava per strada un bus l’aveva investita, scaraventandola contro una cabina del telefono. Il coma l’aveva cullata per più di dieci giorni e al risveglio non ricordava più nulla. Non solo dell’incidente, ma non era in grado neppure d’identificare i suoi genitori. Tantomeno Charles.
La cosa peggiore è che faceva fatica a riconoscere persino sé stessa, con lo sfregio che le deturpava il lato sinistro del viso e quell’occhio a mezz’asta, mai totalmente aperto e mai completamente chiuso.
«Guardatemi, ho un’espressione fottutamente idiota» diceva mirandosi allo specchio. Non faceva che piangere e imprecare tutto il giorno.
La dolce Amanda non esisteva più e un bel giorno, qualche settimana dopo la dimissione dall’ospedale, era sparita nel nulla, gettando tutti quelli che le volevano bene nell’angoscia. Charles in quei due lunghissimi anni era andato avanti come meglio poteva, masticando rabbia, rimorsi e tristezza, dedicando ogni momento libero alla ricerca della sua amata. Così, quando il suo collega Calvin gli aveva raccontato di essere stato con una prostituta dal seno enorme, con una cicatrice che le percorreva quasi per intero il lato sinistro del viso e un occhio talmente strano da metterlo quasi in soggezione, aveva sperato con ogni molecola del corpo che la sua angoscia fosse giunta al termine. Seguirla e scoprire dove alloggiava era stato facile. Il difficile era stato vedere coi propri occhi in che modo si guadagnasse da vivere. Quello era stato complicato da accettare, non quanto l’incidente, ma quasi.
Quando salutò Thomas e abbandonò lo Sleeping Moon, nevicava ancora. Una suggestiva patina bianca copriva strade e marciapiedi.
Era inutile, aveva voglia di vederla, così s’incamminò in direzione della sua zona, all’incrocio tra Calbert Way e Freeport Road. Quando raggiunse l’intersezione delle due strade in giro non c’era anima viva. Aspettò qualche minuto, senza sapere bene cosa fare, poi una Rover P6 nera scaricò Amanda sotto l’olmo situato davanti al campo da basket.
«Ciao» la salutò avvicinandosi.
«E tu che ci fai qui?» Sembrava sorpresa, ma non contrariata.
«Volevo vederti. Facciamo due passi?»
Lei guardò l’orologio: le dieci erano passate da poco. «È presto. Devo ancora lavorare.»
«E dai, non farti pregare. Il bello di lavorare in proprio è che puoi fare come vuoi» rispose lui, offrendole il braccio. Amanda arricciò il naso, indecisa sulla decisione da prendere, poi scosse la testa e sorrise, accettando l’invito. Camminarono per un po' sul lungofiume, senza parlare, con la neve che si andava accumulando sugli scheletri delle gru e sui tetti dei magazzini situati sull’altra sponda del Tamigi. Sembrava tutto così irreale.
«Ogni tanto penso che in un’altra vita io e te siamo stati fidanzati. Magari stavamo anche per sposarci. Tu che dici?»
Lei lo guardò perplessa, stringendosi nel suo cappotto rosso.
«Dico davvero. La vita è un mistero. Ci sono tante cose che non sappiamo o che non ricordiamo.»
«Tu sei un mistero, non la vita. La vita è dura, ma è semplice da capire. Ciò che non capisco è quello che vuoi da me.»
«Niente d’impossibile» rispose l’uomo, guardando alla sua destra. «Voglio solo mangiare qualcosa con te. Patatine e calamari?»
A poche decine di metri da loro c’era un negozietto che faceva fritture. A Charles l’ispirazione era giunta improvvisa e inaspettata. Presero due porzioni di calamari e patatine, poi ritornarono in strada. I loro respiri galleggiavano nell’aria pungente, dando vita a nuvole informi di vapore acqueo. Charles osservò attentamente la ragazza, cercando di notare se qualcosa in lei fosse cambiato. Aveva notato una scintilla particolare nei suoi occhi? Il risveglio di un ricordo? Forse era solo suggestione, però si inginocchiò e porse ad Amanda uno dei suoi anelli fritti di calamaro.
«Mia dolce Amanda, mi vuoi sposare?»
Amanda questa volta non arrossì, ma rise di gusto, come quella volta di due anni prima. Non disse neppure di sì, ma si avvicinò a Charles e lo baciò sulla bocca. Le cose non accadevano mai due volte nello stesso modo, ma potevano andarci vicino.
«Tu non ti arrendi mai, vero?» gli sussurrò all’orecchio.
Charles non rispose, la prese per mano e corsero via sotto la neve.