A quanto pare, Vida si sposa, nella Chiesa Piccola.
Le ho strappato la promessa che non avrebbe più preso sul serio il lavoro che faceva.
Lei mi ha strappato la promessa che l’avrei sposata.
Nel senso che sarei stato il prete del suo matrimonio.
Lo sposo, il regalo lo ha fatto di nascosto: un bel giradischi, un bel disco e un bel divano.
Sei del mattino, dopo un muffin e un caffè caldo la Portineria non mi appare più come un buco maleodorante. Osservo il pezzetto del porto commerciale sul Tamigi, ancora scuro di alba, per riuscire a vederci qualcosa. Qui si scazzottano e accoltellano spesso di prima mattina senza perdere tempo a camuffare le loro sbronze.
Mi sposto, pure nel retro della Portineria c’è puzza di urina e cicche, che quella è la variante inglese del nostro oratorio, e andrebbe tenuta più pulita. La Chiesa Piccola accanto è piccola davvero, bastiamo io e don Marco a tenerla in piedi. Non è nemmeno servito farla bella, ci passa poca gente appassionata di Dio.
La Portineria è l’unica forma di affetto che qualcun altro ha scelto per me, e i suoi frequentatori sgangherati sono il mio orgoglio.
Circondo con il braccio la spalla dell’uomo in preda a colpi di tosse su una panchina accanto alla Portineria, è Fabian, un profugo polacco che conosco bene, un perditempo alto e forte che mi aiuta nei lavori pesanti del giardino.
Siamo in pieno 1965, in piena guerra con l’alcol, con le sostanze, con autodistruzioni varie, e questa zona di Londra è un laboratorio di sbandati. Asciugo la fronte di Fabian con il fazzoletto, ha la febbre, io non posso fare più di tanto. Qui ci sono pochi dottori, è difficile contattarli, come è difficile avere soldi e bel tempo. Lo farò stare nella Portineria qualche ora, gli darò caffè caldo e aspirina, non conosco altri modi per curarlo. Lui è sospettoso, ha timore che chiami l’ospedale o la polizia. Gli accendo la tv. Lo faccio sdraiare sull’unico divano disponibile e immediatamente si addormenta. E’solo sbronzo.
Fa freddo per niente. Mi avevano dipinto Londra come una città umida e fredda. Ma i giudizi sono sempre contaminati da sensazione soggettive, specialmente sotto Natale. Qui sono i vecchi quelli che aspettano il Natale, mica i bambini. Per gli inglesi l’infanzia è solo un pezzetto della loro esistenza, per nulla importante. Aspettano solo di diventare grandi. E questa cosa è angosciante per un sacerdote come me che invece di trattare con i bambini si trova a rivolgersi a degli uomini in attesa di diventare uomini.
Me ne devo andare se non voglio addormentarmi vicino a Fabian che russa come un tricheco.
Mi infilo una Kent in bocca, mi godo i rimasugli dell’alba su un Tamigi sempre più silenzioso, e penso che questo posto farà pure schifo, ma per chi ci vive è impossibile avere una vita mediocre.
Resterò tutta la vita sotto il bagliore di questa storia, rispettandola, anche se non mi fa impazzire.
- Don Mario?
- Sì?
- Buongiorno, -quanto ti ho cercato ieri, Don Mario.
- Mi sono toccate due estreme unzioni.
- Come faccio a sapere quando non ci sei?
Solo rispondendo in modo più brusco di quanto richiesto dalla conversazione riuscirò a metterla a tacere.
- Non essere sciocca, quello è un momento particolare, non potevo sottrarmi.
- Va bene, scusami, Don Mario. - Non ti vedo da due giorni, tre ore,ventiquattro minuti, e mi rimproveri?
- Stai esagerando, Vida, devi trovarti un compagno, se non vuoi stare sola. Io sono un povero prete.
Fisso i suoi occhi di cristallo. La nostra confidenza è molto stretta, l’odore del mio abito talare sporco si mischia all’odore dolce del suo abito colorato.
Qualcosa di metallico urta nel porto. Urta di nuovo, tre, quattro volte. Sembra una campana sfuggita al campanile, poi si capisce che è un container che si acquieta con un tonfo. Il cerchio enorme e muto che contiene la Portineria, ritorna enorme e muto. Pure la stella frantumata sulla teca di vetro che conserva il presepe in miniatura smette di vibrare.
Vida, non ha il fiato dei soliti alcolizzati. Le punte dei suoi seni si accostano a me. Sono pesanti, nemmeno il suo affanno riesce a sollevarli. Mi bacia il palmo della mano sinistra con la bocca rossa, morbida e rugosa. Non ha la solita aria sprezzante. Il mio sguardo le inietta una luce più tenera e serena.
Ci parliamo a turno.
- Quelli del porto vogliono farmela pagare, se non mi prostituisco per loro, don Mario. - Proprio ora che volevo smettere.
Con finta indifferenza, le dico : ‘Su di me puoi sempre contare, entriamo dentro e racconta.’
Vida, sembra un dipinto di Pizarro, la luce bassa della stanza affidata a un’unica finestrella le garantisce pudore e anonimato.
- Ti libererò di loro, anche se mi ci vorrà la fiamma ossidrica per farlo. - Non sono stato sempre un prete, posso diventare consapevole e cattivo.
Vida, in coma morale, è ammutolita, ma si fida di me, anche quando un po’ la spavento. L’ho seguita nelle cure cliniche durante la disintossicazione e si vanta molto di questo. Quando viveva ventiquattro ore su ventiquattro in crisi di astinenza, le sono stato vicino per aiutarla a togliere lo strofinaccio dell’LSD dal suo giovane cervello. Lei era un’anima pura da salvare. In quel periodo nessuno si sentiva in colpa nell’usare acidi e al porto te li servivano su un piatto d’argento.
- Don Mario, non voglio che tu faccia pazzie, hai già fatto tanto per me, non devi rischiare.
- Certo sarebbe più semplice rivolgersi alla polizia, ma tu non la vuoi nemmeno sentire nominare.
Usciamo dalla Portineria, l’aria è fredda, comincia a cadere qualche fiocco di neve.
I gabbiani, sazi, dormono accanto ai secchioni per tenere d’occhio la loro riserva di spazzatura.
Vida, ora è meno raggrinzita e quasi bella nella sua gonna corta arancione e il cappottino giallo.
Ogni volta che fisso la banchina il mio sguardo diventa feroce, come se quei vigliacchi dovessero sbucare da sotto l’asfalto e mettermi un coltello alla gola. Un forte sentimento di compassione me la fa stringere al petto. Ho la testa e lo sguardo immobile, come in una foto tessera. A un palmo dal mio naso le lentiggini la fanno sembrare più ragazzina.
Comincia a nevicare forte e la neve aggiusta tutto il paesaggio, i magazzini decrepiti sembrano scatole per le scarpe, bianche. Rientriamo nella Portineria. Vida si allunga sul divano ancora caldo di Fabian, che se n’è andato senza salutare. Vida conosce bene la storia di quel divano. Di quando l’ho trovato in mezzo alla stanza con un biglietto : Fai stare comoda la gente che ti ama.
La portineria è sempre aperta, ma rimasi comunque sorpreso per tanta generosità. Parlo lentamente, come se Vida fosse incapace di seguirmi , per la stanchezza. Le metto una coperta sulle gambe nude, accendo la stufetta elettrica, preparo il caffè. So come si sta a non dormire per niente. Il divano ora sta nella parete di fondo, la zona più calda della portineria.
- Non ho nulla da mangiare, ma ci sono i biscotti della signora Denver, quelli che prepara con le sue mani.
- Uhm…ti vuole bene la signora Denver, - dice improvvisamente presente.
- Vuole bene a Dio e pure a me, sì.
- Non me l’aspettavo il presepe. Bello, l’hai fatto tu?
- L’ha fatto la signora Denver maneggiando con le pinzette nella teca di vetro, io non sarei stato capace.
- Comincia a essermi antipatica questa signora tuttofare.
- Ha l’età di mia nonna. Rido.
- Questo pavimento ha l’aria di non essere lavato da mesi, più tardi gli darò una bella spazzata.
- Ora dormirai qui?
- Sissignore, e tu mi terrai compagnia, sei avvinto o no dalle mie gambe nude?
Arrossisco e dico di no. Puerile, falso e tremolante, riempio le tazze di caffè.
Cosa c’entro io con una prostituta che ha passato metà della sua vita tra alcol, droga e brutte avventure?
E se entra qualcuno come farò a giustificare la sua presenza?
Più mi immalinconisco e più mi affeziono a lei, al suo cumulo di errori, al suo strambo eroismo di prostituirsi tutte le sere, senza paura, nella zona più malfamata di Londra.
- Se resti qui nessuno ti verrà a cercare, - dico mentre lei osserva la tela grezza e bianca della neve dalla finestrella.
Mi fanno più paura le eventuali domande della signora Denver che i brutti ceffi che vogliono farle del male. Ho l’abito talare che mi difende, e mi dà forza. La osservo da vicino, ha il respiro leggero e la riga le spacca il cranio in due, come la rilegatura di un libro. Le voglio molto bene, anche se non conosco altro linguaggio per dimostrare amore che ingozzarla di caffè. La solitudine non mi ha mai spaventato, nemmeno in un paese straniero, e poi non mi avanza mai troppo tempo per sentirmi solo con tutta la gente a cui devo badare. Pure chiusi, i suoi occhi sembrano scintillare. Accosto due sedie per ricavarne una specie di giaciglio e allungare le gambe. La piccola asciugamano del bagno mi farà da coperta umida e improvvisata. Mentre ancora lavoro sul mio letto provvisorio sento il suo richiamo melodioso.
- Mario, vieni qui a riposarti, inutile che cerchi, non ci sono altri letti vuoti nella stanza.
La sparizione del ‘don’ mi preoccupa un po’, ma allento il colletto da prete, mi tolgo le scarpe scalcagnate.
Per la prima volta nella mia vita sono sdraiato accanto a una donna. La gonna le è salita sopra le ginocchia tonde. Mi giro dall’altra parte.A dieci centimetri da lei, la sento ridere. Rido pure io, sottovoce. Sono riguardoso, silenzioso, attento. Sembro un faraone egizio imbalsamato, con tutta la piramide addosso. Il suo corpo accanto a me è ‘significativo’. Ecco la parola giusta ‘significativo’. Siamo due soggetti che spesso faticano a stare insieme, ma che non possono fare a meno uno dell’altro.
- Che fai, non dormi?
- Non sono abituato a dormire di giorno e tu sei una categoria di essere umano per me nuova.
- Di che genere?
- Inquietante.
- Tutto l’amore che hai lo dispensi in giro, solo con me ti tiri indietro, faccio schifo?
- Non dirlo nemmeno per scherzo, sono due anni che ti seguo, devi solo trovarti un bravo ragazzo, uno che ti meriti.
- Ma chi trovo, qualche derelitto come me.
- La tua storia e uguale alla storia di tante donne, questa è la peggiore periferia del mondo, anche se qualcosa sta cambiando.
- Mi piaci tanto quando fai il professore, ti intendi pure di Beatles e Rolling Stones?
- Be’ se vuoi ascoltare un bel disco, lo metto, è accanto al presepe, me lo ha regalato con tutto il giradischi il mecenate segreto. - L’ho trovato sopra il divano, deve essere lo stesso donatore. - Se non voglio regali dovrò cominciare a chiudere la Portineria a chiave.
- Povero don Mario, - non ti basta la signora Denver come mamma premurosa. - ora ti faranno addormentare le canzoncine dei fedeli devoti.
- Non è una canzoncina.
- Dimmi il titolo del disco, avrà un titolo, o no?
- Unchained melody. - Ma è troppo triste la canzone, parla di catene non te lo faccio ascoltare.
- La conosco.
Si blocca, come uno spazzaneve contro un cumulo di neve.
Le scendono lacrime grosse, giganti. Tenute dentro, accumulate e sigillate da una vita.
Pregare, per Vida non ha senso, ma io sono un prete. E lo farò.