Sto per fare una stupidata enorme.
Lo so, lo sento.
Ma perché? Cioè, perché si fa uno sbaglio colossale sapendo che è uno sbaglio colossale? Una cosa che porterà solo una valanga di guai. Perché la si fa lo stesso?
Lo sanno tutti. Lo so benissimo anch’io che ad andare a trafficare attorno al tempo si fanno un sacco di casini.
Non per niente si deve frequentare il corso, prima di accedere ai tunnel temporali. E non è mica facile avere i permessi, per il corso, per l’osservazione.
Nessuno me ne darà mai più uno finché campo.
Me la immagino già la faccia del rettore dell’Accademia di Arti Integrate. E ne avrà tutte le ragioni. Ci ha messo lui la firma, sulla richiesta per accedere ai tunnel. Entusiasta, quando gli ho presentato il progetto per la tesi di dottorato.
Bellissima. Quando ci penso, che sto per mandare tutto in fumo…
Già la vedevo, la mia installazione. È ancora solo una serie di immagini nella mia testa e nei disegni, ma io la vedo, come se fosse vera. Le forme, i colori, i movimenti. Le persone dentro alzano gli occhi, si guardano attorno. Meravigliate. Attonite. Sconvolte. Il cuore che batte.
Con questo ho convinto il rettore: come fare a trasmettere le emozioni, se mai ho vissuto un’esperienza simile? E nessuno può viverla poi raccontarla; nessuno sopravvive, se davvero ci si trova in mezzo.
Guardarla da lontano non è di sicuro la stessa cosa. Non si vedono le stesse immagini, non si sentono gli stessi suoni, gli odori. Soprattutto, la paura, il terrore, la consapevolezza sono differenti. Plinio il Giovane che guardava da Miseno la colonna eruttiva magari avrà provato perfino sollievo, al pensiero di non trovarsi lì sotto.
Inutile, bisogna esserci. E l’unico modo per esserci davvero e sopravvivere è la bolla di stasi temporale creata dal tunnel.
Non è come guardare un film, non è come essere spettatore di qualcosa che non esiste.
Mi vengono i brividi: adesso sono qui, nella Pompei di migliaia di anni fa, e sono ad Alessandria d’Egitto.
Nello stesso momento.
Il tunnel permette la coesistenza di ciò che sembra incredibile possa stare insieme.
Tanto che infrangere la stasi è possibile.
Possibile e pericoloso.
Pericoloso e proibito.
Proibito, vietato, regole. Le regole, il corso. Alessandria. La Nuova Biblioteca di Alessandria d’Egitto.
Un caso?
Solo una casualità che sia diventata di nuovo un centro culturale e scientifico mondiale? Che sia uno dei punti chiave per la genesi dei tunnel? Che sì, possono essere creati quasi ovunque, ma funzionano meglio in certi posti, quasi come se il tessuto del tempo avesse dei nodi, dei punti di convergenza.
Non so, non ne capisco niente.
Ma che sto per infrangere la regola fondamentale, lo capisco benissimo.
Te la inculcano bene in testa, prima di fidarsi a lasciarti usare il tunnel.
Non infrangere la stasi, non intervenire. Tentazione terribile per chiunque. Anche solo allungare una mano. Cambiare i destini.
Ma il passato è passato e tale deve rimanere. Le onde del tempo sono ingovernabili. Un gomitolo di fili inestricabili.
Non è facile, ma l’addestramento serve a questo. I morti sono morti.
Anche se sono ancora vivi, nella stasi.
Distanza. Creare distanza. Nella mente, nel cuore.
Ho superato tutti i test. Pronto. Via. Pompei. Il Vesuvio. L’eruzione più famosa della storia.
Ma un conto è leggerne, un altro essere qui. È meraviglioso. Meraviglioso e terribile.
Sentire. Vedere.
Durante. Dopo. Prima.
C’è un prima, e a questo all’inizio non avevo pensato. Credevo non mi sarebbe importato.
L’eruzione, mi serviva. Affascinante. Affascinante e terribile.
Perché accade sul serio, in questo istante. Unito e separato. La bolla temporale mi separa e mi protegge, ma se volessi potrei protendere una mano, fare un passo, e respirerei i veleni incandescenti, sarei ricoperto dalla cenere, verrei polverizzato dal flusso piroclastico.
Che è quello che capita a tutte le persone attorno a me.
Certo, me lo avevano detto, me lo avevano spiegato, al corso. Ma un conto è sentirlo, un conto è esserci in mezzo.
Morte. Vita. Desiderio di vita? Di rimandare la distruzione? Per questo sono tornato al prima?
Solo una scusa, forse, studiare le architetture originali, i colori ancora vivi degli affreschi?
Non lo so.
E la ragazzina? Quando ho visto la ragazzina? Non ricordo. Non ricordo se ho visto prima la catena o i disegni. Sono tornato indietro per la catena oppure ho seguito la ragazzina per i disegni? I ricordi mi si confondono, in questo andare avanti e indietro nel tempo.
Però continuo a tornare qui, da quando mi sono accorto di lei, alla camera da letto in cui la tengono.
Nessun coinvolgimento, certo. Nessun giudizio su civiltà così lontane dalla nostra, mi hanno insegnato al corso. A Pompei il mercato della prostituzione è fiorentissimo. Lei è solo una piccola schiava tra tante altre. Anzi, più privilegiata. Le hanno riservato una camera da letto per riguardo ai clienti particolari cui è destinata.
Ma negli intervalli, nei momenti di riposo, lei disegna.
Dove riesce, con quello che ha, che trova.
Se ne sono accorti, l’hanno presa a sberle, ma lei non può farne a meno, allora disegna di nascosto, negli angoli bui, sotto le brocche e le ciotole, su qualche straccio che nasconde.
Come se vivesse in un altro mondo.
Ma io la vedo. So cosa le succede. So cosa prova.
Le immagini passano dalla mente alle mani, alle dita, che non possono stare ferme.
C’è bellezza, in lei. C’è talento. Qualcosa che nessuno le ha insegnato. Con cui è nata.
Ma è altro ciò che di lei torna utile a chi la usa, e il resto non importa.
Nemmeno a me dovrebbe importare.
È destinata a morire soffocata dalla cenere o bruciata viva, come tutti gli altri.
Perché lei dovrebbe importarmi?
La catena. Incatenata con la caviglia al muro. Quando ha tentato di fuggire.
La stanza. Ho rivisto la stanza.
Che sia stato quello? Possibile? Ne sono uscito una vita fa. Ero un bambino. Ora sono adulto. Anni, sono passati.
La stanza. La porta. Si apre per un motivo diverso dal solito, quel giorno. Mi tirano fuori, mi portano via.
Così tutto finisce e tutto comincia. Tutto cambia. Non subito, non in un attimo. Ci vuole tempo perché gli incubi scompaiano. E non per sempre.
I miei progetti, la mia installazione… distruzione, angoscia, terrore… è ancora tutto lì, allora?
Diventato altro, trasformato in bellezza?
E lei, lei che possibilità avrà?
L’ho visto. Lei è nella camera, mentre tutto accade. Tutti muoiono o fuggono. Lei viene dimenticata lì, incatenata al muro. Nemmeno la possibilità di provare a fuggire.
Basta. Non ha alcun senso.
Allora perché non riesco a smettere di pensarci? A smettere di vedere le sue mani che si muovono alla ricerca di un significato diverso?
Perché io lo so cosa cercano le sue mani, cosa stanno facendo. La stessa cosa che facevano le mie.
Ma nessuno porterà via lei.
Non si estraggono le persone dal tempo. Una tessera del domino che cade e scatena un effetto a cascata su tutte le altre.
Per questo dovrò farlo quando la sua scomparsa non potrà più modificare o influenzare nulla e nessuno.
Minimizzare i danni.
Il momento giusto: quando viene lasciata sola, ma prima che muoia.
A quel punto, lei sarà solo un mucchietto di cenere in più o in meno.
Non violerò troppe regole. In realtà una sola: quella fondamentale.
Non modificherò quasi nulla.
Forse il futuro?
Ma chi può dire che il futuro, da quell’istante in poi, non sia già costruito sulla presenza della ragazzina in questo segmento temporale?
Dal proprio presente si può guardare indietro ma non in avanti.
Non ci si riesce proprio, così mi hanno spiegato. È vero? Chissà. Io di sicuro non potrò farlo.
Dovrò essere molto veloce. Fulmineo. Sono sorvegliato, ma si fidano abbastanza di me: qualche istante di margine ce l’ho.
Non la rimanderanno indietro, questo no. Ne sono sicuro.
Non per qualche motivo umanitario, ma semplicemente perché strappare qualcosa dal tessuto dello spazio-tempo non è come spostare un oggetto su uno scaffale.
Non si può togliere e rimettere senza conseguenze.
Lo strappo è molto forte. Non si ricuce con un rammendo.
Un po’ come togliere qualcosa da un vaso pieno di sabbia: i granelli si spostano e non tornano più al loro posto, anche se lo rimetto dentro.
Non la rimanderanno indietro. Questo solo importa.
Non so cosa sarà di lei, ma qualcosa sarà.
Un’occasione. Una possibilità. Per lasciarla diventare ciò che è.
E a me che faranno?
Mi gioco tutto quello che ho costruito, per cui ho lavorato.
Che poi, anche la portassi via, le farei un favore?
Vive, e ricorderà per sempre. Muore, e tutto sarà finito.
La cosa migliore, per lei, è morire ora, così. Tanto, non saprà mai quello che ha perso.
Non lo farò.
Non lo faccio.
Non ha alcun senso.
Lei è solo un mucchietto di cenere… Ecco. L’ho fatto.