SUPERPREDATORI
- Un inno di libertà e vessazione -
Volume 1
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Descant
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L’isola ha una voce.
Una voce che ora sussurra ora mormora, talvolta echeggia e si rifrange come il tuono.
Alcune la sentono come una nenia sempre eguale, altre come un battito, una pulsazione, un ritmo altalenante.
Qualcuna dice che è un canto.
Io, io penso sia più un discanto.
Non una voce ma molte, di cui solo una segue la melodia.
Le altre improvvisano.
Non sono pronta.
Posso dirlo, affermarlo, e so di averlo fatto, ma non lo sono. Per niente.
Non puoi dirti pronta o preparata per questo posto; ti mostrano delle foto, dei video, paesaggi assurdi, ma non puoi capirli, comprenderli davvero, finché non li vedi.
Ti puoi addestrare, e l’ho fatto, ma non c’è addestramento che t’insegni a controllare le pulsioni, le reazioni istintive, a saper gestire te stessa, la tua anima, quando ne hai più bisogno.
Illumina: è il nome di questo luogo, questo arcipelago, ammesso che esista, che non sia tutto un’illusione, un gioco della psiche.
Illumina, come ciò che in qualche modo fa alla tua mente: apre una porta su un livello di comprensione delle cose che prima non possedevi. Ti cambia, ti segna: in bene, in male, è relativo.
Illumina, come una tenda tirata via dalla finestra di primissimo mattino, la luce che irrompe e ti toglie la vista. Le pupille che diventano minuscole.
Illumina.
Dal finestrino dell’elicottero ho guardato scorrere il mare e poi il mare è diventato terra, e con la terra è arrivata la giungla, il fiume, la laguna, le spiagge. Le cascate sul fianco della montagna.
Non fidarti, la bellezza qui uccide.
Tutto uccide.
Illumina è il mondo, il mondo uccide. Sono stata in Afghanistan, in Cirenaica, in Iraq due volte: anche lì tutto è letale, ma non in questo modo. Non così.
Illumina è lo spettacolo, l’apparenza, la nostra vita che scorre su uno schermo, su milioni di schermi. Nessuno mi ha obbligata, o forse è stato Dio, dandomi una sorella radical-chic e una madre ludopatica; dandomi il congedo con disonore perché ho sparato a una donna, a Kandahar.
Era armata.
Non mi hanno creduto.
Illumina è la sola possibilità, l’extrema ratio, l’appiglio nella caduta; è l’ultima mano quando l’ora è tarda e non hai più fiches dalla tua parte del tavolo.
Dal portellone dell’elicottero ho guardato di sotto e ho visto quegli stessi paesaggi delle foto, dei video, e la mia mente si è rifiutata di credere che laggiù, tra quelle gemme d’azzurro e di verde, vivesse il male. C’era un vecchio film di guerra che a un certo punto sussurrava una parola, e quella parola era l’orrore.
Illumina è l’orrore.
Illumina è la casa degli incubi, quelli peggiori, poiché vivono alla luce del sole e non hanno bisogno di nascondersi nei meandri bui della notte.
Ho scelto io questa soluzione, questo salto nel buio. Ho scelto io, in completa libertà, di partecipare al circo macabro dello show, al sogno di ricchezza e fama che questa terra illogica porta con sé.
Sopravvivi, è ciò che ti dicono dal primo all’ultimo istante dell’addestramento, sopravvivi, è ciò che ho continuato a ripetermi da quando sono salita sull’elicottero, per ogni mille metri percorsi sopra il mare.
Ciò che hanno scritto centinaia di nuovi fan sul mio profilo, il mio identikit personale, che campeggia tra quelli di decine di altre concorrenti sulla pagina Superpredatori.
Sopravvivi, a volte con un cuoricino, più spesso con un sorriso, una risata, ma cosa avrete mai da ridere, a casa, dietro un pc, uno smartphone, mentre discendo nell’inferno lussureggiante di Illumina, nell’orrore. Sopravvivi, con la casella dei messaggi intasata di insulti sessisti, di suppliche di non morire, di richieste d’appuntamento in webcam e di foto dei miei piedi.
Sopravvivi, resisti fino alla fine del gioco.
Vinci il premio.
Trova un riscatto sulla vita.
Sopravvivi oppure muori, ma muori in modo spettacolare.
Immolati per il piacere della diretta, per la gloria del network.
Cos’hai da perdere?
Non ho niente da perdere, non dopo il congedo, non dopo che mia madre s’è giocata i risparmi. I miei risparmi. Per lei sono una stronza coraggiosa, per mia sorella una troia fascista impenitente. Per la rete un oggetto da adulare, insultare e corteggiare nei modi più assurdi. Sono un pezzo di carne che viaggia in elicottero prima d’essere scaricata all’inferno con un fucile d’assalto e un buona fortuna.
Non ho niente da perdere.
Quando l’Agusta-Westland è sceso sulla spiaggia, quando io e altre nove che non avevano nulla da perdere siamo saltate giù, accecate dal sole e dalla sabbia alzata, ho realizzato la grandezza del mio personale errore. Ho compreso quanto illogico fosse cercare redenzione in un luogo di puro male, confidando in una fortuna che non avevo avuto per tutta la vita, riponendo fiducia nelle mie esperienze, il bagaglio di nozioni acquisite in posti dove c’è la guerra, dove l’uomo uccide l’altro uomo, dove la vita vale poco, il prezzo d’un proiettile o d’un innesco.
Ci era stato detto che Illumina è anarchia, è terra di nessuno, che eravamo sole anche se il mondo ci guardava, e che per sopravvivere nell’anarchia bisognava organizzarsi, trovare la quadra. Eravamo l’Ondata 9, e dunque otto batterie di altre improvvisate guerriere erano già da mesi in quella giungla, su quelle spiagge, vive e nascoste o ridotte a ossa spolpate, e noi, le ultime arrivate, saremmo dovute sopravvivere a loro e al resto d’un ecosistema improbabile.
Ricordo qualche nome scambiato prima della partenza, perché non puoi vedere nessuno fino al giorno dell’inizio, non puoi socializzare, non devi avere rapporto umano: una Sigrid, Rita, una Camilla e una Vanessa.
Eravamo dieci disperate che in due ore di discussione non sono riuscite a decidere chi dovesse comandare, perché lei non ha esperienza, lei non ha carisma, lei crede in Dio e qui non c’è Dio, Illumina è anarchia e nell’anarchia nessuno comanda.
Ci siamo infilate nella macchia costiera pensando di spaccare il mondo e fucilare qualche reietta sbavante, resa pazza dall’orrore, ma quando l’abbiamo trovata, una donna che era poco più di pelle e ossa, legata a un albero, nessuna di noi ha avuto il coraggio di spararle davvero. Era l’orrore che s’insinuava nella mente, che logorava la ragione, sfidava i preconcetti.
C’era una suora tra noi, una ex suora, una fanatica religiosa, una ragazza giovanissima che a guardarla non penseresti mai che è ancora vergine, con due pistole al cinturone e una faccia che la vedresti bene solo nel più crudele dei porno: è stata l’unica a dirci di non toccare quella larva umana, di non aiutarla, e bella carità cristiana, Cristo d’un Dio, lasciarla morire di fame legata a un albero.
L’abbiamo liberata, quella donna, con le telecamere, ovunque fossero, che ci guardavano, davanti a milioni di occhi che volevano veder scorrere il sangue, noi l’abbiamo liberata. Era dell’Ondata 2, come le assatanate che l’avevano lasciata lì a far da esca, le stesse assatanate che ci sono piovute addosso dagli alberi. Che ci hanno liquidate in mezzo minuto di colluttazione, ficcato un’arma in bocca e trascinate via per gli stracci.
Che hanno posto fine alla nostra breve, bollente, illogica speranza di sopravvivere davvero a Illumina, al cuore dell’oscurità.
Le chiamano Erinni o così hanno scelto di chiamarsi loro.
Hanno una fottuta uniforme da guerriglia color oliva e un simbolo con le ali di pipistrello.
Le comanda una creatura mitologica che risponde al nome di Bloody Atreja, Atreja la Sanguinaria.
Vorrei avercelo anch’io un soprannome figo.
Vorrei averceli anch’io un’uniforme, un simbolo e più di tutto una cazzo di squadra decente alle spalle.
Io sono solo Silvia Irace, nome di battaglia Mercury, ex soldato, bionda, figa, fisico allenato: per mia madre sono una stronza coraggiosa, per mia sorella una troia fascista impenitente. Per la rete un oggetto da adulare, insultare e corteggiare nei modi più assurdi.
Sono un pezzo di carne alla mercé di Illumina e sto per morire in mondovisione.
Un vecchio film di guerra diceva così.
L’orrore.
NOTA - il titolo Descant è quantomai provvisorio.
Se ne discuterà.