Da “Le regole del Mondo Enigma”:
- ogni Quasi Umano vivrà nelle Epoche e nei Luoghi degli Umani a lui assegnati per il tempo stabilito, traendone la linfa per Enigma;
- ad ogni Q.U. vengono assegnati una Residenza e un Custode;
- il Custode progetta la Residenza e resta con Q.U. tutta la vita;
- i Custodi non devono avere sogni;
- nessun Umano può entrare nel Mondo Enigma;
- le Residenze in cui tali regole vengono violate, saranno esiliate, senza altre risorse che non quelle loro rimaste.
Il primo compito della Custode Marty era stato quello di creare per il Q.U. Jer la miglior illusione possibile per abitare, nel tempo e nello spazio, il Mondo Umano.
Marty aveva scelto per la loro Residenza lo stile che gli umani avevano chiamato Liberty e ora il progetto di villa Rubino era pronto: una bella palazzina a tre piani, con una torretta a un lato, finestre alte e strette, vetrate istoriate con motivi floreali e strani animali. Porte e finestre erano ornate da stucchi elaborati, con motivi che richiamano la natura terrestre, sulle pareti erano dipinti bordi con estrosi alberi della vita.
Gli interni erano lussuosi: tappezzerie preziose, tessuti pregiati, porcellane, lampade con paralumi di vetro dai disegni eccentrici, quadri con soggetti onirici e mobili dalle fatture stravaganti.
Ma tra tutte le stanze, la più importante, la vera Residenza, sarebbe stata un semplice e banale sgabuzzino, senza finestre, dove solo lei e Jer sarebbero potuti entrare. Soltanto Marty, che ne avrebbe avuta la chiave, ne conosceva l’esatta ubicazione, ben celata dagli elaborati disegni della tappezzeria.
Marty controllò un’ultima volta il progetto, prima di affidarlo ai Realizzatori.
Marty era una faina.
Parigi 10 febbraio 1929
Il salotto di villa Rubino era in penombra: le lampade colorate creavano un’atmosfera calda e confortevole, ma c’era tristezza nell’aria.
«Jer, è ora di entrare nello sgabuzzino, tra due giorni partiamo e devi essere ben riposato.»
«Mi mancherà Melodie, la amo così tanto!»
La disperazione nella voce di Jer colpì profondamente Marty: non le era mai capitato di provare una simile sensazione di... perdita.
Qualche mese prima Jer aveva conosciuto Melodie, una ballerina del Moulin Rouge, e se n’era innamorato. Non era proibito ma, per Enigma, Jer non era ancora pronto. Fu travolto da sensazioni troppo nuove e ancora misteriose: tenerezza, desiderio, adorazione per questa giovane donna così forte e al contempo così delicata e fragile da desiderare di proteggerla con la sua stessa vita.
Negli altri salti non era mai capitato, Marty aveva sempre vigilato, ma Melodie aveva conquistato anche lei.
Al contempo, il mondo di Melodie si era riempito di colori e di un calore per lei sconosciuto. Aveva scoperto la gioia di essere amata e protetta, senza dover dare nulla in cambio se non la sua allegria, la sua soave ingenuità. La sua voglia di vivere.
Ora che il prossimo salto era vicino, Jer non accettava il pensiero di dover dimenticare Melodie, di cui gli sarebbero rimasti solo ricordi, ben presto fagocitati da Enigma assieme a tutti gli altri raccolti nell’ultimo salto.
La faina accarezzò teneramente le fredde mani dell’uomo, se le portò al petto, cercando per lui un po’ di calore nella soffice pelliccia bianca.
«Lo so, Jer, ma il nostro mondo le è precluso. Sono le regole.»
Marty comprendeva il dolore di Jer, perché anche lei amava Jer, un amore segreto e disperato. Erano legati dalle Regole ma mai avrebbero potuto amarsi. Jer era in parte umano e lei era una faina, l’animale scelto da Enigma per proteggerlo.
Jer si coricò e Marty completò i preparativi, aggirandosi silenziosa nelle stanze sulle zampe morbide. Lontano dagli sguardi che vedevano in Marty un curioso animale da compagnia, cresceva, camminava eretta e indossava abiti semplici ma eleganti, adatti alla sua figura snella.
Controllò ancora una volta il calendario: le date e i luoghi avevano significato solo per Enigma.
Nello sgabuzzino tutto era in ordine: le scatole erano ben impilate, così tante che pareva impossibile potessero stare in quella stanzetta. In alto, su un ripiano, le scatole grigie dei ricordi e dei sogni da poco, inutili: Enigma non le apriva mai e prima o poi avrebbe dovuto disfarsene.
Marty prese una decisione: avrebbe sfidato Enigma per amore di Jer.
Lo addormentò profondamente, impartì alcuni ordini ad un domestico, e attese il ritorno di Melodie.
Poi modificò il calendario con un salto inaspettato.
Le faine sono furbe.
Melodie arrivò a Villa Rubino a notte inoltrata.
Lo spettacolo al Moulin Rouge era stato un successo.
Il suo corpo morbido e armonioso pareva creato per ballare il can-can. La danza era frenetica ma lei pareva non stancarsi mai: la musica ritmata e veloce la riempiva di un’energia incredibile, con cui, sera dopo sera, aveva conquistato Parigi.
Gli abiti ricchi e colorati creavano misteriose coreografie per le sue gambe ben tornite, quasi snodate: la “piccola Melodie”, così delicata, solo carina al confronto delle stupende ballerine del Moulin, stava diventando una vera celebrità.
Si diceva che fosse anche più brava di Mistinguett, ma Melodie, a differenza di lei, non ambiva a grandi cose. Le bastavano la musica, un palcoscenico, un costume e, ora, Jer.
Per essere perfetta, alla sua vita mancava solo una cosa: suo padre.
Ma quella sera c’era qualcosa di strano nell’aria: Marty le aveva inviato uno strano messaggio e Jer non era venuto allo spettacolo.
L’autista portò in casa il baule che conteneva le poche cose di Melodie: i giochi di bambina, le scatole di matite colorate, i disegni, un portagioie con dentro un portacipria, le lettere di sua madre e un ritaglio di giornale che parlava di un musicista italiano che tanto le somigliava.
Ben ripiegato, c’era il prezioso costume di scena che Jer le aveva fatto confezionare espressamente. Prima di riporlo nello sgabuzzino, Marty ammirò il bustino nero dai delicati ricami arricchiti da piccoli cristalli, la ricca gonna di seta rossa bordata di piume nere, le sottogonne leggere e vaporose di tulle leggerissimo, la biancheria di raso lucido...
Raggiunse Melodie in salotto e con delicatezza, le parlò di Enigma, della Residenza e dei suoi abitanti, del suo piano.
Enigma era un mondo non mondo, che si nutriva dei ricordi e dei sogni cui gli umani rinunciavano e che Jer mieteva: venivano riposti negli sgabuzzini e, ad ogni salto nel tempo, Enigma se ne impossessava.
Melodie non parve particolarmente sorpresa:
«Lo sapevo che eri strana, Marty e che anche Jer lo è. Ma non mi importa, anch’io sono diversa ma voi mi amate lo stesso.»
Melodie non si era mai stupita dell’aspetto di Marty e neanche di quello di Jer, che dentro la Residenza diventava evanescente, quasi invisibile.
Melodie era cieca da quando aveva dieci anni.
«Quindi posso rimanere, Marty? Non dirò niente a nessuno, prometto!»
«Se davvero vuoi restare con Jer per tutto il suo tempo, si può fare. Farò in modo che ad ogni salto possiate ritrovarvi, come adesso: solo questo. Farete ancora sogni e avrete bei ricordi, ma poi tutto finirà ogni volta nelle scatole, per Enigma. Tu saresti sempre bella e giovane, ma che futuro avresti davvero? Non porterai mai a compimento un progetto... non potrai avere figli con Jer... saresti in una sorta di limbo. Pensaci, puoi ancora cambiare idea.»
«Va bene così, ma vorrei ricordare almeno questi mesi così... intensi. Si può fare? Solo questo.»
Si poteva fare e Marty si mise rapidamente al lavoro.
Ripose i sogni e i ricordi di Melodie e di Jer degli ultimi mesi in una scatola grigia: le scatole grigie non venivamo mai utilizzate da Enigma: contenevano solo ricordi futili e sogni da nulla. Enigma non controllava se i custodi se ne liberassero di tanto in tanto: erano solo scarti del tempo.
In ogni momento, aprendo la scatola nello sgabuzzino, gli spettacoli di Melodie, le loro passeggiate, le risate, le emozioni... tutto sarebbe stato rivissuto. Ma solo nello sgabuzzino.
Marty ripose i suoi sogni in un prezioso portacipria che Jer aveva fatto realizzare per Melodie e che Melodie quella sera le aveva regalato.
«Lo so che non porti la cipria, ma è un dono di Jer e tu... lo ami. Tienilo tu, ne hai bisogno.»
Il pomeriggio successivo a Parigi si sparse velocemente la voce che Melodie aveva lasciato improvvisamente il Moulin Rouge. Anche Villa Rubino sparì, ma nessuno pareva ricordarsi esattamente dove si trovasse fino al giorno prima.
Bologna - aprile 1929
Gildo, un vecchio giardiniere di Montemaggiore, lasciava ogni giorno una sporta con pane, latte, giornali e poco altro davanti al cancello di Villa Rubino. Strano che non si ricordasse della villa, e sì che abitata a Montemaggiore da sempre. Ne aveva parlato con sua sorella, maestra in pensione e zitella, che lo aveva liquidato con un’alzata di spalle e un quarto d’ora di rimbrotti: c’era altro cui pensare che non ai vaneggiamenti di un vecchio, ubriaco già alle dieci del mattino.
«C’è il terremoto, Gildo, il terremoto! Hai letto il giornale? Altro che una villa che prima non c’era! Ma dico io! Guarda, toh. Ci sono scosse tutti i giorni, le senti anche tu no? E non sono scossettine, siamo sul quinto grado eh, lo sai cosa vuol dire? Leggi qua, trentatré centimetri di grafico, mica trentatré bicchieri di vino!»
«Ti dico che c’è, al Loghetto, è nuova, e c’è una faina alta come un bambino. Insomma, ci porto tutti i giorni i giornali e il pane, lo saprò bene! Ah, se non mi credi, fatti tuoi, io ci vedo ancora bene.» E via con cappello, sigaro toscano e un paio di bestemmie.
Gildo chiacchierava volentieri con la faina, mentre si occupava delle rose. Almeno lei era gentile e a volte si lasciava carezzare la folta pelliccia: a Gildo piaceva tanto e, in cambio delle carezze, Marty raccoglieva tanti ricordi, tanti sogni mai realizzati, pronti per una nuova occasione.
«Lo so Gildo, che non ti credono, ma stai tranquillo. Spedisci questa cartolina e appena arriva la persona che aspettiamo, tu la porti qui e poi torna tutto a posto.»
«Sì, va bene, ma poi quella buca lì va via? È pericolosa, per i carretti.»
Gildo si riferiva ad una fenditura che si era aperta nel terreno, lunga circa un chilometro: purtroppo l’arrivo di Villa Rubino era coinciso con lo scatenarsi di quella serie di terremoti, con scosse molto forti e lui aveva fatto due più due.
Marty era preoccupata, forse, avendo violato le regole, stava perdendo le sue facoltà e stavano correndo un grosso pericolo? Ancora due salti, Marty, resisti... fallo per Jer.
Marty aveva spedito al maestro Bergonzoni, una cartolina con i saluti da Villa Sussultoria, su cui aveva copiato, con la sua elegante grafia, la canzonetta che il maestro aveva composto come regalo agli spaventati abitanti della zona:
La scossettina va
un po’ tutte le sere
e tutta la città
deve cambiar quartiere
facendogli i complimenti per l’idea e invitandolo a Villa Rubino per una cena. Aveva firmato la cartolina come Tua figlia, Melodie.
«Vedrai, Melodie, che tuo padre verrà. Lo conoscerai, ti racconterà di tua madre e forse lui saprà dirti perché lei è fuggita a Parigi, portandoti con sé.»
«E se a lui non importasse di me, come mi ha detto mia madre? Se non mi volesse conoscere? Mi basterebbe una sua carezza, un suo abbraccio!»
«Oh, mia cara, chi non vorrebbe una figlia come te?»
Marty però era molto scettica: il mondo degli Umani era così... imperfetto: “Peggio per lui”.
Il maestro infatti non solo non si presentò a cena ma, tramite un breve messaggio, minacciò di denunciarla alle autorità come millantatrice.
La collera di Marty, dopo che ebbe cercato inutilmente di consolare Melodie, fu terribile. Scatenò i suoi poteri più sinistri e a farne le spese furono i già spaventati abitanti di Monte San Pietro e dintorni, che vissero l’incubo di rombi misteriosi, crolli di cornicioni e camini fino a ottobre inoltrato.
Quando finalmente Melodie si riprese dalla prostrazione in cui era caduta, Marty si calmò e Jer decise che era ora per un nuovo salto: giorno dopo giorno avevano riempito lo sgabuzzino di sogni e ricordi rubati agli abitanti della zona, che nelle notti insonni per il timore di nuove scosse, si raccontavano attorno ai fuochi, sotto le tende, nelle piazze. Quando Villa Rubino scomparve ancora una volta, lo sgabuzzino straripava, era quasi impossibile entrarvi senza inciampare in risate, sogni di abiti da sposa, campi fertili e notti stellate.
New York 20 ottobre 1929
Jer Buster era un uomo ricco. Disgustosamente ricco: il lusso di villa Rubino ne era la riprova.
“Pericolosamente ricco.” pensava Thomas Lamont: se Buster avesse ritirato tutti i suoi depositi dalla Morgan Bank, come in tanti, troppi clienti, stavano facendo, sarebbe stato molto arduo mantenere gli impegni per l’acquisto delle azioni della U.S. Steel al prezzo concordato con gli altri banchieri. Il disastro era chiaramente ormai imminente, ma doveva fare un tentativo. Nel caveau della banca era comunque tutto pronto.
«Mr. Buster ha deciso, Thomas, e lei non può farci nulla.»
Lamont si guardò attorno, stupito: la voce, morbida e suadente, arrivava da una grande riproduzione di villa Rubino, sistemata in un angolo del salone.
Ogni particolare era perfetto: la torretta, le vetrate, persino il glicine che si arrampicava accanto al portone d’entrata pareva profumare.
La parte frontale della struttura si era aperta e mostrava stanze, identiche alle originali, che erano delle piccole opere d’arte: mobili, lampade, tende e orologi... tutto uguale. Anche il fuoco nei caminetti era vero.
In un angolo del salone in miniatura c’era una piccolissima faina, dal musetto simpatico e con una pelliccia così morbida da chiedere carezze. Stava sulla soglia di quello che pareva essere un ripostiglio: sui minuscoli scaffali si intravedevano pile e pile di scatole colorate, lillipuziane. La faina teneva tra le zampette un chiave dorata e muoveva pigramente la lunga coda.
«Ma chi parla? Che scherzo è mai questo? Mr. Buster, si palesi per favore.»
«Sono io, Lamont, Marty, la faina. Come mi ha definita, tempo fa? Quello stupido animale da compagnia. Ma non importa, non più. Mr. Buster partirà stanotte e porterà con sé tutto il suo denaro, l’oro e gli altri oggetti da lei custoditi. Buona giornata, Thomas. È stato un piacere fare affari con lei.»
La faina si ritirò nel ripostiglio, la chiave girò nella toppa e la casa di richiuse silenziosamente.
A Mr. Lamont non rimase altro da fare che svenire.
Quando si riprese, era nel suo ufficio: ricordava solo di esserne uscito per un appuntamento, ma non ricordava con chi e dove. Troppi pensieri! Sulla scrivania trovò i documenti che attestavano il ritiro da parte di J. Buster di denaro, lingotti e l’accesso alle sue cassette di sicurezza e un breve messaggio: Mr. Buster sarebbe partito per l’Europa, la Bust Company non esisteva più. Accanto alla firma, qualcosa che assomigliava ad un’orma di animale.
Sconcertato chiese spiegazioni alla segretaria, che fissò Lamont, allarmata: lui si era occupato di persona del cliente!
Ma di lì a qualche ora, altri sarebbero stati i problemi che non un banchiere esaurito!
Quella notte Villa Rubino sparì misteriosamente dall’esclusivo quartiere dell’Upper West Side in cui, altrettanto misteriosamente, era comparsa tre anni prima: nessuno però ricordava di averla mai vista davvero in fondo a una delle strade più tranquille, eppure ci abitava l’enigmatico Mr. Buster, di cui però tutti ricordavano, anziché le fattezze, solo il piccolo animale che portava sempre con sé.
Mr. Buster era ricco e anonimo. Marty una faina. Il martedì nero avrebbe lasciato dietro di sé e nel futuro tanti sogni infranti e ricordi dolorosi.
Novembre 1980 – Isole Marschall
Al largo dell’isolotto di Runit, una nave militare stava aspettando gli ultimi uomini ancora a terra: Cactus Dome, la cupola di cemento che avrebbe dovuto conservare nei decenni a venire le scorie radioattive degli esperimenti nucleari americani, era stata finalmente completata.
Greg Norton, il medico di bordo, non vedeva l’ora di salpare: conosceva gli effetti delle radiazioni sul corpo, ma non era preparato a quello che era capitato a Bob Rundy, uno degli ufficiali addetti al controllo dei lavori di tombamento, e desiderava che diventasse un problema di qualcun altro.
Bob asseriva di aver visto, dall’altra parte dell’isolotto, una faina gigante e una ballerina di can-can passeggiare nel giardino di una bellissima villa liberty. La descrizione così precisa non lasciava dubbi: la madre di Bob era architetto.
“Stress, radiazioni, stanchezza e le visioni sono servite.”
La notte prima c’era stato un piccolo terremoto, che aveva impensierito molto Bob. Con la scusa di un ultimo controllo, era corso alla villa: non c’era più nulla, solo cespugli spinosi e desolazione. Il contatore Geiger era impazzito per qualche secondo, giusto il tempo per Bob di raccogliere un oggetto che luccicava nella sabbia smossa: un piccolo portacipria dall’aria preziosa. Ne aveva visto uno uguale in un libro di sua madre.
All’interno la firma del creatore: Archibald Knox.
Bob se lo mise in tasca, ridacchiando: non era pazzo.
Un nuovo salto era iniziato nella notte, ma ora su uno degli scaffali dello sgabuzzino c’era una scatola vuota. Marty si era liberata del sogno che Jer potesse amarla come lei lo aveva amato.
Chiuse a chiave lo sgabuzzino e si rasserenò, pensando che, in un tempo finalmente futuro, un sogno da realizzare tutto suo lo avrebbe trovato, ora che era libera.
Regolò il calendario e andò a svegliare Jer e Melodie.
Quanto ancora ben riposto nello sgabuzzino sarebbe stato sufficiente per un lungo futuro.
Jer era un Quasi Umano, Marty una faina, Melodie cieca. Villa Rubino un enigma del tempo.
Mondo Enigma – data incalcolabile
Dal registro delle Residenze
Si annoti che Villa Rubino, a seguito di violazioni alle Regole, viene bandita da Mondo Enigma e proseguirà la sua esistenza in esilio, con le sole risorse rimastale. Nessuna faina potrà essere più utilizzata come Custode.