***
“Che ne pensi?”
Non mi sono mai tinta i capelli in vita mia. Mai una volta, neanche per fare la figa, la chic, quella che si cambia il colore per darsi un nuovo look. Quanto odio queste cazzate.
Il mio colore è sempre andato bene com’è.
Lucilla mi guarda con un misto di tenerezza e ammirazione, quel tipo di sguardi che di solito mi danno il voltastomaco ma che almeno è la prova tangibile del suo ritorno alla normalità. Credo funzioni come certi cani non troppo intelligenti: togli loro qualcosa cui tengono e iniziano a ringhiare con la bava alla bocca; ridaglielo e tornano carini e coccolosi.
Mi piacciono i cani, più delle persone.
“Allora?”
Lei alza di spalle con un mezzo sorriso. “Perché colorarsi i capelli?”
Contemplo la mia chioma sciolta, umida, ora di un castano chiaro, nello specchietto crepato gentilmente offerto dalla Gang-Bang del Bosco.
Mai amato i capelli sciolti, mi fanno ragazza acqua e sapone.
Mai amato il castano: il dorato è un colore molto più nobile.
“Perché Atreja cerca una bionda e una platinata.”
“Quindi devo tingermi anch’io?”
“Oh, no.” Sorrido sorniona. “Tu vai bene così.”
Non afferra e preferisco.
“Ci vuoi spiegare?” Sigrid passeggia lenta, sul posto, il fucile tenuto basso e un’insofferenza crescente per l’attesa.
Quanto mi piace tenere la gente sulle spine.
“Ho trovato il modo più sicuro per entrare nel forte.”
“E sarebbe?”
“Dalla porta principale.”
Quanto mi piacciono le loro facce contratte.
“Non sei seria, no?”
“È quello che faremo.”
“Vuoi andare lì a suonare il campanello e farti aprire?”
Sorrido. “Te lo giuro, è proprio quello che intendo fare.”
“Non sei seria.”
“Oh, lo sono.”
“Mercury, pensi che quelle non ti riconosceranno solo perché ti sei tinta i capelli? Ma che cazzo stai dicendo?”
“Tranquilla: queste due,” accenno alle Gang-Bang superstiti, “Si sono impegnate a darci una mano. Giusto?”
Jade mi guarda con occhi spauriti. “Ti,” esita, “Ti prego, non so cosa vuoi fare, ma…”
“Ti sei impegnata a collaborare, giusto?” Calco il collaborare perché sappia a cosa mi riferisco.
“Sì.”
Foxx la fulmina di nuovo con lo sguardo, io guardo lei, la volpe, e sorrido. “Anche tu, che ti piaccia o no.”
“Vaffanculo.”
Mi accosto, lenta, la guardo contrarsi nell’istintivo timore di prendersi un calcio o un pugno. La scruto col miglior sguardo di ghiaccio, ne ho diversi. “Dico a te quello che ho già detto anche a lei, la stessa cosa, identica.” Pausa fredda. “Puoi odiarci, lo capisco. Vi abbiamo tradite, è stato infame, lo so. Ma ho bisogno del vostro aiuto, ora, adesso, ho bisogno di recuperare almeno qualcuna delle nostre compagne e senza voi due non so come fare. La tua collaborazione, come quella della tua amica, è fondamentale. Aiutami e avete una possibilità di restare vive, una possibilità che questa storia non finisca male come alle altre della vostra squadra.”
La volpe umetta le labbra, sangue rappreso al lato della bocca dove il mio pugno ha colpito più duro stanotte. Vorrebbe mandarmi all’inferno ma assieme culla quella possibilità di vivere, anche solo per potersi vendicare, un giorno, forse.
“Mi aiuti?”
Esita ancora, guarda Jade, poi me. “Cosa dovrei fare?”
“Una cosa che richiede tre minuti d’impegno e basta.”
“Cioè?”
“Una cosa che se non fai tu la dovrò fare io, ma a quel punto dovrei prima romperti la testa.”
“Cosa cazzo vuoi da me?!”
Quanto mi piace tenere sulle spine la gente.
Sorrido, fredda, tolgo il coltello dalla cintura, Foxx irrigidisce.
“Ti libero. Ti va?”. Mostro tre dita con nonchalance. “Tre minuti d’impegno e la tua parte è finita. Tre minuti. Ci stai?”
“Mercury,” Sigrid divide occhiate tra me e lei con malcelata tensione, “Non puoi fidarti di questa, è una bastarda.” Si tocca il braccio ferito.
“Ah, andiamo, sei l’unica che ha in mano un fucile qui. Di che ti preoccupi?” Accenno verso Foxx che non sa se credermi o meno. “Ci stai?”
Un lungo attimo di vuoto, di guardarsi le ginocchia, poi annuisce appena.
Mi avvicino, la volto, la slego con un breve lavorio di coltello, poi ripristino la distanza di sicurezza; Artemis toglie la sicura con un gesto discreto.
Osservo la volpe alzarsi mestamente in piedi, lenire il dolore ai polsi , una smorfia di sofferenza sui tratti; forse anch’io so fare i nodi, come Atreja. Dev’essere ancora piuttosto provata per l’inferno di stanotte, ed è un bene.
Alza due occhi spenti, nei quali pure brucia il marchio dell’odio, del rancore, della sofferenza, il cappuccio con le orecchie da volpe abbandonato dietro le spalle, un segno di sconfitta; Foxx, livida, attende istruzioni per questi tre minuti d’impegno.
Mi prendo tutto il tempo: quanto adoro tenere la gente sulle spine.
Inspiro, batto le palpebre, alzo di spalle, indifferente.
Mi sento vagamente Atreja.
“Spogliati.”
***
“È stato uno di quegli Effetti Alcova.”
Gioele Palazzese e Max Tambori guardavano Pier in religioso silenzio; intorno, i grandi schermi del monitoring inquadravano decine di luoghi e scene differenti.
“Vedete?” Di Marzo ruotò il monitor della postazione, srotolò per loro la timeline digitale del giorno, un paio di tocchi allo schermo per inquadrare il segmento incriminato. “In questo punto la linea si è piegata su sé stessa: è un’Alcova, appunto. La cosa bizzarra è che ha compresso svariate ore in una quindicina di minuti.”
“Svariate ore? Ma quando mai.”
“Per questo è bizzarro.”
Gioele si massaggiò una tempia. “Queste contrazioni durano al massimo un paio d’ore.”
“Mercury ne ha passate dieci nell’albero cavo più tre complessive per andare e tornare da quel buco.”
“Un’Alcova da tredici ore? Impossibile.”
Pier toccò nervosamente le cuffie che aveva abbassato dalla testa al collo. “Non era mai accaduto, in effetti. Ma è andata così, la timeline non mente. Se tu provassi a chiedere a quella ragazza cosa ricorda della sua permanenza nell’albero o del viaggio di ritorno, non saprebbe darti altro che singoli momenti: quando comprimi tante ore in così pochi minuti il tuo cervello non ce la fa a tenere traccia di tutto. È normale.”
Silenzio carico. Gli altri operatori dividevano l’attenzione tra il loro discorso e gli schermi di controllo.
“E la donna che l’ha aiutata?”
Pier increspò i tratti in una smorfia cupa. “Mi credi se ti dico che non ho nulla su di lei? Non è nessuna delle concorrenti che risultano in vita, non ha una telecamera dedicata, non compare in nessuna ripresa.”
“Questo non è possibile.”
Lui gli elargì un’occhiata spiritata. “Hai presente il momento in cui entra nell’albero e prende la Masca alle spalle? Se guardi le registrazioni dell’esterno dell’albero fino a un istante prima del suo ingresso, non c’è nessuno che entra.”
“Impossibile.”
“Nessuno, ti dico. All’albero non si avvicina nessuno, neanche compare in tutta la radura all’esterno. È come se si materializzasse direttamente sull’ingresso. L’ho riguardato cento volte.”
“Sa dove sono le telecamere, l’hai vista dentro l’albero, no? Sa dove sono e le evita.”
“Giò,” un gesto accorato, “Può anche sapere dove sono le telecamere, per quanto lo ritenga impossibile, ma l’ingresso dell’albero è perfettamente inquadrato: non puoi entrare senza che si veda almeno la tua dannata sagoma, anche solo un momento. E quel momento non c’è, te l’assicuro.”
Silenzio nervoso.
“Quindi è un fantasma?”
“Non lo so. Forse è un’anomalia, o addirittura è un prodotto dell’Alcova. Devo lavorarci su.”
“Un prodotto dell’Alcova?”
“Non possiamo escluderlo. In fondo se comprimi tante ore in pochi minuti stai creando uno stress notevole per la struttura dell’isola: magari questo è un effetto collaterale.”
“L’isola crea un fantasma come effetto collaterale?”
Pier espirò, teso, vagò lo sguardo intorno. “Non lo so, d’accordo? Stanno capitando cose strane, ultimamente.”
“Dopo la croce, un telefono non nostro, una concorrente mai iscritta, un fantasma, sì, possiamo dire che stanno capitando cose strane.”
“È come se Illumina stesse reagendo a degli stimoli.”
“Beh, questo non deve capitare.”
“Giò, non abbiamo il controllo totale e completo di un sistema così complesso.”
“Cosa vi pago a fare?! Dovete averlo!”
Max s’intromise con uno schiarire di voce per rompere il momento di tensione; indicò il monitor più grande sulla parete di fronte, uno sguardo divertito. “Cosa stanno facendo?”
Sullo schermo stazionavano le figure delle sue concorrenti preferite assieme alle superstiti della Gang-Bang del Bosco.
“Stanno organizzando qualcosa,” Pier accennò distratto, “Mercury ha un piano.”
“Un piano per?”
“Entrare nel forte, credo.”
Max guardò Gioele e Gioele guardò lui. “Ci stiamo perdendo una cosa del genere?”
Prese a fissare la figura di lei, eretta, magnifica nell’immagine ad alta definizione. I capelli non sembravano più i suoi, sciolti e scuriti. La guardò togliersi il top e qualcosa nei suoi jeans cominciò a cambiare.
“Max,” Gioele soppresse il fastidio dietro una smorfia di sopportazione, “Abbiamo problemi più pressanti.”
Lui sorrise in risposta, occhi fissi alla scena. “No, Giò. Abbiamo un altro colossale momento topico dello show.”
***
Questa roba è ridicola.
Mi sento la cretina più cretina delle isole, anche più cretina delle cinque cretine che questa roba la indossano per scelta.
Il costume di Foxx è della mia misura. Ho un top di pelliccia, una gonnella di pelliccia, polsiere e stivaletti di pelliccia, poi un cappuccio con le orecchie da volpe. Tutto di pelliccia, tutto rosso aranciato come l’animale, quello vero, cui è ispirato.
Imbarazzante.
Ho persino qualche centimetro di pelle esposta in meno rispetto a prima, ma è tutto comunque fottutamente imbarazzante. Nessuna donna sana di mente indosserebbe mai un costume da sexy-volpe, men che meno per andare su un’isola del cazzo piena di cose orribili.
Foxx, in piedi vicino ai resti del falò, si copre il petto con le braccia, nuda tranne che per il paio di slip che le ho generosamente concesso di tenere. Slip arancioni, non sarà un caso.
“Allora?” Ammicco verso Lucilla che osserva perplessa.
Lei arriccia il naso, un gatto certosino. “Non so. Avete due facce proprio diverse.”
Ha ragione, sì. Questa specie di ragazza-volpe ha il viso stretto, la mandibola marcata, gli occhi più sul grigio-verde. Ma ci ho pensato, so come fare a limitare le differenze.
“E poi il naso.”
“Il naso?”
“Sì, il naso è proprio diverso. Il suo è normale, tu ce l’hai tondo.”
Silenzio.
“Ce l’ho come?”
“Tondo.”
Altro silenzio.
“Io ho il naso tondo?”
“Sì.”
Freddo. Raccolgo lo specchietto crepato, guardo me stessa, il viso che conosco meglio, i tratti un po’ squadrati, i capelli che non sono i miei, ma il naso no, il mio naso non è tondo. Non è aquilino, non è a punta, ma non è tondo.
Tondo non lo accetto, no, ci sono nasi più tondi, cazzo.
È solo un po’ arrotondato.
Tondo proprio no.
“Dove sarebbe tondo? Ma un paio d’occhiali?!”
“Non ho detto che è brutto, solo che è tondo.”
Senso di fastidio.
Più mi guardo più sembra che il mio naso sia tondo. Potere della suggestione. Magari è l’isola.
Quest’isola fa un sacco di cose orribili, magari distorce anche le prospettive, rovina i punti di vista, altera le fattezze.
Potrebbe alterare le fattezze, sì.
Guardo Sigrid e lei mi squadra indecisa. “Ho il naso tondo secondo te?”
Alza di spalle, infastidita. “Ma non lo so. Non abbiamo cose più importanti da fare?”
Occhiata torbida. “Dimmi solo se lo trovi tondo.”
Espira spazientita. “Un po’ è tondo, sì.”
Ho il naso tondo.
Un po’ tondo, non cambia niente. Tondo.
Ho sempre pensato di avere un naso normale, certo non a punta, non finissimo, ma normale. Un cazzo di normalissimo naso: invece no, pare che il mio naso sia tondo.
Una roba anomala, fuori dagli schemi. Non ci avevo mai fatto caso, o non al punto da considerarlo una cosa che si nota; magari tutto il mondo trova che io abbia un naso tondo e nessuno, nessuno ha mai avuto le palle di dirmelo in faccia.
Lo deve fare una suora di vent’anni su un’isola da incubo.
Il mio naso è tondo.
“Se lo notano,” scandisce candida, “Si accorgeranno subito che non sei lei.”
Espiro. Getto lo specchio sull’erba.
Guardo Jade, lei abbassa gli occhi, intimorita.
“Ehi. Le Erinni, Porsha, sanno che facce avete? Saprebbero distinguere me da lei con addosso lo stesso costume? Naso o non naso?”
Il procione vaga le iridi, guarda la compagna, poi me. “Non lo so…”
“Non darmi risposte a culo. Saprebbero distinguermi o no?”
“Non lo so, okay? Quando andavamo al forte a consegnare qualcosa o qualcuna faceva sempre tutto Tania, parlava lei, prendeva ordini lei. Ci conoscono, sì, ma non… non so dirti se sanno distinguere te da Francy. Non lo posso sapere!”
So che il trucco può funzionare, deve funzionare. Queste cinque disgraziate sono strumenti per le Erinni, utili idiote da usare per pattugliare i boschi, troppo ridicole per impararne i nomi, troppo insignificanti per averci a che fare con continuità. Forse Tania saprebbero distinguerla da una che ci assomiglia, ma Foxx, la volpe, forse no. Siamo alte uguali, con una buona muscolatura, ora abbiamo capelli simili.
Mi benderò parte della faccia per simulare una ferita e il sangue che macchia qua e là il costume aiuterà a rendere tutto più realistico.
“Mercury,” Sigrid osserva preoccupata, “Stai veramente cercando di entrare nel forte spacciandoti per questa demente vestita da volpe?”
“Non ci andrò da sola. Loro due vengono con me.”
“Io da chi mi devo travestire?” Lucilla squadra Jade che inizia ad avere timore per il proprio abbigliamento.
Sorrido. “Tu sei già travestita così, Lu, non devi cambiare una virgola.”
“In che senso?”
“Lo vedrai. Adesso pensiamo alle cose serie: prendiamoci quello che serve, qui non dovremo tornare più. Voi,” accenno alle due Gang-Bang, “Faccia a terra, vicine.”
Jade si accosta alla compagna, esitano.
“A terra, ho detto.”
Le guardo stendersi prone sull’erba dopo un altro lunghissimo attimo d’incertezza.
Continuo a sentire qualcosa, qualcosa che si muove dentro, come un senso di languore; guardare queste due imbecilli mentre mi obbediscono per restare in vita è una sensazione pregnante, densa, vera. Mi sento una Atreja o, meglio, comincio a capire come si senta lei. Quando ci ha fatte spogliare, camminare nude una dietro l’altra: comincio a capire che effetto faccia.
Ti senti forte.
Carica.
Migliore.
Migliore, sì, migliore di loro.
Sconfitte, perdenti, alla tua mercé.
Migliore.
“Sig,” accenno col capo, “Tienile d’occhio. Lu: con me.” Ci avviamo alla caverna per un doveroso saccheggio.
Il mio naso è tondo.
Senza motivo, questa mattina, il mondo è cambiato.
***
La tana della Gang-Bang, a ben vedere, è un posto pieno di cose interessanti. Avessimo il tempo potremmo spenderci un paio d’ore a scartabellare tra tutto ciò che queste poveracce hanno accumulato nei mesi, rubandolo, prendendolo con la forza. Un tesoretto che farebbe comodo esplorare.
Non ne abbiamo il tempo.
Anche se abbiamo dato solo una veloce controllata, la Gang-Bang del Bosco sembra aver raccolto tutto fuorché due cose fondamentali: armi e vestiti.
A parte qualche lama e temperino richiudibile non c’è altro. Hanno i loro archi, le loro frecce, ma niente di più.
E i vestiti, beh, queste non sono come le Erinni. Non hanno tolto anche mutande e anima a chi è passata per le loro mani: un bene, un male, in ogni caso non hanno niente che possa darmi una sistemata per dopo, quando toglierò questa specie di costume da troia cartoon e ritornerò a quello da troia camouflage. Neanche un paio di scarpe, di stivali, così, per gradire.
Abbiamo riempito i nostri zainetti con qualche scorta d’acqua e cibo, poi uno zaino più grosso, trovato lì dentro, con quante proto-mele e cannella abbiamo potuto. Il resto sono orpelli sacrificabili, eccetto una cosa: raccolgo le cariche e il telecomando, infilo tutto nello zaino.
Quando avremo finito col forte, se ne usciremo vive, le Erinni verranno sicuramente qui, a fare piazza pulita di questo posto; non credo ci sarà modo di tornare.
Usciamo all’aperto col sollievo di tornare a respirare: la grotta odora di sangue, il sangue delle ragazze che abbiamo tradito e assassinato.
È andata così, adesso anch’io non smetto di ripetermelo.
“In piedi,” scalcio un sasso contro le due superstiti della banda dei boschi, “Veloci.”
Obbediscono, amare. Jade guarda me poi la caverna, il bottino essenziale che abbiamo preso, poi ancora la caverna. “Le,” mugugna, “Le lasciamo lì?”
“Che cosa?”
“Tania e Nancy,” la voce le trema.
“Vuoi portartele dietro?”
“Le mangeranno gli animali se…”
Faccio un gesto severo a lasciar intendere che non c’è da discutere. “Non abbiamo tempo per seppellirle.”
“E la Sabri?”
Brivido.
Guardo lei, mi guarda, mi guardano tutte.
“Il corpo non c’è più. Qualcosa se l’è portato via.”
Altro brivido. Un lungo momento di vuoto, d’orrore, d’introspezione.
D’immaginazione.
“Almeno ha nutrito l’isola, no?” Sigrid sorride gelida, crudele, “Magari adesso Galena ci vuole più bene.”
La volpe la folgora con lo sguardo, ha un lieve fremito di collera.
“Ehi,” punto entrambe, decisa, per spezzare l’attrito, “Basta parole inutili. Adesso ci muoviamo.”
Raccolgo l’arco e la faretra di Foxx, metto tutto a tracolla. Quelli di Jade li affido a Lucilla: sono le uniche loro armi che ci portiamo dietro, per esigenza, perché la mascherata deve essere perfetta. Perfetta in tutto.
“Bastarda,” Foxx sibila verso Artemis, lei si limita a sorridere e alzare appena le sopracciglia. Ha una naturale forma di cattiveria che ben si sposa col personaggio che è, la ragazza d’oro dell’alta società. Non è solo uno stereotipo, sto imparando.
“In cammino,” scandisco infastidita. “Sig, tu fai strada. La prima che parla si prende un pugno. Vale per tutte.”
Artemis sorride ancora, appoggia il fucile in spalla, si avvia per prima. Jade e Foxx seguono con riluttanza, noi andiamo dietro; la volpe si gira dopo pochi passi, uno sguardo mesto che non sono abituata a vederle in viso. Nuda, scalza, il viso tumefatto e il labbro spaccato: è il ritratto dell’uragano che l’ha colpita. Un uragano che porta il mio nome. “Dammi almeno le tue scarpe,” mormora a mezza voce, le braccia a coprirsi il seno.
Un piccolo gesto, le ho in spalla come il resto dei miei abiti ripiegati. Un gesto di pietà verso chi abbiamo tradito, ferito e ucciso. Chi si è fidata di noi e ne ha pagato il prezzo.
Un caro prezzo.
Sarebbe solo un piccolo gesto.
Vuoto, minuto.
Le mie scarpe a un’altra?
Le labbra mi si piegano ancora più in basso. “Col cazzo. Cammina.”
Procediamo verso il nostro destino, aggrappate a un piano che forse è solo una pessima idea, figlia d’un momento d’adrenalina.
Un momento di lucida follia.
Un momento.
***
Frammento 11 – Intercettazione telefonica (Silvia Irace – II)
*lungo attimo di silenzio, disturbo acustico*
“È in linea?”
*voci incomprensibili in sottofondo*
“Insomma, chi c’è in linea?!”
*schiarire di voce*
“Soldato semplice Irace, comandi.”
“Irace? È lei che ha fatto il casino, si?!”
“Il… casino, signore?”
“Non mi faccia alterare, Irace. Mi hanno già spiegato, m’hanno detto, ma dove crede di essere? Ma lo sa cos’ha fatto?”
“Con rispetto, Maggiore, ma io non ritengo di…”
“COLONNELLO. Sono il Colonnello Brigandi, Irace, ma ha capito la situazione? La sto chiamando da Roma, qui è Roma, ha capito la situazione?!”
*imprecazione incomprensibile*
“Colonnello, sì, signore.”
“Irace cosa ha fatto? Ma cosa le passava per la testa, cazzo?”
“Signore, aspetti, io devo spiegare…”
“Cosa vuol spiegare, cosa? M’han già detto tutto, le son saltati i nervi, ha preso e sparato a bruciapelo: ma scherziamo?!”
“Colonnello aspetti, aspetti! C’era una contestazione, hanno lanciato dei sassi!”
“Le regole d’ingaggio, Irace, per Dio! Lei ha aperto il fuoco ad altezza d’uomo per dei sassi? Cos’aveva in testa?!”
“No! Aspetti! Quella donna era armata! Aveva una pistola, l’ha estratta, io ho…”
“Ma quale pistola, quale arma! Si rende conto del casino che ha combinato?”
“Ho difeso il blindato, il caporale Richetti era di schiena, stava calmando dei riottosi, io ho dovuto…”
“Irace mi ascolti…”
“No, no, lei deve ascoltare me!”
“Io devo cosa?! Ha capito con chi sta parlando?”
“No, cioè, sì, signore, sono… un po’ confusa, siamo rientrati adesso, io…”
“Che è confusa lo so già. Devo rispiegarle da capo la situazione?”
“No, signore.”
“Le hanno tirato addosso una granata? Un ordigno sotto al Lince?”
“No, signore.”
“Le hanno tirato addosso dei sassi?”
“Sì, non a me, al collega, al blindato…”
“E per dei sassi lei ha sparato ad altezza uomo, ha ucciso una manifestante?”
“No! Sì, ho aperto il fuoco, una volta, una, volevo…”
“Cos’aveva in testa, Irace?”
“Ho pensato solo a proteggere i colleghi, erano di schiena, non potevano vedere che…!”
“Ho detto in testa, Irace, Cristo Santo, cosa aveva in testa? Aveva l’elmetto d’ordinanza sì o no?!”
“Sì.”
“Con l’elmetto d’ordinanza in testa lei ha avuto paura dei sassi? Ma cosa le hanno insegnato al STS?!”
“Non erano i sassi! La manifestante era armata, ha estratto una pistola, io ho dovuto…!”
“Irace. Irace, lei mi deve ascoltare.”
“Ho dovuto aprire il fuoco!”
“Irace, lei è stata filmata. Ha capito? FILMATA.”
“Come filmata?”
“C’era un giornalista freelance in quella strada, lei è stata filmata mentre spara a sangue freddo su una donna.”
*silenzio*
“Mi hanno filmata?”
“Il video è già in rete da un’ora. Non si è accorta che c’era qualcuno che riprendeva con un telefono?”
“No… no, io… io ho pensato solo…”
“L’ha già detto, Irace, l’ha già detto, per Dio. È stata ripresa, sì, la si vede sparare a sangue freddo. C’è già un polverone, che l’Esercito è lì a fucilare civili innocenti, capisce?”
“Ma non… ma è stata legittima difesa!”
“Questo lo dice lei, Irace, lo dice lei.”
“Se m’hanno filmata deve vedersi che quella aveva una pistola, deve vedersi!”
“Mi ascolti: lei hai appena messo l’Esercito nei guai, glielo dico informalmente. Qui passiamo tutti nella tempesta per causa sua, ha capito? Qua viene fuori un casino che non s’immagina, non s’immagina neanche.”
“Ma devo finire nei guai per aver difeso i colleghi?!”
“Ha appena esposto i suoi colleghi alle rappresaglie dei locali e il Comando alle azioni legali delle bestie che abbiamo qui in casa nostra. I comitati, i pacifisti, Eleuteria: ha presente il bordello che tireranno su?”
“E che dovevo fare, farmi sparare?!”
*sospiro*
“Non ha capito come funziona oggidì? Se per terra con un proiettile in testa ci fosse rimasta lei, finiva tutto con una medaglia postuma, funerale di Stato e una targa su un muro, che qualche anarcoide avrebbe imbrattato con la vernice. Così, invece, è un casino.”
*singhiozzo*
“E adesso?! Cosa dovrei fare io?!”
“Mi ascolti, Irace, mi ascolti bene: lei adesso raccoglie le sue cose e torna qui. Del processo ne parliamo al suo rientro, si occuperà di tutto l’Avvocatura Generale, lei non si deve preoccupare di niente.”
“Processo? Quale processo? È uno scherzo?!”
“Lei raccoglie le sue cose e prende il primo trasporto per l’Italia, ha capito? Mi ha capito, Irace?”
“Oddio, Dio, Dio, no, è un incubo…”
“Un modo lo troviamo, eccesso di legittima difesa, condizioni estreme, scarso riposo, le daranno le attenuanti della situazione, lasci che se ne occupi chi di dovere.”
“Ma io non ho fatto niente di sbagliato!”
“La aspetto qui entro la fine della settimana, Irace. Vedrà che sistemiamo tutto.”
*imprecazioni sommesse*
“Sistemiamo tutto, tutto quanto.”
***