Caro Babbo Natale,
Non credo tu mi conosca. Non ti ho mai scritto nel passato e tu, di tua spontanea volontà, non mi hai portato mai nulla di ciò che io abbia desiderato.
Questo mi fa dubitare della tua esistenza ma io ho bisogno di credere in te, anche se ho sentito una conversazione tra mamma e papà che una certa Helena Dalli, ex Miss Malta e Commissaria europea all'uguaglianza, vorrebbe sopprimerti.
No! Aspetta! Non vogliono veramente ucciderti ma cambiare quello che è la festa del Natale.
Essendo una festa tipicamente cattolica non includerebbe miliardi di persone, specie bambinƏ.
No Babbo Natale, quella “e” rovesciata non è un errore.
Sei proprio vecchio!
Si chiama “schwa” e serve per dare un genere neutro quando si parla in generale.
Sei confuso?
Sapessi io ma quella signora (qui va bene la “a” finale, anche se, quando uno non conosce la liquidità sessuale del soggetto, sempre la stessa Commissione, suggerisce di mettere un asterisco invece della vocale alla fine della parola) voleva che invece di Natale, si mettesse una banale “festività”. Così, saresti diventato il Capo della festività.
Non puoi più essere nemmeno Babbo per non offendere chi non crede nelle famiglie così come sono sempre esistite.
Non credo neppure che tu possa essere definito Genitore 1, anche perché, non essendoti mai sposato, non esisterebbe quel Genitore 2 che oltretutto è incorretto. Infatti è proibito, a causa della fluidità che ti ho descritto sopra, stabilire chi sia l’Uno e chi sia il Due.
E poi, come avresti generato tutti quei figli che ti chiamano Babbo?
Cioè tutti i bambini del mondo.
Adesso “bambini” posso scriverlo senza la schwa poiché la signora Dalli, proprio poco fa, ha dovuto fare marcia indietro rimangiandosi quel documento d’inclusione che, le hanno fatto notare, fosse invece d’esclusione.
In effetti, non sarebbe stato politically correct far cambiare una festività appartenente a una minoranza, quella cristiana, senza magari cambiare anche quella di un’altra minoranza, il Ramadan dei musulmani o di quell’altra ancora, lo Yom Kippur degli ebrei.
Io però non sono esattamente politically correct e quindi, anche senza la retromarcia di quella Commissione, voglio proprio credere in te, anche perché, forse, sei la mia unica speranza.
Mi chiamo Antonio. Tutti però mi chiamano Tonino. Ho quasi diciassette anni anche se mi sembra d’averne il doppio.
Ora che ci conosciamo, posso rivelarti la mia terribile malattia rara: sono un ragazzo farfalla.
Una bellissima espressione per una bruttissima definizione medicale: epidermolisi bollosa.
Chi la tratta non la pronuncia quasi mai tanto è orribile l’immagine che ne scaturisce: una pelle piena di bolle, pronte a esplodere al minimo tocco, lasciando aperte dolorosissime piaghe sanguinolenti e purulenti.
Gli scienziati la chiamano EB. Una sigla che, come quasi tutte le sigle, fa sì che i profani non ne capiscano il significato.
Io però l’ho imparato sulla mia pelle. Scusa Babbo Natale la tragica ironia ma permettimela. È la mia sola arma di difesa.
Cerco di sdrammatizzare per dimenticare il tremendo dolore che è nato con me e non mi abbandona un solo momento della giornata.
La mia pelle è delicata come le ali di una farfalla che, se qualcuno le tocca, si polverizzano perdendo quei meravigliosi disegni splendidamente colorati, che le permettono anche di volare. La farfalla termina così, tristemente al suolo, la sua, seppur effimera, bellissima vita.
Io credo che lei soffra nella sua triste agonia, perché io ne soffro quando mi toccano. E non lo faccio in silenzio come sembrerebbe farlo lei. Debbo gridare, tentando così di annullare quel trapanante dolore che è sempre presente nella mia testa e cerca ogni occasione per esercitare il suo ingrato compito.
L’EB (visto! Lo uso anch’io) è una malattia genetica, detta rara anche se colpisce cinquecentomila persone al mondo, che dei genitori portatori sani, trasmettono ai loro bimbi senza esserne a conoscenza.
Come avrai capito, caro Babbo Natale, sono un italiano.
Nel nostro Paese siamo circa mille con questa malattia, dagli appena nati ai più grandicelli come me e anche un po’ oltre ma non tanto, purtroppo.
Così, voglio credere di poter essere anche il loro ambasciatore per la richiesta che ti farò. Per il resto del mondo, dato che lo giri tutto con le tue renne e la tua slitta, spero sia tu a tradurre, in ogni lingua, quello che ti chiederò.
No, no, non ti chiedo di farci guarire!
Questo sarebbe un enorme miracolo e tu non fai miracoli.
Porti solo regali a chi te li chiede espressamente per lettera.
Al cosiddetto miracolo ci penserà la scienza. Che anche lei non li fa ma continua a cercare fino a quando finalmente trova la giusta soluzione.
Finora però nessuno di noi è mai guarito e, come ti ho scritto prima, non è nemmeno vissuto a lungo. Pochissimi sono arrivati ai trent’anni.
Nel frattempo tentano solo di medicarci le terribili ferite croniche, causate dalla nostra pelle al solo contatto con qualsiasi tessuto o con qualche persona che inavvertitamente la sfiora. Siccome, come spiegano gli esperti, manca di fibrille d’ancoraggio, quel collagene che consente di tenerla insieme, cede provocando degli orribili squarci e con loro il tremendo dolore.
Devo dirti, caro Babbo Natale, che temo in maniera particolare quando arriva il momento del bagno.
Non perché mi piaccia rimanere sporco ma solo per la paura che si scateni la solita terribile sofferenza sempre annidata lì, nel mio cervello.
Sembra un semplice atto ma è forse quello il momento che più mi fa urlare come un disperato.
La mamma ci sta molto attenta e ha deciso che quell’insopportabile rituale, che permette anche di mantenere il più lontano possibile il pericolo d’infezione, avvenga comunque ogni due o tre giorni.
Devi sapere, Babbo Natale, che al fine di non farci infettare troppo facilmente e cercare di far cicatrizzare al più presto le ferite sulla nostra carne viva, chi ci cura stende dei grandi cerotti trasparenti su quelle più grandi poi ci benda dai piedi fino al collo come delle mummie.
Solo la testa rimane scoperta, cosa che mi permette di odorare, vedere, sentire, parlare e ovviamente pure respirare.
Anche se, per qualcuno di noi, quella schifezza di EB, chiamato giunzionale, abbastanza raramente, attacca le mucose interne di gola e bocca, trasformando il respiro in un’ulteriore indicibile sofferenza.
Io sono stato abbastanza favorito dalla sorte (si fa per dire) poiché la mia forma è quella distrofica e cioè, ho bolle e ferite solo sulla pelle esterna.
C’è pure la forma simplex che attacca solo le mani e i piedi ma purtroppo io non sono stato così fortunato (pura salvifica ironia).
Pensa, Babbo Natale che anche la seppur necessaria fasciatura ci causa la deformazione delle mani e dei piedi con l’ovvia conseguenza della diminuzione dei nostri movimenti.
Le dita delle nostre quattro estremità infatti si ricongiungono, diventando palmate, costringendoci così a deambulare con la sedia a rotelle spinta da un amorevole assistente.
Da farfalla e mummia diventiamo così anche ranocchi.
La mamma, al momento del bagno, per facilitare la rimozione della vecchia fasciatura, mi aiuta a immergermi nella vasca con l’acqua calda. Le bende imbevute e i cerotti speciali vengono via un po’ più facilmente ma il dolore a volte mi trafigge come un trapano nella carne viva. Cerco di trattenere le urla ma solo a volte ci riesco.
Il peggio però viene dopo il bagno con l’applicazione delle pomate analgesiche, dei nuovi cerotti imbevuti di cicatrizzanti particolari e della nuova fasciatura.
Devo ammettere, Babbo Natale, che qualche volta, è vero, mi scappano delle parolacce. Mettimele pure in conto. Non ci posso far nulla.
Ne dico anche durante la preparazione ai frequenti interventi invasivi per la ricostruzione delle mie dita di mani e piedi. Purtroppo sono necessari per non permettere al cancro di comparire in quelle mie estremità già abbastanza martoriate.
La mamma oramai non piange più o almeno non lo fa in mia presenza.
È sempre sorridente e mi sprona a leggere e studiare per distrarmi dalla mia miserabile vita.
Il prossimo anno, spero proprio d’esserci ancora, tenterò di diplomarmi.
Anche il babbo cerca di starmi vicino il più possibile ma deve lavorare.
Varie volte, senza che se ne accorgessero, li ho sentiti discutere sulla mia situazione. All’inizio si colpevolizzavano per avermi trasmesso questa malattia e ciò rendeva colpevole pure me.
Ho perfino sperato di morire.
Avrebbero sofferto ma poi sarei stato solo un bel ricordo dei momenti della nostra vita assieme.
Non è successo.
Nessuno mi ha ascoltato e, come vedi, sono ancora qui.
Li ho sentiti anche lamentarsi che lo Stato faceva ben poco per aiutare le famiglie colpite dal dramma di noi ragazzi farfalla.
Non eravamo numericamente così importanti da aumentare i finanziamenti alla ricerca medicale delle grandi case farmaceutiche mondiali.
C’era però qualcuno che tentava di fare qualcosa e sembra (è notizia proprio di quest’anno) che una pomata, ricavata dalla corteccia della betulla, possa fare da cicatrizzante naturale. Dovrà però passare ancora qualche anno di test prima dell’approvazione ufficiale dei vari organi preposti.
Mamma e papà hanno inoltre parlato di una pelle artificiale che risolverebbe per sempre il problema. Una volta innestata attecchirebbe spontaneamente sulla pelle anche perché proviene dalle nostre stesse cellule epidermiche sane.
Ho cercata la notizia su internet e non credo sia una fake news.
Mi ha dato speranza.
Chissà però quante farfalle non voleranno più prima della messa in funzione di questi prodotti?
Ti chiederai, Babbo Natale, come faccia io, un adolescente, a conoscere tutti quei difficili termini scientifici.
La mia malattia mi ha fatto crescere in questa realtà e la mia giovane memoria ha immagazzinato tutto quanto, cercando di comprendere.
Il mio interesse in una vita normale, proprio come quella degli altri, mi ha spinto a leggere tutto ciò, purtroppo poco, che è stato scritto sulla possibile guarigione.
Come ti ho detto all’inizio, io credo nella scienza ma voglio credere anche in te.
Magari sei più veloce della scienza!
E adesso, sperando di aver ottenuto tutta la tua attenzione, vengo al mio desiderio.
Ti chiedo una sola cosa: abbracciare.
Vorrei essere abbracciato senza sentire nessun dolore.
Vorrei abbracciare senza dover gridare.
Forse per te è poca cosa ma per me sarebbe la più grande del mondo.
Adesso lo faccio con te.
È solo un abbraccio virtuale e non mi fa male, anche se, sfiorando i tasti del mio pc, a volte il dolore lo sento ma riesco a soffocare il gridolino che vorrebbe scapparmi di bocca e… no, non lo sostituisco con le parolacce.
Con tanto affetto e tantissima speranza,
Tonino