Lucia sfila sulla passerella sicura ed elegante, come ha già fatto altre centinaia di volte. Oramai procede col pilota automatico, sa tutto a memoria: sguardo fisso su un punto preciso in fondo al percorso di sfilata, andamento flessuoso e deciso, un piede avanti e poi l'altro, con naturalezza. Gli occhi del pubblico sono su di lei, ma non ci pensa. Il segreto è tutto lì, basta dimenticarsene. Se fai così è difficile commettere errori, le aveva detto un famoso stilista all'inizio della carriera. A lei piace immaginarsi sopra un tapis roulant in palestra, impegnata nel solito percorso di allenamento. Probabilmente c'è sempre qualcuno che la fissa quando si allena, si sente gli occhi addosso, ma non si è mai voltata per verificarlo. Non le piace essere osservata e odia essere toccata, sul lavoro però deve stare concentrata e mettere da parte ossessioni e paure. Inciampare e perdere l'equilibrio è un attimo e non sarebbe di certo simpatico ritrovarsi lunga distesa sulla pedana per il Gran Gala della moda della settimana di Natale. Certo, avrebbe potuto scegliersi un'altra occupazione se non ama stare al centro dell'attenzione, ma non è colpa sua se è bella. Glielo hanno fatto capire presto che lo è, sin da bambina, e lei ne avrebbe fatto volentieri a meno.
Terminata la sfilata Lucia torna in albergo. Vuole stare sola, non ha voglia d'incontrare nessuno e soprattutto non ha voglia di fingere di divertirsi a uno stupido party. È irrequieta e ha solo bisogno di starsene un po' in disparte. Ogni tanto le succede. Fa una doccia bollente, poi in accappatoio si affaccia alla finestra. Fuori i fiocchi di neve giocano con la luce gialla dei lampioni; qualche metro più in là i vetri illuminati del Pirellone fanno molto albero di Natale. Milano è la sua città, ma Parigi le piace di più, con o senza neve. Il Natale invece non le piace per niente.
Non più. C'è qualcosa di sbagliato in quel giorno. I regali non sono sinceri. Un improvviso senso di vuoto le apre una voragine nello stomaco e allora si mette a piangere. Sbatte i pugni sul vetro della finestra dell’hotel senza riuscire a frenare le lacrime. Urla anche, grida la sua rabbia e il suo dolore. E allora fa l'unica cosa che le può essere d'aiuto: va alla scrivania, prende il blocco di fogli col logo dorato dell'albergo e scrive. Riempie il bianco con tutta la sua paura, l'ansia, la delusione. Lo colora con le parole dell'arcobaleno della sua fantasia. Quella non l'è mai mancata.
“C'era una volta un fiore, piccolo, candido, davvero grazioso, che cresceva bene al riparo di due grandi alberi. Quel fiore si sentiva protetto, amato. Poteva crescere con tranquillità, perché sapeva che nulla di brutto gli sarebbe mai accaduto. Già, era proprio convinto di questa cosa. Era proprio felice e ai fiori buoni e felici non poteva capitare nulla di terribile...”
«Ciao tesoro, cosa fai?» le dice la mamma.
Lucia è al tavolo della cucina, col grosso quaderno a righe aperto davanti a lei. Ha appena fatto la punta alla sua matita di Snoopy e sta scrivendo senza pause sul foglio, per non perdere di vista il percorso di briciole lasciato in terra dalla sua immaginazione.
«Sto scrivendo una storia, mamma.» Le piace scrivere. Inventare situazioni e personaggi la fa stare bene. La maestra di quarta elementare dice sempre che la sua fantasia non ha eguali.
«E di cosa parla questa storia?» le domanda nuovamente la mamma. Sono quasi le due e sta lavando i piatti. Deve sbrigarsi: per le tre deve essere nuovamente al lavoro.
«Parla di Soffio, il mago capace di generare ogni tipo di vento e di Idrina, la dea della rugiada. Soffio e Idrina vivono in un bosco nel regno incantato di Meraviglia, ma per una strana legge non riescono mai a incontrarsi. È sempre così, quando c'è lui non ci può essere lei, e quando c’è Idrina non c’è Soffio.»
«Oh Lucia, ma tutto ciò mi sembra molto triste.»
«Hai ragione, mamma, comunque non ti devi preoccupare. Troverò di sicuro un modo per farli incontrare.»
Carla ride di gusto, poi ripone l'ultima stoviglia sullo scolapiatti.
«Senti, oggi è venerdì, ho il doppio turno. Valeria ha già un impegno e anche papà fa fatica a liberarsi. Ti dispiace andare a giocare con Matteo? So che ha solo cinque anni, ma si tratta di poche ore. Per le otto prometto di essere a casa, va bene?»
«Mamma, oramai sono grande, ho quasi nove anni. Posso benissimo restare a casa da sola.»
«Sarà, ma io mi sento più tranquilla se con te c'è un adulto. Dai, vatti a lavare i denti, che poi andiamo da Matteo.»
Lucia è sul divano e guarda la televisione. Paolo, il papà di Matteo, è seduto al tavolo e la guarda. Il bambino è dal dottore con sua moglie per una visita di controllo, ma sarà di ritorno a breve. Hanno messo su il dvd di Peter Pan e Lucia è contenta. Ha visto quel cartone decine di volte, ma è il suo preferito e non si stanca mai di guardarlo.
«Tu che classe fai, Lucia?» gli chiede l'uomo tutto a un tratto.
«La quarta» risponde lei senza distogliere lo sguardo dallo schermo.
«La quarta» ripete lui in automatico. «Vuol dire che hai nove anni...Sembri più grande, lo sai?»
Lucia sorride e continua a guardare Peter Pan e Campanellino che volano nel cielo. Ha già visto il papà di Matteo altre volte, quando la mamma si è trovata costretta a smollarla a sua moglie per qualche ora. Trova che Paolo sia un tipo buffo, con quei capelli sempre ingarbugliati.
«Veramente manca ancora qualche giorno, ne faccio nove il venti dicembre.» Lucia distoglie lo sguardo dal cartone animato e guarda Paolo con curiosità. «Posso fare una domanda? Come mai è a casa?
Non lavora? Il mio papà è in ufficio adesso.»
Paolo si lascia scappare una risata. Quando Carla, poco prima, ha suonato il campanello, lui si era appena alzato. «Io lavoro di notte, cara. Faccio il portiere notturno in un albergo del centro. E se vuoi puoi darmi del tu. Matteo è un tuo amico, e lo sono anche io.»
Paolo le sorride e Lucia fa lo stesso.
«Lucia, lo sai che tra poco è Natale? Hai fatto la brava bambina?» Paolo continua a sorridere e a fissarla.
«Sì, sono stata brava. Io sono sempre brava. Ho anche scritto la lettera a Babbo Natale. Michela, la mia compagna di banco, dice che Babbo Natale non esiste. Glielo ha detto suo cugino che ha undici anni, ma io credo che ha voluto prenderla in giro.»
«Lo credo anch'io. Anche perché io lo conosco Babbo Natale, siamo amici.»
Sul volto di Lucia si disegna un'espressione di stupore. «Dici davvero?»
«Già già» conferma l'uomo, muovendo su e giù la testa.
Il cellulare di Paolo vibra per un secondo. Legge il messaggio della moglie a voce alta: dal dottore c'è fila, faranno tardi.
«Ti dirò di più» prosegue lui, «qualche giorno fa mi ha scritto una bella lettera dove mi confidava che tra i bambini più buoni di tutto il mondo c'è anche una certa Lucia che abita qui a Milano. Magari sei tu!»
«Sì, magari» risponde lei, scuotendo la testa. I suoi occhi brillano di una luce particolare, un tenero miscuglio d'incredulità e speranza.
«E tu che ne sai? I bambini bravi sono quelli che ubbidiscono sempre. Tu fai sempre quello che ti chiedono mamma e papà?»
«Sempre.
«E ubbidisci anche ai nonni?»
«Certo. Anche a loro.»
«Brava. Devi sempre fare quello che dicono le persone più grandi di te. Non dimenticarlo mai.»
Lucia fa cenno di sì con la testa. Paolo la sta fissando, ma non si sente a disagio.
«Sai, ho come la sensazione che sei davvero tu quella Lucia così brava. Credo che questo Natale riceverei tutti i doni che hai chiesto, forse anche qualcuno in più.»
Lucia sorride, illuminando di gioia il salotto.
Paolo le si avvicina, la prende per mano e spegne il televisore.
«Vieni con me» le dice, «voglio farti vedere una cosa.»
Il letto in camera è ancora sfatto. La fa accomodare sulla sedia dove giace un buffo pigiama a fantasia, poi si dirige al grosso comò e prende lo scrigno color argento. Quando ritorna da lei il coperchio del cofanetto è alzato a mostrarne il contenuto.
«Vedi? Questi sono i gioielli di mia moglie. Vuoi provarli?»
Lucia osserva estasiata il luccichio che emana quella scatola. Riflessi d'oro e d'argento sembrano propagarsi per tutta la stanza, in modo quasi magico. È strano, ma le collane che indossa la mamma non sono così scintillanti, anzi, non brillano per niente.
Esitante allunga la mano verso lo scrigno, senza sapere bene che fare.
«Dai» la esorta Paolo «non avere paura, li puoi mettere.» La voce è gentile, rassicurante, ma Lucia pensa per un solo secondo che gli occhi di Paolo assomigliano a quelli di un lupo affamato.
Senza pensarci troppo, prende una collanina d'oro e la mette al collo. Nel portagioie ci sono anche un paio di anelli, degli orecchini e un braccialetto di perle. È bellissimo quel braccialetto, lo divora con gli occhi. È probabile che Paolo se ne accorga, perché le prende la mano e glielo infila al polso. Lucia è felice, si sorprende nel vedere che non gli sta poi così largo.
«Vieni a vedere come sei bella» le sussurra Paolo all'orecchio con una voce strana.
Vede la sua immagine riflessa nello specchio e sorride. La collana brilla sul suo petto acerbo e la fa sentire importante.
«Sembri una principessa» continua l'uomo, poi le scocca un bacio sulla guancia.
«Perché mi hai baciato?» gli chiede. Non è spaventata, solo confusa.
«Perché ti voglio bene. Quando ci si vuole bene è così che si fa. Il tuo papà e la tua mamma ti baciano, non è vero?»
Fa di sì con la testa.
«Vedi? Tutti noi ti vogliamo bene, perché sei una brava bambina, la più brava di tutte.» Paolo la stringe a sé con delicatezza e affonda il naso tra i suoi capelli.
«Allora, non mi hai ancora detto se ti piacciono questi gioielli.»
«Sì, sono davvero belli»
«Allora qualche volta, quando verrai a trovare Matteo li potrai riprovare, va bene? Ne ho ancora tanti da farti vedere. Sei contenta?»
Ride e fa di sì con la testa. Con l'immaginazione vola già alla prossima volta in cui potrà indossare altre collane e braccialetti. Paolo ripone la collanina e il braccialetto di perle nello scrigno sopra il comò, poi prende la bambina per mano e la riaccompagna in salotto. La fa sedere sul divano e si mette di fianco a lei.
«Possiamo guardare di nuovo il cartone animato?» dice Lucia.
«Certo» risponde Paolo, «prima però mi devi promettere una cosa. Quello dei gioielli deve essere il nostro gioco segreto, soltanto il nostro. Non devono saperlo i tuoi genitori e neppure mia moglie e Matteo. Me lo prometti?»
«Lo prometto» dice Lucia con una risatina furbesca.
«Sai, mia moglie è molto gelosa delle sue cose e non vorrei che ti sgridasse o lo dicesse ai tuoi genitori. Però quei gioielli glieli ho pagati io e sono anche miei e non ci trovo nulla di male se li faccio provare a una mia amica. Giusto?»
«Anche io non ci trovo nulla di male. In fondo ci giochiamo soltanto, mica glieli rompiamo.»
«Bene, non ci resta altro da fare che rendere la promessa solenne col rito del mignolo» esclama Paolo. Quando si stringono i mignoli, Paolo fa una faccia talmente buffa che lei non può fare a meno di ridere.
«Vaiiii!» grida Paolo alzando le braccia al cielo, «ora io e te abbiamo un segreto.»
Lei fa uguale, ripetendo il medesimo gesto e le stesse parole.
«Brava Lucia» dice Paolo carezzandole i capelli, «ha proprio ragione il mio amico Babbo Natale a dire che sei una delle bambine più brave del mondo. Anzi, la più brava secondo me. Una bimba che ascolta sempre gli adulti, una bambina grande di cui ci si può fidare, capace di mantenere i segreti e le promesse fatte a un amico.»
Quando Paolo accende la televisione, Peter Pan ritorna a riempire lo schermo di magia, una magia che anche lei sente nel cuore. Se solo fosse più grande potrebbe vedere che Paolo invece è preda di un incantesimo nero che fa fatica a controllare.
Lucia Bianchedi, la modella ventunenne prediletta da tutti i più famosi stilisti del mondo, è sdraiata sul letto a due piazze dell’albergo. Scrivere le ha fatto bene, come sempre. Spesso il pensiero ritorna a Paolo, l’uomo che le ha rovinato la vita. Ora si sente lucida e calma, come dopo un allenamento intenso, ma è difficile scrollarsi di dosso chi le ha fatto tanto male. Quel mostro l’ha plagiata a un livello così profondo che non è mai riuscita a sviluppare nessuna relazione sentimentale coi suoi coetanei. Non ne è stata capace, la cosa le sembrava così innaturale che i suoi amanti sono stati sempre uomini maturi sulla soglia dei cinquant’anni. Come Paolo. I suoi giochini con lei sono andati avanti per anni, fino a quando non è stato trovato nello scantinato dell’albergo dove lavorava, con un sacchetto di plastica sulla faccia. I giornali hanno parlato di suicidio, ma lei preferisce credere che qualcuno, magari qualche vittima, lo abbia ammazzato. Quella versione la soddisfa di più. Molto di più. Di sicuro il vendicatore non è stato suo padre. I genitori non hanno mai saputo nulla di quella faccenda, lei è stata sempre troppo brava a mantenere i segreti e a rifugiarsi nel suo personale mondo di fantasia per non crollare.
«Ma quanto cazzo ci mette?» sbotta all’improvviso, tormentando con le dita una ciocca di capelli. Sbuffa e sbatte i piedi sul materasso. Non ha più voglia di stare sola e poco fa ha chiamato Mario, giù al ricevimento.
«Sono Lucia, la modella della 420. Vieni su, ho voglia di scopare» gli ha detto con la naturalezza con cui si ordinerebbe il servizio in camera.
Mario per un po' è stato zitto, poi ha bofonchiato che non poteva lasciare la postazione, mancavano ancora un paio d’ore alla fine del turno.
«Fatti sostituire da qualcuno, ce l’avrai un amico, no? Eddai! Dimostrami che hai più palle dell’albero che c’è nella hall.»
Lucia sta pensando che forse Mario non ha così tante palle, quando finalmente bussano alla porta. Va ad aprire e si trova davanti il portiere.
«Era ora. Ci avevo quasi rinunciato» dice ravvivandosi i capelli biondi.
Mario la guarda, poi si toglie gli occhiali. I capelli grigi con la riga di lato sono la prima cosa che ha notato in lui quando ha messo piede in quel posto. La pancetta straborda leggermente dai calzoni della divisa e la cosa la fa ridere senza sapere bene il perché.
«Dai, vieni a prenderti il tuo regalo di Natale» gli dice tuffandosi sul letto e sfilandosi l’accappatoio.
“C'era una volta un fiore, piccolo, candido, davvero grazioso, che cresceva bene al riparo di due grandi alberi. Quel fiore si sentiva protetto, amato. Poteva crescere con tranquillità, perché sapeva che nulla di brutto gli sarebbe mai accaduto. Già, era proprio convinto di questa cosa. Era proprio felice e ai fiori buoni e felici non poteva capitare nulla di terribile. Almeno questo era quello che credeva, perché un brutto giorno il fiore si ritrovò alle prese con un insetto viscido e fastidioso, diverso da tutti gli altri. L'insetto all'inizio aveva attraversato delicatamente il suo peduncolo, poi, una volta arrivato alla corolla, si era spostato da un petalo all'altro in attesa di arrivare al polline. Mentre si spostava però, le zampette lasciavano una fastidiosa scia oleosa che a lungo andare aveva infastidito il fiore. Con la sua innata delicatezza il fiorellino aveva fatto notare la cosa all'insetto, ma lui aveva risposto che andava tutto bene, che era suo amico e non poteva lasciarlo solo. Il gelo invernale era alle porte e lui gli avrebbe insegnato come resistere al freddo. Il fiore prese per buone quelle parole, anche se intimamente sapeva che i grandi rami dei due alberi avrebbero potuto difenderlo dalla neve. Così il tempo passò, all'inverno seguì la primavera e infine l'estate. L'insetto continuava a nutrirsi del polline senza dare nulla di utile in cambio, per cui l'anima interna del fiore andava infettandosi silenziosamente, ma in maniera irreparabile. Fuori era bello come sempre, ma dentro stava appassendo insieme alla propria ingenuità.”
Lucia legge ancora una volta il foglietto che ha scritto il giorno precedente in preda allo sconforto. Non è la prima volta che scrive una storiella come quella in un albergo. La storia è sempre la stessa, eppure in ogni occasione è diversa, con parole e personaggi nuovi. Non sa se qualcuno leggerà quel foglio, lo conserverà, oppure lo getterà nel cestino dei rifiuti. Francamente non le importa. Ciò che importa è che lei, nonostante i cerotti che le ricoprono l’anima, riesce a trovare ancora la forza per andare avanti. Magari lo fa nel modo sbagliato, ma è l’unico modo che conosce. Guarda fuori dalla finestra e vede che nevica ancora. Alza il dito medio e le parole le escono spontanee.
«Fanculo Babbo Natale. Non sono più una brava bambina.»