Di solito le favole cominciano con c’era una volta, questa invece comincia con una domanda che il maestro Filippo mi ha posto qualche settimana fa:
«Tu sai dove abita Babbo Natale, vero?»
Filippo è maestro, anzi è il maestro, in una piccola scuola di montagna.
È un tipo davvero simpatico e anche un po’ burlone: a volte si diverte a interrogare i grandi che incontra per strada, quando meno se l’aspettano: «Quanto fa sette per otto? Pesa di più un chilo di pane o un chilo di piume?»
«Beh» risposi «mi hanno sempre detto che abita in Lapponia, in una bella casetta proprio in mezzo a un bosco, con sua moglie, gli elfi e le renne.»
«Giusto. Ma dove va in vacanza Babbo Natale lo sai?».
Questo proprio non lo sapevo: forse al mare? Al lago? In campeggio con una slitta-camper?
«Nooo... non lo so. Dimmelo tu, Filippo.»
«Dove sia andato quest’estate non lo so, ma lo scorso anno» mi confidò sottovoce, guardandosi in giro con fare circospetto «è venuto qui in paese. Ecco, l’ho detto: davvero non ce la facevo più a tenermi questo segreto.»
«Filippo, non prendermi in giro per favore! Babbo Natale gironzolava per il paese e nessuno se n’era accorto? Beh, magari se non indossava il solito vestito...»
«Lascia perdere il vestito. Se ti racconto cosa è successo, mi prometti...»
«Di non raccontarlo a nessuno? Prometto.»
«No, no, mi devi promettere di scrivere quello che ti racconterò: i miei scolari meritano davvero che altri bambini sappiano cos’hanno fatto. E, credimi, è stata davvero una favola. Una vera favola.»
E fu così che quel pomeriggio Filippo, davanti a una cioccolata calda e a un piatto di biscotti, mi raccontò... beh, non vi anticipo nulla, altrimenti non ci sarebbe più gusto a leggere.
Tutto era cominciato in una bella giornata di inizio settembre.
Quella mattina Filippo si era svegliato prima del solito, ma non per colpa di Gigio, il gallo dei vicini che ha in testa una sveglia tutta sua, ma a causa di un problema che lo assillava da alcuni giorni.
Pensò che forse una passeggiata su per i monti l’avrebbe aiutato a schiarirsi le idee: mise in uno zaino qualcosa per il pranzo, si infilò gli scarponi e imboccò uno dei tanti sentieri che conosceva molto bene.
Era ancora caldo, il caldo giusto per una bella camminata; sui boschi c’era già un accenno di quella polverina dorata che, tempo un paio di settimane, avrebbe regalato una fantastica tavolozza di colori autunnali. In una radura intravide alcuni scoiattoli che stavano nascondendo noci per l’inverno: un incontro simpatico, che di solito l’avrebbe messo di buon umore, ma quel giorno non gli strappò neanche un sorriso, preso com’era a rimuginare su quanto era accaduto pochi giorni prima.
La settimana prima i bambini della scuola gli avevano illustrato il loro progetto per Natale, tanto particolare che l’aveva lasciato senza parole.
«Bambini, è un’idea davvero strepitosa, ma non c’è abbastanza tempo per preparare tutto, neanche con l’aiuto di Gustavo e dei suoi amici. Magari per l’anno prossimo...»
Mamma mia, non l’avesse mai detto! Tutti a urlare, protestare, qualcuno si era messo pure a piangere: c’era voluta tutta la pazienza del maestro per calmarli, ma i mugugni continuarono per un bel po’.
«Secondo me, maestro, bisogna chiedere aiuto a Babbo Natale.»
Olimpia, una simpatica bimba dai capelli ramati, ci aveva pensato parecchio prima di alzare la mano, timidamente: «Gli scrivi una lettera con il computer e gli spieghi bene cosa vogliamo fare.»
«Giusto! E digli che non vogliamo regali, neanche uno, se ci aiuta.»
Il maestro li accontentò: i bambini si misero tutti attorno alla scrivania, per essere sicuri che spiegasse con precisione nella mail di cosa avevano bisogno. Arrivò subito la risposta, che però gettò i bambini nello sconforto: “Babbo Natale è in ferie. Arrivederci a novembre.”
Vedere dei bambini arrabbiati con Babbo Natale non succede tutti i giorni: e adesso come si fa?
Verso mezzogiorno Filippo si fermò per mangiare un panino ma intanto continuava a brontolare, a mezza voce:
«Caspita, che problema! E Babbo Natale va in ferie, pure lui! Ora come si fa? Ci tengono così tanto.»
«Ehi, ma non si può neanche fare un pisolino in pace! Chi sta brontolando come una pentola di fagioli?»
Filippo si guardò in giro, stupito: dietro a un cespuglio c’era un elfo. Proprio un elfo, con tanto di cappello verde e calze a righe bianche e rosse.
«Non sto brontolando: sto solo dicendo che avrei bisogno di Babbo Natale, ma lui chissà dov’è finito! Pare sia in ferie.» rispose Filippo mestamente.
L’elfo lo fissò con molta attenzione: si trattava nientepopodimeno che Minstix Pepper, il guardiano della casa di Babbo Natale, l’unico che sapeva dove trovarla.
«Se prometti di non dirlo a nessuno - tanto non ti crederebbero - sappi che siamo in vacanza proprio in cima a questa montagna, tutti assieme. E quando dico tutti assieme intendo Babbo Natale, sua moglie, renne, elfi, casa, bosco... Tutto. Anche la neve, la nostra, che è più neve.» L’elfo aveva contato diligentemente sulle dita, per essere sicuro di non scordare nulla.
«La neve più neve?»
«Esatto. Adesso vai, che vorrei dormire!» e Minstrix sparì dentro al cespuglio.
Filippo si svegliò, o almeno pensò di aver dormito, e di aver fatto un sogno molto intenso, di quelli che pare di essere svegli. Però dietro al cespuglio trovò il cappello dell’elfo: per un momento pensò che stavano accadendo cose troppo strane, ma non se ne curò, anzi cominciò a essere molto, molto curioso.
Riprese la camminata, arrancando faticosamente su un sentiero che però non ricordava di aver mai visto percorso:
«Forza, Filippo, vediamo se è tutto vero o se qualcuno ti sta facendo un bello scherzo.»
Quando arrivò in cima alla montagna, si trovò di fronte a uno spettacolo che lo fece rimanere a bocca aperta. Infatti, il sentiero terminava davanti alla casa di Babbo Natale, come c’era scritto sulla cassetta delle lettere. Era proprio come l’aveva sempre immaginata: rossa col tetto verde, in mezzo a un grande prato recintato da uno steccato blu; un magnifico bosco di abeti, altissimi, la proteggevano dal vento. Nevicava copiosamente, ma solo dentro al recinto, e non era per niente freddo. Sul prato alcune renne stavano brucando i ciuffi d’erba che spuntavano qua e là dalla neve, chiacchierando tra di loro.
«Buon giorno, signore! Dura la salita vero? Entri pure. Cancelletto, apriti!»
«Buon giorno, Cometa. Eh sì, la salita è stata dura, non dovevo mangiare tutti quei biscotti! Guardali qua, tutti nella pancetta!»
Filippo trovò normale parlare con una renna, anzi solo dopo averle salutate tutte per bene, si avvicinò alla porta della casetta, su cui era fissato un battacchio a forma di testa di gnomo.
«Non ci provare a toccarmi» disse il battacchio, scorbutico «ci penso io a bussare, non voglio mica ritrovarmi col mal di testa. Chi sei e cosa vuoi? Cortesemente.»
«Buon giorno, sono Filippo e vorrei vedere Babbo Natale.»
«La password?» chiese il battacchio.
«Anche qui la password! Ma non basta bussare? Comunque, non la so, non sono mai stato qui. Per favore, potrei...»
«Esatto: per favore. Visto com’è semplice? Puoi entrare. Casa, è arrivato un ospite: al lavoro, forza!»
Filippo entrò e tutta la casa si diede un gran da dare per accoglierlo come si deve: un appendiabiti arrivò saltellando, prendendo in consegna la giacca a vento; un paio di pantofole gli corsero incontro, portandosi via gli scarponi mentre una poltrona dall’aria molto comoda trotterellò su corte gambette fin davanti al camino, sprimacciando un paio di cuscini. Il fuoco nel camino si ravvivò e alcuni ciocchi di legno si tuffarono allegramente tra le fiamme. Sui fornelli una teiera cominciò a canticchiare: «Il tè è pronto, il tè è pronto!» Svolazzando, arrivò un vassoio con tazzine, zuccheriera e biscottiera.
Quando finalmente tutto tornò tranquillo, da una porticina entrò Babbo Natale: il vestito rosso era un po’ sgualcito e sulla barba bianca c’erano macchie di cioccolato.
«Buon giorno, Babbo Natale. Guarda che hai la barba macchiata di cioccolato.»
«Buondì a te, caro. La barba... oh nessun problema, ci pensa la signora Claus: uno shampoo e torna pulitissima. Ma veniamo a noi: l’elfo guardiano mi ha avvisato che stavi arrivando e che hai bisogno di aiuto. Dimmi tutto.»
Un’altra poltrona, la preferita di Babbo Natale, arrivò di corsa, un po’ trafelata.
«I bambini della mia scuola hanno chiesto a degli artigiani del paese di realizzare alcune statue di legno, per una sorpresa di Natale molto particolare da fare a Cloe, una loro compagna, ma ci vuole troppo tempo. Non potresti dar loro una mano? Lo so che sei, anzi siete in ferie... ma un aiutino?»
«Mmmm...» Babbo Natale si mise a camminare su e giù per la stanza, sempre seguito dalla poltrona «statue di legno hai detto? Forse si può fare: andiamo di sotto in laboratorio e vediamo cosa ne pensano i miei aiutanti.»
Una scala a chiocciola chiacchierona li condusse nel magico laboratorio dove venivano realizzati e impacchettati i regali. Appena entrati, il maestro si guardò in giro, sbalordito, e scoppiò a ridere, ma a ridere così di gusto che gli vennero le lacrime agli occhi e dovette appoggiarsi a un tavolo per non cadere a terra.
Non c’era dubbio che gli elfi fossero in ferie: in un angolo dell’enorme stanza alcuni erano comodamente seduti su sdraio colorate, sotto a degli ombrelloni, come in spiaggia: c’erano anche la sabbia, secchielli e palette; altri si dondolavano pigramente su delle amache, mentre alcuni si godevano il fresco sdraiati su un prato, leggendo, dormicchiando o ascoltando musichette natalizie.
«Quando hai finito di ridere magari ci spieghi tutto.» Babbo Natale richiamò all’ordine Filippo.
«Oh sì, scusa, ma non avevo mai visto degli elfi in spiaggia. A dire il vero non avevo mai visto degli elfi dal vero, comunque... ecco qua.»
Il maestro sistemò su un grande tavolo alcuni disegni: un’aquila, uno gnomo, una scure poggiata su un tronco, un fungo, una farfalla, un’orsa con un orsacchiotto, un lupo, uno scoiattolo, un gufo e un leprotto. I disegni erano molto accurati, anche se si vedeva che erano stati realizzati da un bambino. Gli elfi, curiosi per natura, si avvicinarono al tavolo, si presentarono e cominciarono a studiare i disegni:
«Su questa ala metterei una penna più lunga, così vola meglio.»
«Che ne direste se sul cappello dello gnomo si potesse appendere una campanella, o una piccola lanterna?»
«Lo scoiattolo è davvero simpatico, con quelle orecchie ciuffose!»
«Ma questo gufo sta per catturare il leprotto! No, no, il leprotto ce la farà a scappare nella tana, ne sono sicuro. E il gufo dovrà cercarsi qualcos’altro per cena!»
Babbo Natale strizzò l’occhio a Filippo: «Penso proprio che Gustavo abbia trovato degli aiutanti, solo che...»
«Solo che?» chiese Filippo preoccupato: gli elfi, che già stavano riponendo amache e sdraio, si fermarono, attenti.
«Beh, non possiamo presentarci nel laboratorio di Gustavo o dai suoi amici, sai che nessuno ci deve vedere» rispose Babbo Natale «Bushy, cosa ne pensi, hai qualche idea?»
«Certo, ho giusto inventato una cosuccia che ci può aiutare. La sveglia all’incontrario: invece di svegliare, addormenta. Prima però dimmi qualcosa di questi amici, dove lavorano, in quanti sono...»
Filippo raccontò che il gruppetto di amici, tutti molto bravi a intagliare il legno, si ritrova spesso dopo cena nel laboratorio di Gustavo, con le loro mogli, per rifinire i lavori in corso, per pensare a qualche novità per i mercatini estivi o di Natale: portachiavi, gnomi fermaporte, decorazioni in legno per l’albero di Natale, piccoli presepi, orologi a cucù... e intanto si facevano due chiacchiere, in allegria. Da qualche giorno però tutto lo spazio era occupato dai tronchi da usare per le statue, ma le figure degli animali, purtroppo, erano appena abbozzate.
«Perfetto! Ora ascoltatemi bene.»
Bushy illustrò il suo piano: Filippo avrebbe portato nel laboratorio di Gustavo qualcuna delle sue sveglie all’incontrario che, con una piccola modifica, sarebbero state invisibili.
Appena il gruppetto si fosse messo comodo sulle poltroncine attorno alla vecchia stufa, le sveglie avrebbero suonato e tutti si sarebbero addormentati profondamente, consentendo agli elfi di mettersi al lavoro, sotto l’occhio vigile di Babbo Natale.
Senza esagerare, avrebbero portato avanti, notte dopo notte, le sculture, velocemente e in silenzio, grazie ai loro utensili magici: quando gli amici si fossero svegliati, avrebbero creduto di aver lavorato tanto, visti i mucchietti di trucioli per terra, e si sarebbero sentiti persino stanchi.
Poi, durante il giorno, avrebbero proseguito con il lavoro, come al solito: ormai conoscevano i dettagli a memoria, tanto li avevano studiati.
In questo modo le statue sarebbero state pronte in tempo per la Vigilia di Natale.
Tutti furono d’accordo che era proprio un bel piano e gli elfi cominciarono a preparare i loro attrezzi, mentre Bushy si occupava delle sveglie.
Filippo aiutò Shinny a sistemare i disegni su una delle pareti, bene in vista per essere studiati attentamente: un po’ gli spiaceva lasciarli lì, ma alla fine sarebbero stati restituiti.
«Ma poi dove le metterete le statue? Saranno grandi, non potete certo portarle tutte in casa della bimba.» chiese Sugarplum, l’amica della moglie di Babbo Natale, portando cioccolata calda e biscotti per tutta la combriccola.
«No, no. Per Natale le metteremo nella piazzetta dove abita Cloe, per farle una sorpresa la notte della Vigilia. Poi, in primavera, verranno sistemate lungo il sentiero che porta alla Fontana Rossa. Nel frattempo, assieme agli altri insegnanti, proporremo ai bambini qualche spunto tra cui scegliere da mettere su dei cartelli: una frase presa da una favola, una curiosità, un pensiero. Un cartello per ogni statua.»
«Scusa Filippo», chiese Babbo Natale «ma chi ha fatto questi disegni? Sono davvero belli.»
«Sono di Cloe. Dovete sapere che Cloe quest’anno si è ammalata e non ha potuto venire sempre a scuola, è stata spesso in ospedale. Per non annoiarsi ha disegnato tanto, soprattutto animali, che sono la sua passione. Da grande vorrebbe diventare veterinaria e pittrice, pensate un po’. Poi ha regalato i disegni ai suoi compagni e loro hanno pensato di farle questa sorpresa.»
«Caspita che bravi ragazzi! Però perché proprio per Natale? Non si poteva aspettare magari in primavera, o l’inizio delle vacanze?» chiese Alabaster, l’elfo più importante.
«Eh no, i ragazzi hanno deciso per il Natale perché Cloe, appena finite le feste, dovrà andare in America, per curarsi e dovrà stare molti giorni da sola, in una stanza dove potranno entrare solo i medici e le infermiere. I ragazzi hanno pensato che magari le fotografie delle statue le faranno compagnia; hanno anche deciso di scrivere qualche breve racconto con protagonisti questi animali.»
Filippo era davvero orgoglioso dei suoi alunni e sapeva che di favole ne avrebbero scritte tante, magari chiedendo ai nonni e agli anziani del paese di qualche vecchia leggenda o di ricordi di quando erano stati bambini sempre in giro per i boschi.
Ormai stava scendendo la notte: Filippo salutò tutti, ringraziò per la calorosa accoglienza e riprese la strada verso casa, stanco ma molto sollevato: il giorno dopo avrebbe potuto dire ai bambini che Babbo Natale aveva accolto la loro richiesta e trovato il modo di aiutarli anche se era in ferie. Solo quello, il resto doveva rimanere un segreto.
Arrivò la Vigilia di Natale e nella piazzetta dove abitava Cloe ci fu un gran via vai per i preparativi. Il giorno prima e durante la notte era nevicato tanto e il rumore dello spazzaneve coprì per bene quello del vecchio Apecar di Beppe, che usarono per trasportare le statue, una alla volta.
I genitori e i nonni di Cloe fecero in modo che lei non si accorgesse di nulla, tenendola impegnata nella sua cameretta: per un riposino, per leggere una favola, per un film, per finire di impacchettare alcuni regalini che la piccola aveva voluto preparare. Nel frattempo, Gustavo e i suoi amici sistemarono le statue in un grande girotondo: metri e metri di lucine, preparate da Amos, il nonno di Olimpia, appena scesa la sera trasformarono la piazzetta in un piccolo mondo magico.
I grandi accesero anche un bel fuoco, proprio in mezzo al girotondo degli animali che, con la luce delle fiamme, parevano vivi: non c’era che dire, tutti avevano lavorato davvero bene.
Quando tutto fu pronto, i bambini si radunarono sotto la casa di Cloe e in coro intonarono le canzoni di Natale che avevano scelto con cura. Cloe non poteva uscire, doveva stare molto riguardata, ma dalla finestra poteva ammirare la sorpresa che le avevano preparato: si mise a battere le manine e a saltellare, felice, mentre i suoi genitori portarono ai bimbi i piccoli regalini che Cloe aveva preparato per loro. Nonno Amos scattò un sacco di fotografie e anche qualche breve video, che avrebbero fatto compagnia a Cloe in ospedale.
In un angolo della piazza, assieme ai grandi che si erano messi in disparte affinché la festa fosse solo per i bambini, ben nascosti da alcuni cespugli coperti di neve, gli elfi si godettero commossi i canti, gli applausi dei bimbi, la loro felicità per la riuscita della sorpresa.
Solo Filippo riusciva a vederli, era la regola: le lacrime di commozione che scendevano sulle loro guance, alla luce del falò, scintillavano come cristalli dalle mille facce.
Babbo Natale si era nascosto dietro una nuvola: anche se era molto indaffarato, non voleva proprio perdersi lo spettacolo. Sarebbe passato anche più tardi, a portare regali per tutti i bambini della scuola. Anche se avevano detto di non volerne, si meritavano davvero una ricompensa per la loro generosità e per aver trovato il modo di essere vicini a Cloe in un momento così particolare. Sarebbe stato un piccolo dono, il ricordo per un Natale speciale, che avrebbero rammentato per tutta la vita.
Gli elfi avevano realizzato delle cornici, dove per una qualche magia, già c’era una foto a ricordo di una giornata memorabile; in un angolo della cornice c’era una testolina di legno, intagliata con maestria e straordinariamente somigliante al bimbo o alla bimba che l’avrebbe ricevuta in dono.
Eh, anche quando sono in ferie, gli elfi non stanno mai con le mani in mano.