Guardo la scheda elettorale, nella mia mano la matita, devo mettere una semplice “x” ma non ho proprio idea di quale sia la casella giusta.
La verità è che sono giunta impreparata, non ho studiato come facevamo sempre insieme.
Perché stavolta sono arrivata sola a questo appuntamento, la prima dopo più di quarant’anni.
Era maggio, il mese dell’amore, una splendida giornata di primavera, limpida, ventilata.
Indossando il mio vestitino migliore, quello azzurro appena sopra il ginocchio, sono entrata nell’aula della mia ex scuola elementare.
“Io sarei la scrutatrice” ho annunciato pomposamente per nascondere la timidezza e il senso di inadeguatezza che provavo in quel momento.
Il tuo sorriso aperto, solare, ha cancellato ogni sensazione in un attimo, mi sono sentita accogliere dai tuoi occhi scuri e il primo pensiero è stato “ho fatto bene ad accettare l’incarico”.
Per due giorni, gomito a gomito, abbiamo riso, scherzato, mentre gli elettori sfilavano davanti a noi, una carta di identità, un sorriso, scheda, matita e “avanti un altro”.
Quando alla fine dello spoglio delle schede siamo finalmente usciti dall’aula io ero già innamorata persa; mi hai accompagnata a casa e prima di salutarmi mi hai sussurrato, diventando tutto rosso: “io avrei votato te”.
Due anni di fidanzamento, mi hai conquistata a forza di risate, non ce la facevi proprio a non fare una battuta in ogni circostanza, a volte eri perfino dissacrante.
Mi hai sposata, mi hai amata, mi hai fatta sentire una principessa prima e una regina poi.
Abbiamo riso e abbiamo pianto, abbiamo discusso, soprattutto a causa dei nostri figli ma non abbiamo mai veramente litigato; forse ne eri incapace.
E abbiamo continuato a fare gli scrutatori: ad ogni convocazione, elettorale o referendaria che fosse, abbiamo sempre risposto “presente”.
Trasformavamo l’incubo di molti italiani in una festa, per noi ogni competizione elettorale rappresentava l’anniversario del nostro primo incontro.
Cominciavamo un mese prima a studiare tutti i programmi elettorali, a seguire i comizi che si tenevano nella nostra città e poi lunghe serate a confrontarci, discutere, quasi sempre da soli, a volte con gli amici.
I periodi più belli erano quelli che precedevano elezioni su cui ci trovavamo su due piani diversi, addirittura a volte con idee completamente opposte; perché noi non siamo mai riusciti a essere monolitici, non abbracciavamo le ideologie ma le idee.
Erano le occasioni in cui sentivamo di crescere perché il confronto ci arricchiva, osservavamo i politici gridare, litigare incapace di ascoltarsi e di confrontarsi e non capivamo: perché anche noi discutevamo, in maniera spesso molto accesa, ma senza mai smettere di ascoltarci e di rispettarci.
Quarant’anni abbondanti così, poi il Covid e in un batter di ciglia te ne sei andato, non mi hanno nemmeno dato il tempo dell’ultimo bacio, dell’ultimo saluto.
“Signora, tutto a posto? Si sente bene?”
La voce dello scrutatore mi strappa ai miei ricordi e mi riporta bruscamente alla realtà.
“Sì… ora arrivo” rispondo quasi in un sussurro.
Guardo la scheda ma è come se non la vedessi, cosa ci faccio qua dentro senza di te?
Non mi accorgo che gli occhi si sono appannati finché una piccola lacrima cade sulla scheda elettorale, proprio al centro della casella contrassegnata dal simbolo di un partito.
La osservo ed è una sorta di illuminazione, tu avresti votato proprio così!
Faccio la mia “x” esattamente sulla macchia umida lasciata dalla mia lacrima ed esco dalla cabina.
“La signora Maria Rossi ha votato” dice il Presidente di seggio mentre mi allontano osservando gli scrutatori, due giovani che si sorridono con fare complice; chissà…