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Filtro amoroso di una donna di molta età.

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1Filtro amoroso di una donna di molta età. Empty Filtro amoroso di una donna di molta età. Mer Lug 26, 2023 11:35 pm

Andrea


Viandante
Viandante

Sullo schermo del televisore apparve un uomo, biondo e bellissimo. Sorrideva, ma aveva lo sguardo di chi sta per dare una notizia che non vorrebbe. Mosse la bocca, e dopo un istante uscì la voce, piacevole sì, anche se le vecchie casse la facevano un po’ tremare. Comunque riusciva decisa e insindacabile: “Attente signore, mancano solo dieci secondi.”
Il viso dell’uomo sparì, e lo schermo fu occupato da un grande conto alla rovescia in cifre rosse. Ogni secondo che passava, il numero scendeva con un rumoroso campanello d’allarme.
I rintocchi suonavano nella stanza, sopra il tappeto di plastica, sul lampadario e sul ventilatore acceso, per poi riecheggiare in tutto l’appartamento. Una porta sbatté, seguita dal ciabattare di piedi in pantofole. Una vecchietta comparve in fondo al corridoio. “Ultimi tre secondi!”
La signora zoppicò in fretta e furia verso il salotto da cui arrivava la minaccia; troppo tardi, ormai una tromba stonata segnalò la fine. Ma la signora sembrava non sentirla neppure: si fiondò dal salotto nella cucina adiacente e con la stessa mano spense il forno, ne tirò fuori un vassoio di metallo e agitò il dito medio contro il televisore.
L’uomo biondo riapparve: “congratulazioni, ce l’abbiamo fatta! I nostri cristalli incantati sono cotti e pronti per essere utilizzati. Ma ancora una volta, signore e signori, vi devo mettere in guardia: ricordate che si tratta di un prodotto potentissimo che va usato con attenzione. Per altre ricette, continuate a seguirci, ogni sabato prima di pranzo, e scopriremo ancora mille ricette insieme. Arrivederci, buon fine settimana!”
Quando partì la sigla, l’anziana cominciò a guardarsi attorno, alla ricerca del telecomando. Rovesciò a terra i cuscini del divano, ma alla fine lo trovò e spense il televisore.
Non appena fu tornata in cucina, si avvicinò al lavello, in cui aveva appoggiato il vassoio. Era bollente; nella fretta l’aveva afferrato senza protezione e si era un po’ scottata. Però ne era valsa la pena: erano esattamente come se li immaginava, i cristalli incantati del Mago Selva, la soluzione a ogni problema.
Per festeggiare il successo, se ne andò sul terrazzo a fumare una sigaretta e a progettare il resto del piano.
 
Bisogna sapere che il Mago Selva era l’unico vero incantatore ad andare in onda il sabato mattina; invece il Mago Rafael e la Vecchia Zingara erano dei cialtroni che solo pretendevano di essere versati nelle arti occulte. Mago Selva era l’unico dei tre a possedere un attestato e, come se non bastasse, era anche molto carino.
Lui non lo sapeva, ma puntuale come una bolletta ogni sabato veniva osservato da due occhi catarattici. In quel periodo dell’anno le persiane erano spesso abbassate per trattenere il fresco, quindi l’appartamento “Rizzi-Zecchini” era al buio. La signora Rizzi amava fare l’uncinetto, perciò teneva il televisore acceso per farsi luce. Essendo una donna, riusciva ad ascoltare Mago Selva e a controllare il lavoro nello stesso momento.
Quando aveva le mani stanche, se le abbandonava in grembo, si abbassava gli occhiali sulla punta del naso e studiava con attenzione le camicie delle assistenti del mago. Se poi stavano spiegando un incantesimo interessante, lasciava da parte la sciarpa in costruzione per prendere nota. Poi dimenticava dove aveva messo le note per potersi stupire ogni anno delle stesse ricette.
A scuotere questa routine a spirale, furono due eventi: il primo accadde alle 03:14 del mattino.
Quella notte la signora Rizzi fu svegliata da un fracasso infernale; subito pensò che fossero i ladri e si mise a considerare il da farsi. Quello che faceva di solito era seppellire la testa nelle coperte e far finta di nulla. Però stavolta il rumore c’era davvero ed era anche forte, quindi non sarebbe riuscita a dormire.
Si alzò con un grugnito, ma senza svegliare il marito che le dormiva accanto. Arrivò alla porta d’ingresso, attenta a non fare rumore. Con infinita cautela, spiò dallo spioncino: intuiva il profilo delle scale che salivano al terzo piano e scendevano al primo piano, ma il buio le impediva di vedere altro. Non le restò che aprire la porta; non si preoccupò di farlo lentamente.
Mentre la spalancava, sentì un tonfo proprio davanti a lei, e la porta dei vicini si chiuse. Nelle pupille rimase per qualche secondo impressa un’immagine: un ragazzo, nudo, veniva afferrato da dietro le spalle; si girava sorridendo, e con la gamba chiudeva la porta dietro di sé. Ormai la signora Rizzi aveva capito cos’erano quei rumori.
I loro vicini abitavano proprio di fronte a loro; capitava che si incrociassero sul pianerottolo entrando o uscendo di casa. Era un appartamento di studenti universitari, non troppo rumorosi, senza contare che potevano essere d’aiuto in caso di ladri. E poi erano belli.
Poteva succedere che prima di cena il campanello Rizzi-Zecchini suonasse, e alla porta c’era uno degli studenti, sorridente e con una tazza in mano. I due anziani regalavano volentieri un po’ di zucchero, di farina, di detersivo, pur di fare quattro chiacchiere con qualcuno di diverso dal consorte.
La signora Rizzi tornò dentro, e si mise in terrazzo a guardare la luna. Chiuse gli occhi e, facendo uno sforzo di concentrazione, cercò di udire i rumori dei ragazzi. Prima sorrise, poi si mise a riflettere su quanto le mancava tutto quanto e fu sul punto di piangere.
 
Il secondo evento avvenne due giorni dopo quella notte: era di nuovo sabato ed ecco la sigla del Mago Selva. Stavolta però il mago era strano; di solito era sorridente e pieno di smancerie verso le sue ascoltatrici, mentre ora era ombroso, quasi volesse fare un po’ di mistero. Infatti di solito il programma iniziava con l’annuncio della ricetta, seguita dalla preparazione, ma stavolta il nome della ricetta tardava; Mago Selva la tirava per le lunghe.
Alla fine il bell’uomo si rivolse alla telecamera e inchiodò gli occhi sulla signora Rizzi. Le disse “Io faccio questo lavoro da qualche anno. Mi piace, trovo grande gioia nel farlo. Tuttavia so molto bene che le mie spettatrici sono, come dire, un po’ stagionate. Lo so perché me l’hanno detto quelli del marketing. Ora, so che in questi dieci minuti avrò già perso una buona fetta di audience, che molte di voi, amiche mie, sono già andate dai miei carissimi colleghi Mago Rafael e la Vecchia Zingara. Bravissime persone. Divertenti. Però oggi farò qualcosa di reale e, visto che io e voi ci capiamo, non mi perderò con tante parole. Sappiate questo: il filtro di oggi è un filtro d’amore”.
La signora Rizzi cambiò canale. Stava invecchiando anche il Mago Selva, se cominciava a prendersi così sul serio. Lo zapping la portò dritta nelle braccia del Mago Rafael. Lo guardò per circa dieci minuti con un’espressione completamente assente, come chi è in stato catatonico, perché la sua mente era altrove.
Continuava a rimescolare le ultime parole del Mago Selva e quelle, come una melassa appiccicosa, si aggrappavano a ogni pensiero e lo facevano sprofondare, lo riducevano, lo facevano naufragare. Non riusciva a resistere al richiamo lanciato dal suo affezionatissimo amico. Come poteva ignorare una promessa tanto grande, di ottenere l’amore con una ricetta di mezz’ora? Si gettò le ciocche dietro la testa e tornò dal Mago Selva.
La ricetta ebbe inizio.
 
Mentre fumava in terrazzo, aspettando che i cristalli si freddassero, si guardò un po’ attorno. Osservò il sole del primo pomeriggio, abbagliante e splendido, che abbrustoliva le foglie sugli alberi, le tegole dei tetti e non risparmiava neppure lei che stava all’ombra, sotto il terrazzo del balcone. Se sudava lei, figurarsi se non stava sudando il marito, il grasso marito pieno di liquidi, che scaturivano dal suo corpo come liquame dai mucchi di fieno, figurarsi se non stavano sudando i loro vicini.
L’estremo tentativo di sedurli era ancora più piacevole perché, com’è ovvio, era anche una tortura: si faceva trascinare dalle fantasticherie più improbabili, finché il senso comune usciva dagli angoli del cervello e sghignazzava: “Tanto lo sai di essere vecchia. Tanto lo sai che non funzionerà.” E per rifugiarsi da queste atroci parole, tornava a fantasticare.
Era un pensiero dolce, un pensiero pieno di nostalgia, quello dei ragazzi che si innamoravano e facevano l’amore. Era come essere giovane lei stessa, lei che se ne intendeva e poteva capirli. Ma no! Cosa stava dicendo? Non era per niente dolce, era acido come limonata dell’estate passata, come il reflusso gastrico. Quelli erano di là tra di loro mentre lei, la Signora Rizzi, era rinchiusa con quel pachiderma in andropausa da secoli.
Tutto sarebbe cambiato, e lei avrebbe deciso come. Nulla era al di fuori della sua portata, se superava quella prova, perché se fosse riuscita a sedurre i ragazzi voleva dire che poteva sedurre chiunque. Proprio alla fine della vita, quando chiunque la credeva un cadavere semovente, la vita cominciava di nuovo. Che ciclo, che forma geometrica straordinaria.
Però non sarebbe cambiato proprio nulla se restava lì fuori a fumare. Tornò dentro ad esaminare i cristalli: erano simili a quarzo rosa, dalle forma lunga e affilata. Erano comunque molto fragili: solo tenendone in mano uno, si sbriciolò, perché dentro si erano svuotati in cottura. Mentre cominciava a mettere a fuoco un piano, decise la prima cosa da fare: polverizzare i cristalli. Lo fece con le mani, fino a ottenere una sabbia rosa e quasi liquida. Dopodiché, attese.
Due giorni dopo suonò il campanello. Il pachiderma fece per alzarsi dal tavolo dove stavano pranzando: appoggiò le mani sui broccioli della sedia, e mentre faceva forza per tirarsi su la carne grassa si gonfiò come un materassino di gomma. La gigantesca mole del torso aveva appena preso quota, si era staccata dalla sedia di appena due o tre centimetri, che una goccia di sudore precipitò dal naso, cadde sul mento, poi sul collo, e scivolò giù per le abominevoli profondità sotto la canottiera.
Mentre lo guardava, la Signora Rizzi sentì il tempo fermarsi. Una sensazione di grande freddezza e lucidità le tolse ogni pensiero dalla testa, eccetto questo: doveva andare ad aprire la porta. Mentre lui rimaneva sospeso davanti ai suoi occhi, con un unico movimento lei si alzò e andò fino a capotavola. Gli mise la mano sulla spalla, e fu come tagliare la corda che lentamente lo stava alzando: ricrollò sulla sedia mentre la moglie sussurrava “non preoccuparti, vado io”. A ogni passo che la avvicinava alla porta, si chiedeva cose le avesse provocato quella strana sensazione. La risposta l’avrebbe avuta in seguito.
Girò la maniglia e quello che vide, chissà perché, non la sorprese per niente. Lei sapeva già quello che sarebbe successo. Aveva avuto la netta sensazione che quella sera il suo piano sarebbe finalmente andato in porto; e infatti il suo sguardo pesava sulle spalle di un timido studentello, che reggeva come un mendicante una ciotola vuota. “Avete per caso dello zucchero che vi avanza?” chiese, sorridendo e cercando un’intesa con l’anziana.
“Sì abbiamo dello zucchero” Punto. Voleva farlo soffrire, voleva che lui si vergognasse: se aveva tanto bisogno dello zucchero doveva prenderselo senza cerimonie da smidollato. “Ah, ecco, giusto così. Per caso ha voglia di, diciamo, metterlo in comune? Che siamo rimasti senza. Ci fareste un grande favore.” Bene, ci stiamo avvicinando, ma ancora no. “Se era una cosa di cui avevo voglia, venivo da voi, bussavo alla porta e vi chiedevo per favore di accettare un po’ di zucchero. L’ho fatto? Ho fatto così?” chiese senza arrabbiarsi “No, non mi pare signora” rispose lui, che non sapeva se spaventarsi o tirar fuori le unghie “No, infatti”.
Il ragazzo fece spallucce: la guardò con infinita sufficienza, infine si girò e tornò dentro la porta del suo appartamento. Ci volle qualche istante alla signora Rizzi per rendersi conto del guaio che aveva combinato. Ma quando se ne fu resa conto, ci volle pochissimo per riuscire a disperarsi e a darsi della stupida. Pochi secondi dopo era già in cucina a recuperare lo zucchero e a farci scivolare dentro un po’ di polverina rosa.
Allora si diede una sistemata e fu lei a bussare alla porta degli studenti, per porgere il pegno di pace, insieme a mille e mille scuse per un comportamento inqualificabile. Gli studenti fecero finta di non essere offesi, e si accontentarono di aver ricevuto dello zucchero gratis. Così, quella notte, andarono tutti a letto felici e contenti.
E quella stessa notte, finalmente, la signora Rizzi non sognò di sua madre che la rimproverava quand’era bambina, o di quando suo figlio era morto in un incidente d’auto, o di quando il pachiderma da giovane le chiedeva di sposarla. No: quella notte la signora Rizzi sognò di essere con Marlon Brando a cavallo di un grande baio e di sparire per sempre nelle praterie del West.

Petunia

Petunia
Moderatore
Moderatore

Ciao @Andrea

essendo una donna “di molta età”, ho letto il tuo racconto pensando di trovare la ricetta di chissà quale misterioso filtro che mi faccia ritrovare la preziosa verve giovanile.
Il racconto si fa leggere, è una storia dalle tinte strane, assurde ma neppure più di tanto. Il tema della solitudine, del desiderio di ritrovare l’energia del passato, di correggere gli errori di ricominciare a vivere si sente anche se non è indagato in profondità. Tutto è quasi al limite del cartoon, tanti stereotipi, buone descrizioni. Una scrittura che cerca la propria “cifra”. Non mi ha convinto il finale, a discapito di un incipit dettagliato e promettente l’ho trovato affrettato e un po’ inconcludente.
Questione di gusti.
Ti segnalo alcuni passaggi che mi sono annotata leggendo
Mi ha subito colpita questa frase:
La signora zoppicò in fretta e furia verso il salotto da cui arrivava la minaccia; troppo tardi, ormai una tromba stonata segnalò la fine. Ma la signora sembrava non sentirla neppure: si fiondò dal salotto nella cucina adiacente e con la stessa mano spense il forno,

Zoppicare in fretta ci può stare, ma da lì al “fiondarsi”… puoi cercare un verbo che renda più credibile ciò che stai descrivendo.

Per altre ricette, continuate a seguirci, ogni sabato prima di pranzo, e scopriremo ancora mille ricette insieme

Ripetere la parola “ricette” nel giro di due righe appare ridondante. Cercherei un sinonimo.


Essendo una donna, riusciva ad ascoltare Mago Selva e a controllare il lavoro nello stesso momento. (Questa è stereotipo allo stato puro!)

stanche, se le abbandonava in grembo, (se le abbandonava? Non mi torna questa forma riflessiva, a mio avviso dovresti togliere quel “se”)

Poi dimenticava dove aveva messo le note per potersi stupire ogni anno delle stesse ricette.
Questa frase non l’ho capita più di tanto…

Ps: prima di pubblicare il tuoi racconto dovresti commentarne (con approfondimento) un altro e inserire il link del commento fatto.

Alla prossima!





Andrea


Viandante
Viandante

Grazie mille Petunia; hai messo in luce difetti che ora vedo anche io. Non sapevo la cosa del commento ad altri racconti Embarassed lo terrò a mente. Soprattutto mi ritrovo nell'osservazione sul finale, che sembra frettoloso perché in effetti l'ho scritto frettolosamente, e in quella sullo stereotipo; avevo una mezza idea di togliere la frase incriminata, ma poi ho pensato "nah, se non do un po' di fastidio che gusto c'è?", oltretutto non è solo uno stereotipo, come si legge in IlSole24Ore (altra frase di quel tipo). 
Con quella frase "oscura" intendevo dire che la Signora guarda le ricette del Mago, poi perde le note su cui le appunta, così quando il Mago ogni anno ripropone le stesse, a lei sembra di sentirle per la prima volta. Ma concordo sul fatto che potevo essere più chiaro.

Grazie ancora per il tuo tempo!

A Petunia garba questo messaggio

Claudio Bezzi

Claudio Bezzi
Padawan
Padawan

In generale il tema proposto non è un granché convincente; l’anziana che guarda il mago e sogna un’avventura erotica con un giovane uomo si potrebbe prestare a gag che devono essere assai ben equilibrate per non scadere nella banalità o nella trivialità. Senza appellarmi al “politicamente corretto” (io odio il politicamente corretto), diciamo che scherzare sugli anziani è analogo allo scherzare sugli obesi in quanti obesi, sulle persone basse in quanto basse etc. Serve una grande delicatezza, che si possiede anche (non solo) se si conosce il tema, prima di utilizzarlo narrativamente. Nel caso in questione: la vita e la solitudine degli anziani, la memoria e la demenza, la sessualità degli anziani…
Tu hai risolto - IMHO - un po’ sbrigativamente con l’uso di stereotipie e caratterizzazioni che vorrebbero essere divertenti ma a volte sono grottesche. Ti faccio alcuni esempi:
- “il grasso marito pieno di liquidi, che scaturivano dal suo corpo come liquame dai mucchi di fieno”;
- “Il pachiderma fece per alzarsi dal tavolo dove stavano pranzando: appoggiò le mani sui broccioli della sedia, e mentre faceva forza per tirarsi su la carne grassa si gonfiò come un materassino di gomma.” (qui c’è anche un ‘brocciolo’ anziché bracciolo).
Ora: a parte il fatto che il marito è obeso, non sappiamo nulla di lui e del rapporto con la moglie. Marcare così il suo aspetto significa che la donna prova disgusto, non lo ama più? Si può diventare brutti, grassi e malandati ma - in età avanzata - avere un rapporto di grande affetto; in questo caso non è così? Lui è anche uno stronzo e l’anziana signora vuole vendicarsi in qualche modo? Se la figura del marito grasso è rilevante, si deve capire perché; se non lo è, quelle descrizioni servono per “dare un effetto”, ma inutilmente, perché troppo sopra le righe.
C’è poi uno stile narrativo a volte frammentato, con successioni di frasi a mio avviso non ben collegate. Esempio: “Non appena fu tornata in cucina, si avvicinò al lavello, in cui aveva appoggiato il vassoio. Era bollente; nella fretta l’aveva afferrato senza protezione e si era un po’ scottata. Però ne era valsa la pena: erano esattamente come se li immaginava, i cristalli incantati del Mago Selva, la soluzione a ogni problema.” Se provi a leggere la sequenza a voce alta (un trucco efficace) noterai che sembra un singhiozzo: ta- ta- tatac… È indubbiamente una questione di stile, e mi puoi giustamente dire che ognuno ha il suo, ma una maggiore attenzione alla prosodia, al fluire scorrevole, aiuta a far entrare il lettore in un flusso narrativo, e quindi anche emozionale.
Il dialogo finale fra la signora e gli studenti che chiedono lo zucchero mi lascia un po’ perplesso, non sembra un dialogo naturale, come avverrebbe normalmente, c’è una certa legnosità e artificiosità, e comunque il finale non convince, come ha già scritto l’altra commentatrice, Petunia.


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L'uomo fa il male come l'ape il miele (William Golding).
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