Il messaggio autenticato, scritto nientemeno che dal compagno Stalin II, era quanto mai perentorio:
La massima riservatezza certo non mancava alla cascina di Vlad Ivanovic: il villaggio più vicino distava dodici chilometri di mulattiera. Da quando gli erano morti i genitori, i suoi contatti con l’esterno si limitavano al fattorino del drone che, in cambio del quantitativo annuo di milleseicento quintali di grano, novecento di mais e duemilacinquecento di patate, scaricava mensilmente viveri a sufficienza per lui e per la fedele Laika, in realtà un barboncino maschio ben più striminzito della storica cosmonauta.
Il lavoro assorbiva tutte le risorse del quarantenne georgiano, la cui alacrità e rusticità interpretavano in modo eccellente lo spirito produttivo della Restaurazione Sovietica, tanto eccellente da meritare la medaglia di Eroe del Lavoro e dell’Elettromeccanica. Quella medaglia non se la toglieva mai, nemmeno di notte, per timore che qualcuno potesse rubargliela; parimenti la sua produttività cresceva continuamente, per timore che il Neo-Soviet Centrale gli revocasse l’ambita onorificenza bollandolo come scansafatiche.
Fu così che due agenti del Comitato Centrale portarono Marianna sotto casa del contadino, a bordo di una Zigulì Elettrica nera. Vlad non vedeva una donna da almeno vent’anni, quantomeno mai così giovane, ma non aveva mai visto nemmeno una Zigulì, che gli destò decisamente più curiosità, chiedendosi come quel barcone cromato fosse riuscito a passare indenne la polverosa stradina di accesso, tanto malconcia da percorrerla a fatica pure con il suo trattore a bioetanolo. Ripartita la Zigulì, l’attenzione di Vlad dovette giocoforza concentrarsi sulla donna.
Un po’ per riservatezza, soprattutto per pudore, la fece accomodare nella stanzetta che dava direttamente sulla grande veranda, indipendente dalle altre stanze e dai magazzini. La cena, zuppa di patate e carne di maialino per l’occasione, fu servita alle 19 in punto. La compagna italiana, reduce di un approfondito audiocorso di russo, riuscì a farsi intendere sullo scopo della sua visita. Mostrò a Vlad un sacchettino contenente una polverina rossastra:
«Vedi, compagno Vlad, questa prodigiosa spezia si chiama zafferano. È il pistillo di un fiore preziosissimo: questo minuscolo sacchetto vale quanto cinque quintali di grano. Da noi, in Italia, si coltiva da generazioni. Il compagno Stalin II, dopo averlo assaggiato e appresone il valore, ha supplicato il vecchio compagno Vendola di inviare un esperto per estenderne la coltivazione qui in Georgia, dal clima aspro in inverno e mite in estate come fra i monti del mio Abruzzo. Fiaccheremo in questo modo l’economia dell’Iran, maggior produttore mondiale, consentendo così l’espansione dell’Eco-Unione Sovietica fin nelle terre di Persia: che la rivoluzione abbia inizio!»
Fu sufficiente un pizzico di quel purpureo elisir per dorare la minestra e ammansirne il sapore, trasformandola in una prelibatezza degna di un alto funzionario del Politburo. La stima verso Marianna crebbe a dismisura.
I due avevano abitudini assai differenti: Vlad era in piedi dalle prime luci dell’alba, guidava il trattore ininterrottamente, senza prendere nemmeno una pausa per sfamarsi. Marianna, al contrario, dormiva fino a tardi o giochicchiava con l’i-Phone XXXIV, preparava qualcosa da mangiare e poi, a pomeriggio inoltrato, iniziava a lavorare.
Vlad, per gentilezza, aveva riservato alla donna il campo prospicente l’ingresso, il più vicino e il meglio esposto, baciato dal sole fino alle sette passate, consentendole così di dilungarsi nella meticolosa cura del croco ben oltre il ritorno del padrone dai campi di mais. Qualche volta le mani callose di lui cercarono di aiutare gli affusolati palmi della straniera nella coltura dei germogli, ma furono gentilmente respinte, giudicate troppo rozze e grossolane per maneggiare pianticelle così tenere e preziose.
Vlad iniziò così a stare seduto a lungo in veranda, contemplando il lavoro di Marianna. Vi aveva messo anche la vecchia sedia a dondolo della mamma; si dondolava al ritmo delle gambe di lei, fremeva estasiato quanto la gonna della giovane sollevata dal vento. Fantasticava su cosa potesse esserci sotto quella giacchetta leggera, ormai estiva, che la donna sbottonava solo alla sera, prima di desinare con lui. Lei lo conturbava con piatti sempre nuovi; gradiva assai una pietanza chiamata pastasciutta vegana: Vlad godeva divertito nell’osservare la sua Marianna intingere il pane nella salsina di pomodoro rimasta sul fondo del piatto, sbrodolandosi puntualmente e passando così le sue lisce dita prima sulle guance, poi sulle labbra, infine sulla lingua, rossa di passione e lussuria quanto un San Marzano maturo.
Quando si accorse che ogni sera la compagna si levava polvere e fatica con una doccia bollente, Vlad iniziò a girare leggermente la vecchia sedia a dondolo non appena lei entrava in camera. Attraverso le pieghe delle spesse cortine, che lasciavano qualche angolo della finestra scoperto, apparivano davanti agli occhi sbarrati dell’uomo le spalle forti e robuste della giovane, natiche ben tornite, muscolose e cosce da poterci poggiare sopra un cavallo. Sarebbe stata instancabile nei campi, adatta ai compiti più gravosi quanto alle minuzie della sartoria di casa.
Lui sapeva che lei sapeva di essere spiata, pareva non voltarsi mai apposta, per assaporare l’intimo piacere di venire sorpresa nella sua nudità senza l’imbarazzo degli occhi che si incrociano. Aveva anche iniziato a muoversi sensualmente mentre si rivestiva, ancheggiando nel rimettersi la gonna e stiracchiando poi le calze con le mani, scusa estrema per chinarsi e mettere così in mostra la sinuosità dei glutei.
A metà del sensuale balletto, un sodo bozzo sulla patta ricordava quotidianamente a Vlad di non essere poi tanto vecchio, che il Partito gli aveva tolto qualcosa dalla vita, ma non era troppo tardi. Si immaginava già i figli che avrebbero potuto generare: quando sarebbero stati abbastanza grandi da guidare il trattore, le colture della fattoria si sarebbero espanse anche al di là del bosco, con incremento annuo della produttività di almeno cinquemila quintali di grano e tremila di mais. Chissà, anche la generosa prole si sarebbe meritata la prestigiosa onorificenza di Eroe del Lavoro e dell’Elettromeccanica, rendendoli così la prima famiglia a conseguire il titolo per due generazioni consecutive: ci sarebbe persino scappata una statuetta commemorativa a Mosca, accanto a quella di Stalin II.
Al pensiero della statua, Marianna usciva puntualmente dalla stanza, cullata dallo sguardo di Vlad fino in cucina, dalla quale cavava portentosi piatti, sempre più appetitosi, che i due ormai consumavano direttamente in veranda a contemplare il sole che si addormentava dietro le colline, il grano che di giorno in giorno imbiondiva e i bulbi di croco che, dischiudendosi, iniziavano a svelare il loro virgineo tono rosato.
In una seretta insolitamente calda di fine settembre, con i fiori ormai giunti a completa maturazione, Marianna emerse dal mare lilla Legnano in tutta la sua fierezza e femminilità. Aveva indosso soltanto una camicetta un po’ scollacciata, stretta sul petto, tanto stretta da lasciar intendere forme e dimensioni di seno e capezzoli. Con superbo movimento d’anca raccolse due pesanti scatoloni da terra e, manco pesassero meno di una piuma, se li posizionò bene in spalla: parevano scomparire a fianco degli aggraziati ma superbi bicipiti che li sorreggevano. Vlad osservava tutto dalla veranda, estasiato, perdendosi nello spacco della gonna che svelava un paio di gambe vellutate ad ogni aggraziato passo. Lei si accorgeva di tutto, sorrideva, fissava il padrone di casa negli occhi, in tono di sfida, forse persino lusingata della compiacenza dell’uomo.
Lo fissava così intensamente da non accorgersi di aver ormai raggiunto il primo gradino della veranda. Nell’inciampo capitombolò sulle scricchiolanti assicelle; il tonfo sorprese Vlad, incredulo che pure gli Eroi del Partito Restaurato potessero cadere. Accorse presto in suo aiuto, chinandosi ed avvicinandosi a lei quanto mai prima d’allora. Non si era fatta nulla, ma era la volta buona per agire:
«Grazie Vlad, sei sempre così gentile con me!»
Glielo sussurrò all’orecchio, solleticando le ispide basette dell’uomo con il suo fresco alito mentolato. La belva, incatenata da anni di romitaggio, spezzò i suoi vincoli ancestrali; l’istinto gli disse di ricambiare la moina poggiando le sue labbra su quelle della donna, che rispose alla provocazione con lingua e mordicchi vari. Vlad si fece più sotto, iniziò ad annusarle la pelle del collo, sfiorandola con il naso e facendola fremere ad ogni centimetro.
Strappò la camicetta sparacchiando i bottoncini in un raggio di dieci metri, scoprendo le candide mammelle, dalle forme perfette e puntute quanto una cassata siciliana. Marianna non aspettava altro, si sdraiò sul letto di petali lilla Legnano sparpagliati dagli scatoloni, voleva solo essere presa e ricambiare con la sua dolcezza il famelico appetito dall’uomo.
Passando quindi alle parti più interessanti, la donna si sfilò le fini mutandine ricamate di pizzo, vezzo non comune da quelle parti, e un immenso membro, turgido, vi emerse stagliandosi verso i monti, quasi volesse sovrastarli. Vlad lo fissò per un attimo. Si ricordò quando, in seconda elementare, ai tempi di Putin, passeggiava in paese davanti alla botteguccia di un pittore francese, con esposti osceni quadri di nudo; non gli pareva che le donne dipinte avessero protuberanza inguinali simili alla sua.
Non diede segni di incertezza, continuò ad accarezzare la sua Marianna, ormai con gli occhi chiusi e la bocca contorta nell’estasi. Ma quel particolare gli destava ancora qualche dubbio. Che stupido era stato, non poteva arrivarci prima? Sul messaggio autenticato c’era esplicitamente scritto “compagna”, non “compagno” e il Supremo Restauratore Stalin II di certo non poteva sbagliarsi: di donna doveva trattarsi, parola del Partito! “Fortuna che quel mediocre imbrattatele reazionario sia stato rispedito fra i mangiarane, altrimenti chissà che cultura degenere ne sarebbe uscita, a non saper dipingere nemmeno una donna!”
I due si contorsero accaldati per un’ora intera, amore coronato da un doppio spargimento di seme a fecondare la campagna e benedire così l’arrivo di nuove creature. Marianna infine lo ringraziò:
«Grazie Vlad, sono dovuta fuggire dall’Italia perché là non sono ancora pronti a donne un po’ speciali come me. Il vecchio e amorevole compagno Vendola si è esposto in prima persona per farmi approdare nell’ Eco-URSS: aveva ragione lui, qui il Partito ha fatto miracoli per TUTTE le donne!»
“Speciale questa donna lo è veramente, in quella rara merce della specialità che è l’eccezionalità!”, pensò Vlad.
L’idillio durò ancora qualche settimana: Vlad e Marianna divennero inseparabili, amoreggiavano per ore sulla veranda. Con il calar del sole, che anticipava sempre più l’ora dei pasti, l’aria si faceva di giorno in giorno più fredda, costringendoli così a sopperire con il calore dei loro corpi all’incedere dell’inverno. Restavano abbracciati ad ammirare il quotidiano mistero del tiepido disco arancio che scompariva dietro la collina; la penombra che iniziava ad avvolgerli, sicura coperta sotto cui nascondere la loro intimità, li accompagnava in lascivi sguardi, carezze e inni alla fecondità della terra, prima del bollente bacio della buonanotte che li faceva sognare l’uno dell’altro.
La raccolta dello zafferano andò male, anzi malissimo, così due nuove Zigulì Elettriche si fermarono davanti alla veranda, prelevarono Marianna con sussiegoso rispetto e la condussero a sud, dove il clima più clemente lasciava ben sperare il Ministero della Bio-Agricoltura Eco-Sovietica. Questa volta l’uomo non restò ammaliato dalle tecnologiche auto del Partito, cercava solo di scorgere, fra le lacrime, un ultimo bagliore dei turchesi occhi di lei trapassare la prigione dei finestrini. Poi sparì per sempre, dietro una muraglia di granturco.
Per la prima volta Vlad protestò, eccome, mandando una mail certificata nientemeno che al Comitato Centrale per le Politiche Demografiche: gli avevano tolto una donna? Ebbene, dovevano dargliene un’altra, ne aveva tutto il diritto da Eroe del Lavoro e dell’Elettromeccanica!
Fu così che una Uaz a metano si appostò davanti al casolare e vi discese una riccia biondona sulla cinquantina abbondante, dalle forme vistose e truccata quanto una Lada da competizione. Non ci furono particolari convenevoli, la scaricarono e se ne andarono in fretta e furia, per non vederla mai più. Si dice che, in gioventù, fosse la favorita di Putin, l’aveva portata persino in Italia negli incontri col Presidente della Repubblica Berlusconi, per strappare qualche favoritismo nei concordati. Era poi passata di diritto all’harem di Stalin II, al pari dei principali funzionari di Stato, ma fra i due non ci fu mai grande intesa. Così, dopo incarichi minori con membri subordinati del Partito e qualche generale di brigata, la dama fu pensionata e spedita laddove i suoi segreti sarebbero morti con lei.
Appena vide Vlad, non bello ma quantomeno prestante, le ritornò di colpo la voglia di lavorare. Lo fissò negli occhi, che già bramavano di svestirla, per vedere di che pasta era fatto: nessuno dei due osava abbassare lo sguardo. La leonessa non si accorse così del primo scalino della veranda, che la fece capitombolare a terra. L’uomo lo prese come un segno del destino, la fece sdraiare ed iniziò ad impegnarla nell’antico travaglio prima ancora che fosse entrata in casa. Le fredde travi di legno, davanti ai fiori ormai passi e mosci di zafferano, funsero da primitivo talamo egregiamente.
Quando Vlad le sfilò l’ultimo baluardo verso la sua inflazionata intimità, vi trovò solo un’irsuta distesa brunastra, senza protuberanze. Osservandola nella sua incompleta nudità, esclamò fra sé:
“Eh sì, le mancherà sempre qualcosa per essere una vera donna come Marianna!”