Giulia fissa l’amica: non le piace quello sguardo impaurito, non le piacciono le cose che dice.
- Ascoltami Bea… - inizia con tono pacato, ma l’altra la interrompe subito.
- Non mi parlare con quel tono accondiscendente! Non mi trattare come se fossi matta! - urla.
Nel locale in molti si voltano verso di loro: una coppia di anziani borbotta scuotendo la testa, un gruppo di ragazze le indica ridendo e a una bambina, impaurita da quel grido, sfugge il gelato di mano che si spiaccica sul pavimento. Subito la sala si riempie con il pianto della piccola, mentre la madre cerca di consolarla.
Beatrice guarda le persone sparse nel locale: gli occhi si sgranano, il volto impallidisce.
- Bea, calmati! Stai dando spettacolo! – l’ammonisce Giulia.
Beatrice si prende la testa tra le mani, disperata.
- Non capisci, nessuno mi può capire! -
- Bea, io…-
Ma l’altra tira su il volto e le serra un braccio – La vedi quella coppia d’anziani? - sibila all’amica. Giulia si volta, li guarda e si affretta a fare di sì con la testa.
- Ieri sera li ho visti riflessi nel vetro della metropolitana. –
- Non credo che… -
- E quelle ragazzine? Le vedi? Le vedo ovunque, sempre insieme, sempre a sbirciare verso di me e sghignazzare. –
- Smettila! –
Ma Beatrice non può farlo, presa nella foga di raccontare tutto all’amica.
- E quella bambina? L’hai vista bene? Ha gli occhi di due colori diversi. Lei è quella che appare più spesso: la vedo dappertutto, su ogni cazzo di superficie riflettente… Lei deve essere il capo. –
- Bea, ma cosa dici? Mi stai spaventando! –
- Giulia, devi credermi! Sono tutti qui per me! Vogliono qualcosa! –
- Adesso basta! –
- No, smettila tu di non credermi! Sto impazzendo, aiutami! - Beatrice scoppia a piangere, l’amica si alza e l’abbraccia – Certo che ti credo, ma hai bisogno di qualcuno che ti aiuti. Ci vuole uno specialista che… -
- No! - si alza di scatto e la sedia cade all’indietro con un rumore tremendo – Non sono matta! – urla ancora più forte con gli occhi spalancati e la bocca tremante – Va’ al diavolo! – e corre via, gli specchi propongono la sua corsa da decine di angolazioni diverse.
- Bea! – la chiama l’amica prima di correrle dietro. Un attimo dopo non ci sono più: dalla porta lasciata aperta entra qualche foglia morta che il vento si diverte a far danzare prima di dimenticarle in un angolo del locale.
Al Cafè de Paris cala il silenzio: le ragazzine smettono di ridacchiare, gli anziani appoggiano le tazze del tè sul tavolo, il cameriere abbandona il vassoio sul bancone.
Poi tutti si voltano verso la bambina.
La piccola si massaggia una tempia con la mano tenendo gli occhi chiusi, poi li spalanca all’improvviso. Un lampo attraversa le iridi dai colori contrastanti.
- Andate – bisbiglia e tutti si precipitano fuori. Con lei rimane solo la madre che si mette più comoda sulla sedia e sorseggia lentamente il suo caffè.
- Tosta questa Beatrice, non trovi? – chiede la donna.
La bambina annuisce, si porta alle labbra il bicchiere e lo svuota in un attimo. Nel collo un pomo d’Adamo che non dovrebbe esserci sussulta in maniera vistosa. Sulle labbra rimane un po' di succo prima che la lingua biforcuta lo faccia sparire. Poi sorride.
Per un attimo lo specchio che ha di fronte coglie la sua vera immagine e subito dopo si crepa con uno scricchiolio sinistro. La crepa si arrampica su tutti i muri, attraversa gli specchi appesi e li fa esplodere uno alla volta.
– È per questo che l’ho scelta – afferma l’essere che sembra una bambina, mentre coriandoli di vetro volteggiano tutt’intorno, brillando di riflessi infuocati.