– Dove cazzo sei? Rispondi, maledizione! Devo vederti!
Beatrice, con voce strozzata, lascia l’ennesimo messaggio vocale a Giulia: – Ti aspetto al Café de Paris. È urgente, cazzo, vieni subito!
L’aria del pomeriggio è ancora tiepida, sebbene l’autunno abbia fatto da giorni il suo ingresso. Solo un vento improvviso turbina le foglie lungo il marciapiede, facendone cadere altre dai platani lungo il viale.
Beatrice entra nel locale ansimando, in preda a una crisi respiratoria simile ad altre, negli ultimi tempi sempre più frequenti. È una bella ragazza, giovane, di appena una trentina d’anni, alta, capelli lunghi e castani. Semplice, ma che comunque non passa inosservata, sebbene indossi quasi sempre abiti larghi e scarpe basse.
Percorre tutta la sala e si siede a uno dei tavolinetti in ferro stile liberty in fondo, da cui riesce a vedere la porta d’ingresso.
Conosce bene quel bar, dove più di una volta si è rifugiata, in preda alle sue angosce, senza sapere perché, per lei, sia così rassicurante. Forse le pareti verde salvia, con le foto d’altri tempi in bianco e nero, gli specchi dentro semplici cornici, hanno qualcosa di vagamente familiare. O perché la luce calda e soffusa l’accoglie, in qualsiasi ora del giorno, in un morbido abbraccio. Anche quando il locale è pieno di gente, i rumori non sono fastidiosi, è come se in quel posto l’aria fosse assorbente, come certe carte che eliminano il superfluo, quando c’è.
Da quando è entrata chiama in continuazione il numero dell’amica, ma dopo due squilli scatta la segreteria.
Un cameriere, che le sembra di non aver mai visto, le si avvicina e lei ordina un gin tonic, con poco ghiaccio. Lo sguardo percorre sempre lo stesso tragitto, dalla porta al cellulare, entrambi muti, due bocche serrate.
Un gesto della mano e un secondo bicchiere si materializza sul marmo del tavolino. Beatrice finisce l’ultimo sorso, quando dall’ingresso entra Giulia che la vede e le corre incontro.
– Scusa Bea. Ero in riunione… Non potevo rispondere. Ho sentito i messaggi e mi sono precipitata. Ma cosa è successo?
– È terribile! Io non so nemmeno come dirtelo, da dove cominciare, ma tu devi credermi, tu mi devi aiutare! – le dice abbracciandola forte, le mani strette nelle sue, mentre continua a tremare.
– Ma che ti prende? Calma, stai calma! Adesso ci sono io, tranquilla. Ora ti siedi e mi racconti ogni cosa.
Giulia si toglie con un movimento lento il trench e lo poggia, insieme alla borsa, sulla sedia accanto, con un gesto rassicurante a significare che è lì per ascoltarla.
Beatrice porta alle labbra il bicchiere, sollevandolo per far scendere le ultime gocce rimaste sul fondo e un po' di coraggio, poi si avvicina all’orecchio dell’amica e le sussurra, con voce lenta: – Giù, sono ovunque. Mi seguono, mi spiano, vogliono farmi del male, vogliono uccidermi! Non so chi sono, sembrano diversi…e io li vedo ovunque.
– Ma chi? Di chi stai parlando? – chiede, guardandosi intorno per scorgere qualche segnale che, entrando, le è sfuggito.
– Li vedo riflessi negli specchi, in bagno, in macchina, sulle vetrine per strada, nei camerini dei negozi, dentro l’ascensore. Mi guardano, e so che aspettano il momento giusto per uccidermi!
– Aspetta, frena un attimo! Ma chi? Ma cosa cazzo dici!
Giulia si allontana appena, si sistema meglio sulla sedia, come per riprendere fiato e la giusta distanza. Poi tenendo tra le mani la testa dell’amica e guardandola dritto negli occhi, le chiede: – Mi spieghi cosa sta succedendo? Guarda come ti sei ridotta! Da quanto tempo non vai da un parrucchiere? Hai gli occhi cerchiati, le unghie mangiate fino all’osso, puzzi di alcol, tremi come una foglia.
Poi annusando i bicchieri: – Ma che fai? Bevi super alcolici alle sei del pomeriggio? Ti rifai di coca?
– Che dici? Lo sai che ho chiuso con quella roba.
– Allora prendi farmaci, antidepressivi, tranquillanti? Da dove cazzo ti vengono queste allucinazioni?