Pilato e la Verità
Da ore l’uomo era in preda al tormento dei suoi pensieri, ma né il sonno, né la speranza del sopraggiungere del giorno venivano in suo soccorso e lui giaceva soggiogato da una profonda impressione, di fronte alla quale si sentiva impotente.
Eppure aveva combattuto battaglie, ucciso nemici e straziato con le proprie mani i loro corpi, ma mai prima di allora era stato colto da un tale senso di oppressione.
Volse lo sguardo all’ancella che gli dormiva accanto: la luna che penetrava dalla terrazza illuminava i lineamenti ancora infantili di quel corpo acerbo che lui aveva posseduto con forza, tanto da farla tremare di dolore e piangere di spavento sotto il suo giogo e ora la fanciulla giaceva sfinita dal sonno e dalla paura.
Dal giardino saliva l’alito caldo e profumato della notte che gli solleticava i sensi e lo faceva sentire più che mai vivo, quando invece avrebbe voluto scivolare nell’oblio, per sfuggire a quella pena.
Ma, in fondo, a cosa doveva tutto quel supplizio, cosa mai aveva fatto che non rientrasse nei suoi compiti da anni ormai, da quando era stato nominato Prefetto della Giudea da Seiano, uomo vicino all’imperatore Tiberio?
Aveva cercato di portare l’impero in quella terra così lontana da Roma e così straniera nel cuore di quei sudditi che lui disprezzava e governava con pugno duro e implacabile.
Tuttavia quel giorno qualcosa in lui si era smosso e aveva la sensazione che una parte di sé non sarebbe più tornata come prima.
Quando i sacerdoti del Sinedrio - che fossero maledetti! - gli avevano portato l’uomo che avevano condannato, quel Gesù, lui aveva pensato che fosse un pazzo, un sognatore.
Lo accusavano di essersi insignito della corona del loro popolo, di considerarsi il Re dei Giudei, ma quando lui gli aveva domandato in tono beffardo se lo fosse veramente, l’uomo aveva dato una risposta degna della Sibilla Cumana, sostenendo che il suo regno non era di quel mondo e che se lo fosse stato, il suo popolo non avrebbe esitato a combattere per lui.
Ma prima ancora che lui, Pilato, uomo di spada avvezzo al potere fosse riuscito a comprendere ciò che quel Gesù intendeva, si era sentito talmente soggiogato dalla sua personalità da avvertire un brivido freddo corrergli lungo la spina dorsale e solo in quel momento aveva avuto la distinta impressione che quello non fosse uno dei soliti processi che era abituato a tenere, ma di avere fra le mani qualcosa di molto diverso, di ignoto e di misterioso.
Si era avvicinato all'uomo da cui emanavano un carisma e una personalità cui faticava sottrarsi e gli aveva domandato di nuovo:
«Sei dunque un re?»
E la risposta era stata ancora una volta oscura; Gesù, avvolto da una calma imperturbabile, che mal si accordava con quel luogo che incuteva timore anche ai più impavidi, aveva risposto:
«Tu lo dici. Per questo sono venuto al mondo, per sperimentare la Verità e chiunque cerchi la Verità, ascolta la mia voce.»
E Pilato si era smarrito negli occhi dell’uomo che diceva di essere la Verità e, per non annegare in quel mare indefinito, si era aggrappato alla domanda più antica del mondo: «E che cos’è la verità?»
La Verità. Quella parola gli riecheggiava ancora nella testa, rimbalzando tanto a lungo, da essersi ormai svuotata di significato. La ripeteva dentro di sé, la sillabava a fior di labbra, ne percepiva il suono, ma il senso profondo gli sfuggiva, come acqua di fonte fra le dita.
Aveva intuito subito che la risposta era nascosta dietro a quegli occhi, era tra le mani di quell’uomo che lui aveva cercato di salvare dalla morte, barattandolo con quel Barabba, il ribelle, ma il suo stesso popolo aveva preteso la sua morte e ora la risposta era morta con lui.
Un refolo d’aria fresca penetrò nella stanza e raggiunse il talamo dove Pilato giaceva, esausto, abbandonato ora anche dalla ragione.
L’uomo volse il capo ad ammirare il cielo cupo - l’alba era ancora lontana – e, ormai in preda al delirio, cercò nel riflesso argenteo della luna la risposta alla sua domanda:
“Che cos’è la Verità?”