L’autunno era decisamente la stagione dell’anno che prediligeva. Mentre percorreva il tratto di strada che da Finero si snoda nel grembo della valle fino a casa, Stefano non smetteva di saziare lo sguardo con l’esplosione di colori che la montagna gli parava davanti.
Alla guida della sua BMW, si compiaceva della decisione, presa anni prima, di lasciarsi alle spalle il caos e lo smog di Milano. Così, dopo il burrascoso divorzio da Eleonora, aveva dato un taglio netto con la vita passata, per stabilirsi nel verde e nella tranquillità della Val Vigezzo.
Il sole di quel pomeriggio di ottobre non era ancora calato dietro il versante della montagna e riverberava sull’asfalto, tanto che Stefano quasi non si avvide dell’auto della Guardia di Finanza appostata dietro una curva e, quando un uomo in divisa alzò la paletta intimandogli l’alt, dovette pestare il piede sul freno, facendo quasi inchiodare la macchina.
A causa della vicinanza col confine Svizzero di Locarno, non era infrequente venire intercettati da una pattuglia, che effettuava controlli di routine.
«Buonasera», lo salutò il finanziere avvicinandosi all’auto. «Favorisca patente e carta di circolazione, per favore» gli intimò.
Stefano annuì ed estrasse dal portafoglio la patente, poi si sporse alla sua destra per aprire il portello del cruscotto da dove prese il documento della vettura.
Il finanziere verificò per alcuni istanti, poi restituì i documenti a Stefano rivolgendogli la solita domanda di rito: «Ha qualcosa da dichiarare?»
«No», rispose Stefano con un sorriso. «Ho con me soltanto la mia valigetta e il mio notebook. Sono stato a Bellinzona per un convegno letterario».
Il finanziere annuì, poi girò intorno all’elegante vettura e, più per formalità che per sospetto, chiese: «Potrebbe aprire il bagagliaio?»
«Ma certo», rispose Stefano con un sorriso, cercando di mascherare il disappunto per quel controllo un po’ troppo pignolo.
Azionò il comando elettrico e il portellone si sollevò con un sibilo, quando da dietro sentì il finanziere erompere in un grido: «Metta le mani sul volante e non si muova!»
«Cosa…?», fece per domandare Stefano, ma non appena sporse la testa fuori dal finestrino, si ritrovò la canna di una pistola d’ordinanza piantata fra gli occhi.
Non aveva idea di quanto tempo avesse trascorso in quella stanza. Nonostante le veneziane abbassate, una luce opalescente indicava che probabilmente stava per albeggiare.
Si passò una mano sul viso stralunato e avvertì sul palmo un principio di barba. Erano passate appena ventiquattr’ore dall’ultima volta che si era rasato, eppure in quel lasso di tempo tutta la sua vita era stata stravolta; per la precisione, dal momento in cui il giovane finanziere, nell’aprire il bagagliaio della sua auto, vi aveva trovato il cadavere mutilato di una giovane donna asiatica, cui erano state amputate entrambe le mani.
In quell’istante la porta della stanza si aprì ed entrò una donna non molto alta, piuttosto in carne, che portava un paio di jeans e scarpe sportive. La donna si avvicinò al tavolo e si presentò: «Sono l’ispettrice Laura Riberti, incaricata di condurre le indagini sul caso».
Poi prese posto sulla sedia di fronte a Stefano, aprì una cartellina e, piantandogli un paio d’occhi scuri in viso, gli domandò: «Sa dirmi dove si trovava la notte tra il ventisette e il ventotto ottobre?»
«Come ho già ripetuto più volte, ho trascorso la notte all’Hotel International di Bellinzona».
«Quindi il convegno di cui leggo agli atti era per il giorno seguente?» chiese l’investigatrice consultando il rapporto che aveva davanti.
«Esatto…»
«C’era qualcun altro con lei? Durante la notte intendo…» chiese lei, tornando a fissarlo negli occhi.
«No, ero solo. Ne ho approfittato per lavorare alla presentazione del giorno dopo e mandare qualche mail. Può controllare la cronologia sul mio notebook, se vuole».
L’ispettrice annuì e chiuse la cartellina.
«Dunque lei è il famoso Stefano Grimaldi», aggiunse poi l’ispettrice, tornando a guardarlo negli occhi e a Stefano questa volta parve di cogliere quasi il preludio di un sorriso sul viso di lei.
«Sì, sono io», rispose lui in tono neutro.
«Lo sa che ho letto tutti i suoi romanzi?»
Stefano abbozzò un mezzo sorriso, ma restò guardingo, non sapendo se diffidare di quell’improvvisa benevolenza.
«Nel suo ultimo romanzo, “Leon”, a una delle vittime vengono mozzate le mani, o mi sbaglio?» chiese lei all’improvviso, tenendo gli occhi fissi sull’uomo, con l’intenzione di spiarne un’eventuale reazione.
«Infatti», annuì Stefano.
«Non le pare strana questa coincidenza?»
«E a lei non sembra strano che uno scrittore commetta lo stesso delitto che ha descritto nel suo romanzo, visto che è quello che sta insinuando?» rispose l'uomo, fissando i propri occhi in quelli dell’ispettrice.
Lei abbassò lo sguardo sulla cartelletta e, dopo un attimo di silenzio, concluse dicendo: «Bene. Allora non ci resta che attendere il provvedimento di convalida del giudice».
Si alzò, salutò Stefano con un cenno del capo e uscì dalla stanza.