Oggi scrivo.
Un giorno disegno.
Un giorno preparo il pane per la settimana.
Un giorno vado in cerca di segni.
Fin dove posso arrivare.
Un giorno scavo buche, annuso terriccio, misuro alberi.
Fin dove posso arrivare.
Un giorno controllo le acque, il fiume, il lago, le pozzanghere.
Fin dove posso arrivare, ovvio.
Un giorno guardo nel vuoto, cerco una ragione per andare avanti e la trovo sempre.
Oggi no. Oggi, scrivo.
I valori nell’aria si assestano, ci sono piccoli segni di miglioramento ma no, non c'è sicurezza.
Forse, e mi perdonerete se divago un po', faccio congetture, elaboro teorie. È nella mia natura, che in barba ad ogni aspettativa non è più la natura che avevo prima. E anche la terra, forse dicevo, non ha più la sua natura di prima. È mutata. Vorrei solo riuscire a comprendere meglio, ecco perché divago.
Io seguo il piano di salvataggio.
Ho la mia routine da seguire.
La routine non si può infrangere.
La routine è il cardine del piano di salvataggio, capite?
Ogni minuto della mia vita è votato al piano di salvataggio.
Ogni. Maledetto. Minuto.
Ma quando cerco di spiegarlo a Olimpia, lei volta la faccia e se ne va sulle sue gambette magre, urlando che non le interessa, che ha da fare.
Olimpia non ha una routine.
Olimpia improvvisa, non segue il piano di salvataggio. Per questo Olimpia non potrà sopravvivere a tutto questo, è chiaro no?
Lei fa le cose a caso, senza ordine; ieri ha camminato, ieri l'altro ha oziato, e anche il giorno prima, poi ha fatto cose senza un senso logico, che disturbano l'equilibrio.
Senza una routine lei si annoia, e la sua noia mi infastidisce, capite? Mi toglie la concentrazione.
Se solo potesse essere un po' meno disinteressata a tutto questo. Al nostro compito.
Dice che è solo mio, stampatevelo bene in mente. Dice che è solo mio, e che mi arrangiassi. Che sono io la prescelta, mica lei. Lei è qui solo perché è figlia mia. Lei ha da fare le sue cose.
Ma quali cose, poi? Questo non si può sapere, capite?
Così lei va a fare le sue cose e io seguo la routine.
La routine non si infrange.
Neanche quando tua figlia fa la pazza e non capisce il senso del tutto.
Ma ha solo undici anni, direte voi.
E lì l’hai portata tu, tu hai deciso di imbarcarti in questa missione portandoti dietro una bambina di nove anni e votandovi entrambe a una vita di inferno, di ricerca, di solitudine, di speranze infrante, di anni di studio e di ricerche buttati, per salvare un fottuto pianeta che probabilmente non vi godrete.
Eh sì, che dire? Avete ragione voi.
Me le dico già da sola queste cose.
Chi pensavo di essere, tutta la fottuta resistenza dell’universo, a pensare davvero di potercela fare?
Di poterlo fare trascinandomi dietro una bambina, poi.
E non una qualsiasi. Mia figlia. Non partorita con dolore, no, ma accolta con amore nei bei tempi andati.
Eppure, eccoci qui.
Chissà che cazzo mi ero calata per decidere di accettare questa missione suicida.
No, non chiedetelo. Certo che ci credevo. Avevo tutti gli strumenti per farcela. Li avrei ancora.
Ma non voglio pensarci, ora. La routine non si infrange, solo questo conta.
Alcune piante della serra hanno piccoli timidi germogli che cercano un po’ di luce.
Spero resistano, sarebbe un segnale incoraggiante. Un segnale che mi servirebbe proprio per dare un senso a tutto, anche se oggi non posso pensarci, non è il giorno giusto.
La routine, lo avrete ormai capito, non si infrange.
Nel lato est del muro sono cresciuti dei muschi. Non molti, e piccoli, ma è un altro piccolo semino. Semino dopo semino arriveremo alla salvezza.
Se credessi in dio, e solo dio sa quanto mi piacerebbe poter credere in lui, lo pregherei di chiuderla qui. O ci salviamo o basta, Questo è accanimento terapeutico, non abbiamo saputo trovare nessun altro pianeta e pensiamo, ora, di poter salvare la terra. I bunker con i rifugiati sono ormai al collasso e la rigenerazione della Zona X, circondata da questi muri che salgono fino al cielo e rendono il mondo davvero piccolino, resta la nostra unica opzione di sopravvivere come genere umano. Qui deve rinascere la vita, e allora i bunker si apriranno e arriveranno le persone
Le altre persone.
Che non sanno cosa vuol dire essere qui, altro che traversata in solitaria, e forse due anni sarebbero tanti per chiunque. Non solo per me. Non solo per Olimpia.
Forse a un certo punto bisognerebbe anche arrendersi. [...]
Comando centrale 001 Alfa
Sala di controllo missione Safe Earth
Marzo 2041
«Perché lo fa?»
«Lo sa, Capitano. È la routine.»
«Sì, ma non è necessario farlo per otto ore, come fa lei.»
«Per lei il tempo non ha più alcuna importanza.»
«E la bambina?»
«La bambina cresce e sembra sana, con uno sviluppo un po’ rallentato. Ma non potendola visitare non abbiamo alcuna certezza, se non le rilevazioni della dottoressa. E anche sulla dottoressa non abbiamo più alcuna certezza.»
«Cosa intendi?»
«Intendo che ok non mandarla da sola, ok accettare le sue condizioni e mandarla con la bambina, ma lì fuori ci sono solo loro, Capitano. E la bambina sta crescendo in un mondo dove non esiste nessun altro se non sua madre. Se ci fosse anche un padre sarebbe uno Shining niente male, degno del miglior King, non crede?»
Il Capitano fa un lungo respiro, ma la sua voce suona ferma.
«La aiuteremo. La dottoressa è lì fuori per salvarci tutti; se perdiamo lei, perdiamo. Punto. Manca così poco. Ci sono i germogli, li hai visti anche tu. E il muschio. E il livello delle acque che si è alzato, il terreno che comincia a essere fertile. Troveremo una soluzione. Fai preparare Julius per una consegna notturna nei prossimi giorni. E al prossimo collegamento video voglio assistere anche io.
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Forse il segno è arrivato. Sotto forma di un pacco, che ho trovato stamattina fuori, vicino alla serra delle coltivazioni autoctone. Volevo un segno, è arrivato; avete capito? Loro sanno che combatto per loro. Loro sanno che sono stremata. Ma riuscirò, lo sento. La prima e l’ultima a dover fare questo. La prima e l’ultima.
Anche se, Olimpia...
Ho sbagliato a portarla, certo che ho sbagliato.
Forse hanno ragione loro. Forse dovrei lasciarla andare, nella base di recupero e decontaminazione, così potrebbe vedere altre persone, potrebbe vivere qualcosa che qui non può avere.
Dicono che sembra sana, anche dalle mie rilevazioni e le mie rilevazioni su Olimpia sono ineccepibili. È la mia bambina.
Se la curva di crescita prosegue per altri tre mesi, la meta sarà a un passo.
E a quel punto potrei lasciare andare Olimpia nel campo di decontaminazione, potrei lasciarla andare e poi rivederla al massimo dopo due anni, e allora sì, che di cose di cui parlare ne avremmo di sicuro. E lei potrebbe vivere. Chi sono io per dire che la vita nei bunker sia peggiore di questa? Io la mia vita, prima di tutto questo, l’ho avuta. L’ho amata, l’ho vissuta. L’ho avuta, ripeto, e scusate, ma concentriamoci sul concetto di avuta. Era mia.
Ora è della mia missione.
Del piano di salvataggio.
Della routine.
Ma Olimpia la sua vita deve ancora averla.
Potrebbe partire subito. Certo, se andasse via domani non avrei certezza sul nostro ricongiungimento, ma non è importante. È importante che abbia la sua vita.
È importante che questa missione non distrugga l’unica persona al mondo che vorrei salvare.
Olimpia non ha una routine. Olimpia non segue il piano di salvataggio. Non può sopravvivere a questo. Olimpia deve partire. La routine non si infrange, si segue.
Mi chiedo se dovrei parlarne con lei, ma è solo una bambina. E sono certa che sapere la sua gioia nel lasciarmi mi spezzerà il cuore, ma lo accetterò.
Comando centrale 001 Alfa
Sala di controllo missione Safe Earth
Aprile 2041
Davanti al monitor è seduto il dottor Constance.
Il collegamento video comincerà tra pochi minuti, e il Capitano sta arrivando. La dottoressa si sta sistemando nella saletta di trasmissione, ha una cartella gonfia dalla quale spuntano foglietti che rischiano di volare via a ogni movimento del suo corpo.
Vladimir Constance la osserva con cura, zoommando sul suo viso, cercando di carpire qualsiasi sfumatura. Al collegamento video di tre mesi prima la dottoressa gli era sembrata davvero provata e sull’orlo di una crisi di nervi. Vladimir aveva avuto paura, anche se non lo aveva confessato a nessuno. Si era reso conto, scrutando negli occhi della donna, che la sua mente si stava logorando e quel logorio la stava portando alla pazzia. E la sua pazzia era la loro fine.
Il dottor Constance si era opposto alla candidatura della dottoressa. Nonostante i risultati brillanti a tutti i test, una bambina al seguito gli sembrava una follia troppo grande anche per una donna come lei. La dottoressa, da quando era rimasta vedova, portava la bambina sempre con sè. Olimpia era stata a vedere la foresta amazzonica devastata dalla siccità all’età di quattro anni. Olimpia era con la dottoressa durante la missione sul satellite 115, che era stata un buco nell’acqua, e aveva cinque anni. Olimpia aveva visitato la Zona X mentre veniva tirata su dagli ingegneri, a sei anni. E in tutti i sopralluoghi successivi, fino a quando non vi erano entrate entrambe, rinchiuse in quella che il dottor Constance definiva la “Zona d’interesse”. Gli ricordava molto quel film di non troppi anni prima (ma che ormai sembravano secoli) il fatto che ovunque fossero presenti telecamere che riprendevano la vita delle due abitanti.
Se non c’era Olimpia, la dottoressa non si muoveva. Rimandava la missione o la rifiutava.
Eppure lui le aveva chiesto di lasciarla al Comando Centrale, le aveva assicurato che se ne sarebbe preso cura lui, come se fosse figlia sua, ma la dottoressa no, aveva detto. Senza Olimpia io non parto, io non vado in missione, io non vi salvo il culo se con me non c’è anche mia figlia, hai capito bene Vladimir? E se volete il culo salvo dovete accettare le mie condizioni, non potete dettarne alcuna.
E loro le avevano accettate. Si sentivano in colpa? Certo, ogni giorno, ogni ora, guardavano quella bambina che girava, esplorava, parlava da sola, entrava in una dimensione altra a modo suo e in quella dimensione le pietre sembravano visi, e ogni pietra aveva un nome e tutte indicavano un sentiero al quale aveva dato altri nomi. La bambina dava nomi a tutto. L’avevano guardata perdere il contatto con la realtà, ma avevano pensato che tutto sommato lei stava all’aperto, lei viveva. Comico, no? Si chiedevano anche loro chi fossero per dire che la vita nella zona d’interesse fosse peggiore di quella nei bunker. E tacevano.
E il dottor Constance con loro; salvare il pianeta valeva ben il sacrificio di una bambina.
L’ingresso del Capitano interrompe i pensieri del dottore.
«Tra quanto parte il collegamento?»
«Un minuto, si sieda qui, non si faccia vedere la prego. La dottoressa, come saprà, è un tantino suscettibile ai cambi di routine. »
«Sì, sì, dottore. La routine della dottoressa è ormai leggenda. Qui va bene?»
«Perfetto. Non intervenga per nessun motivo, ma ascolti attentamente. Tre secondi.»
«Muto come un pesce, giuro.»
«Sarà meglio.»
I due uomini si sorridono con cameratismo. Ormai li lega un affetto sincero, velato da molti rimorsi. Si comprendono bene.
«Buonasera Dottoressa. Sono il dottor Vladimir Constance. Sono pronto a ricevere gli aggiornamenti.»
«Buonasera, Vladimir. Non memorizzi mai, nello script è indicato che devi dire: sono pronto per ricevere. Per. Sei sempre stato uno studente disattento, Vladimir. Per questa volta passi, ma sai quanto sono suscettibile su queste cose.»
«Mi scuso. Sono pronto per ricevere gli aggiornamenti.»
I primi cinque minuti del collegamento video viene dedicato al commento dei dati dell’ultimo trimestre, che vengono inviati giornalmente dalla dottoressa. Confrontano le curve di crescita, i livelli delle acque, le condizioni atmosferiche, scandagliano i dati in maniera chirurgica e giungono alla conclusione che si possa essere cautamente ottimisti.
«E ora, Vladimir. Vorrei parlare del pacco che mi avete mandato. E di Olimpia. La terresti con te? Stando qui ho compreso quanto sbagliata sia stata la mia scelta di due anni fa. Ma questo lo sai già, lo so che leggi tutto quello che scrivo.»
«Non proprio tutto, Nadia. Altrimenti non avrei tempo per fare nient’altro.»
La dottoressa sussulta, sentendosi chiamare per nome. Poi le spunta un piccolo, timido, sorriso.
«La terresti con te?»
«Certo che la terrei con me. La preleviamo, la portiamo nel campo di decontaminazione, analisi e parametri, quarantotto ore e Olimpia sarà qui con me, nel Bunker 1, al Comando Centrale.»
«Bene. E quando potreste prelevarla?
Dietro la dottoressa, nell’inquadratura, è spuntata Olimpia. Singhiozza.
«Mamma.»
La dottoressa gira la schiena alla telecamera. Vladimir può solo guardare e ascoltare.
«Mamma, non mandarmi via. Perché vuoi mandarmi via, mamma? Lo so che non sono stata tanto gentile con te, in questi ultimi mesi, e ti chiedo scusa, ma non mandarmi via. Io qui sto bene, non mi sento sola, non mi mancano altre persone. Vuoi sapere cosa faccio? Cerco cose, ho trovato delle pietre stranissime e gli ho dato dei nomi, Ho raccolto delle conchiglie e le ho messe in un fazzoletto. Ho guardato la corteccia degli alberi per tantissimo tempo senza annoiarmi mai. Non mandarmi via, mamma. Scusami se non seguo la routine, ma posso farlo, puoi farmene una piccolina solo per me e io la seguirò, ti aiuterò di più, ti accompagno quando vai a fare le misurazioni, bagno i semi, scrivo con te. Posso aiutarti, mamma. Ti prego, non mandarmi via.»
La dottoressa si volta verso il dottor Constance.
«Ci risentiamo tra tre mesi e ne riparliamo. Ciao, Vladimir.»
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Abbiamo stabilito una piccolissima routine che Olimpia dovrà seguire. Le ho promesso in cambio un po’ di tempo per noi. Rientra comunque nel piano di salvataggio, avevo inserito una parte di svago in ogni giorno di routine, quindi mi sento anche in pace con le mie compulsioni.
Viviamo giorno per giorno e ci siamo date una data di scadenza. Potrebbe essere che tra due giorni andrà di nuovo in maniera pessima, chi lo sa. Ne riparleremo prima del prossimo collegamento video.
Ma i valori migliorano e la curva continua a crescere, un punto percentuale in una settimana.
Questo continua a darmi la spinta per andare avanti.
Questo e i nomi meravigliosi che Olimpia ha dato ai sassi e ai sentieri che essi indicano. Un sasso lo ha chiamatoVasilij Kandinskij, pensate un po’. Dice che le ricorda un quadro che le avevo fatto vedere da piccola.
La sua routine è piccola ma efficace. Sono sicura che le salverà la vita. E se lei è salva, lo sono anche io. Lo siamo tutti.
Un giorno dipinge.
Un giorno prepariamo il pane per la settimana.
Un giorno va in cerca di sassi e gli da dei nomi speciali.
Un giorno cerca conchiglie.
Un giorno legge sdraiata sull’amaca.
Un giorno parla con i germogli.
Funzionerà? La prima settimana è andata, è stata brava. Ci siamo sorrise molto. Mi ha reso felice. Stamattina abbiamo anche riso insieme, e ieri fare il pane insieme è stato strano, ma bello. Come dei fili che si riannodano e finalmente senti addosso il peso giusto delle cose, non più sfilacci al vento ma trama fitta che salva il cuore.
Abbiamo pianto molto, avrete capito anche voi che non sono proprio una dal cuore tenero, ma vedere così la mia bambina è stato un colpo anche per una come me. Ci siamo abbracciate come non succedeva da tempo e pianto tanto, parlato tanto, ci siamo spiegate, ci siamo dettate condizioni a vicenda, promettendoci cose importanti.
Oggi io scrivo. Olimpia cerca conchiglie. La routine non si infrange, il piano di salvataggio va avanti. Ci credo. Ci credo di nuovo, avete sentito? Niente potrà fermarmi. Lo salvo, questo fottuto pianeta, avete sentito? Lo salvo. [...]
Comando centrale 001 Alfa
Sala di controllo missione Safe Earth
Giugno 2041
«Cosa stanno facendo?»
«Capitano, stanno facendo il pane, è ovvio.»
«Sì, ma stanno ridendo?»
«Sì Capitano. Ridono.»
«Cazzo, che roba meravigliosa. Be’ a questo punto io vado, dottore. Ci rivediamo il mese prossimo per il collegamento video.»
«Certo, capitano. La routine non si infrange.»
La risata del Capitano riempie il vano della porta mentre esce.
Il dottor Constance si gira verso i monitor. In cucina Nadia e Olimpia stanno preparando il pane, la bambina racconta e la dottoressa ride.
Se Vladimir credesse in Dio, e solo voi sapete quanto vorrebbe crederci, è sicuro che quelle risate Lo convincerebbero a salvare il Pianeta.
Fosse anche solo per farci vivere Nadia e Olimpia per sempre.