Naty e io ci conosciamo da quanto? da una vita più o meno, e nonostante le differenze abissali, andiamo d’accordo, cosa che a volte sorprende pure noi.
Tanto io sono pragmatica, introversa, in certi frangenti inamovibile e terra terra, così lei è estroversa, fantasiosa e sempre alla ricerca di nuovi stimoli, senza porsi tanti problemi.
Certo, come in ogni vera amicizia non è tutto rose e fiori: il che comporta laboriose sedute di “facciamo pace?” dopo qualche litigata furiosa.
Seguirla nei suoi progetti è come essere nell’occhio di un ciclone.
L’ultima sua idea è stata quella di avere una radio tutta nostra. Target: bambini, massimo ragazzini.
«Una radio? Per bambini? Ma se vanno di video e foto!» Non potevo che essere scettica, visto l’andiamo.
«Ma noi li incuriosiremo, sono belle testoline, credimi. Ecco con cosa e come vorrei provarci.»
Mi porse una nota dettagliatissima:
«Vedi? Argomenti elementari, da trattare con semplicità: niente di troppo scientifico, zero esperti o paroloni. E con l’attrezzattura che ho trovato, un vero affare, possiamo arrivare dovunque. Che ne dici? Dai, almeno tentiamo! E poi…»
Il poi era il nostro codice etico, per un ragioniere “non durano una settimana”: niente pubblicità (possiamo permettercelo), news, politica e gossip, però tante curiosità, un pizzico di misurata irriverenza e il mistero su chi fossimo veramente, che funziona sempre.
«E i genitori? Sai che come ti muovi…»
«Marketing: baby sitter 3.0. Meglio del tablet. E vedrai che arrivano pure loro.»
Aveva ragione lei: un po’ di rodaggio e ora funziona alla grande, anche senza social.
Ogni giorno fedeli mini-ascoltatori cercano la frequenza da cui trasmettiamo. Radio Imprendibile, ci hanno battezzato, non perché non si riesca a sintonizzarsi - piratiamo un po’ le frequenze, ma solo per un paio d’ore - ma perché nessuno sa da dove trasmettiamo. Chi dice da una nave sempre in movimento, altri da una remota isoletta nel Pacifico: pure i militari ci han cercato, ma niente da fare. L’altro ieri eravamo forse a Cipro, ieri in Perù, tre giorni fa nei dintorni della casa di Babbo Natale e oggi… un attimo di pazienza.
I nostri nomi d’arte? In linea con gli argomenti principe: Terra e Naty, diminutivo di Natura, ed è sempre più appassionante immedesimarsi in questi ruoli.
Tra pochi minuti saremo in onda: niente scaletta, andremo a braccio, come al solito prepariamo solo i brani musicali; sulla consolle un paio di vecchi sussidiari e nello studio pensieri in libertà.
«Ehi, Terra, mi sembri turbata.»
«Tranquilla, solo mi sto chiedendo… sai quella cosa? Non sarà ora di…?»
«Eh, ci sto pensando anch’io, ma i dubbi abbondano. Vabbè, ne parliamo a fine trasmissione. Forza, amica mia, è ora.»
«BUONGIOOORNOO, MIINIII TERRICOLI… che c’è?»
«Anche meno, Naty.»
«buongiooornoo, mini terricooli» più in piccolo non posso parlare. «Le vostre amiche Terra e Naty sono ancora qui con voi e oggi, dato l’argomento, gli uccelli, trasmettiamo dal Vaticano. Vedere atlante, no Google, ma dopo.»
«Perché? Vi starete chiedendo. Beh, in onore della colomba che portò a Noè il ramoscello d’olivo ecc. ecc.»
«Sottile.»
«Mica poteva portare un ramo. Ah, intendevi la battuta! Per me è ancora l’alba, scusate.»
«Ok. Allora, chi di voi ha in casa una mutissima cocorita, un pappagallo molto intelligente o un merlo indiano, che se si sente trascurato impara a imitarvi e sai che figure… ebbene sappiate che in casa avete un piccolo e simpatico pro pro pro – ci vogliono molti pro – nipotino di dinosauro. Vero Naty? Ti ricordi?»
«Eh sempre con ‘sta storia, Terra! Dai, raccontala, ma poi non lamentarti se fanno i conti della tua età.»
«Allora dovete sapere che in quel periodo ero appena stata arrivata dalle parti del Sole, che era tipo un principe azzurro: solo che lui carino e simpatico, io una pianetina coi brufoli, sempre imbronciata. Mi guardavo allo specchio e…»
«Ancora non era stato inventato. Lo specchio.»
«Mi sentivo brutta, va meglio?»
«Eri brutta. Ma per fortuna arrivo io.» Sempre modesta Naty.
«Su questo convengo. Quindi le ho dato carta bianca… che c’è ora?»
«Anche la carta non c’era ancora. Beh, mi misi all’opera: spazio ce n’era, il materiale non mancava e potevo lasciar libera la mia fantasia. Ti ricordi quanti alberi, fiori, animali di tutti i tipi. Uno splendore!»
«Ecco, parliamo di animali. Senso delle proporzioni, zero. Partì da robe che serviva il microscopio, che ancora non era stato inventato, per arrivare ai dinosauri e forse sarebbe andata oltre se non le avessi chiesto di occuparsi anche del cielo, che sarebbe la mia capigliatura. Le nuvole son belle, tutti quei boccoli, ma mi serviva qualche fermaglio o roba simile. E lei cosa fa? Dai, confessa, non ti sente nessuno.»
«Ho inventato gli uccelli, una parola che sembra uno starnuto. Uuuuccellììì! Ehm… ammetto che sono andata un po’ di riciclo: c’era qualche bestiola che non mi era venuta proprio bene, quindi un po’ di piume, una coda, qualcosa tipo ali e vediamo se funziona.»
«Il primo cesto a volte non riesce.»
«Col tempo avrei lavorato sull’aerodinamica e sull’autonomia di volo, anche a progetti per nidi più sicuri, ma poi è arrivato quel meteorite! Che poi, dico io, guardare quando arrivi a un incrocio no eh?»
«Purtroppo, cara Naty, son fatti così: per loro le precedenze sono optional. Comunque appena passato lo spavento e calato il polverone dell’incidente, ci siamo rimesse al lavoro, stavolta con qualche regola: per il piccolo nessun problema, ma per il resto chiesi a Naty di non esagerare.»
«Su Sky Natura o National Geografic avrete tanto materiale interessante per farvi un’idea di quanto ho lavorato, anche se in questo campo non si finisce mai. Ma torniamo ai nostri uccellini. A Terra la parola.»
«Bisogna riconoscere il lavoro immane di Naty.»
Davvero un lavoro immane: aveva fatto in modo che in ogni mia parte ci fossero uccelli a farmi compagnia, coi loro chiacchiericci, le storie che portavano da lontano. Per non parlare dei colori: fantastici accostamenti, per fare la corte alle uccelline, per mimetizzarsi, a volte anche spaventare! Pure quando sembrano bruttini, tipo le quaglie, a osservarli bene sono piccoli capolavori. E poi zampette corte per passeri e merli, lunghe da far invidia per aironi e fenicotteri. E le ali? Piccole per i colibrì o enormi per le aquile!
«Insomma, carissimi, ha trovato la soluzione a tanti problemi inventandosi forme, abitudini e piumaggio e gli scienziati hanno avuto un gran daffare a classificare le sue creazioni: ordini, classi, famiglie. Noi siamo più terra terra…»
«Devo ridere?» Naty riesce ad alzare un sopracciglio con un’inclinazione pazzesca.
«Sarebbe gentile, comunque noi li abbiamo divisi in: volatori, svolazzanti e quelli che ci provano. Parto dall’ultimo posto, con un esempio per tutti: i pinguini. In acqua sono agilissimi, ma a terra! Goffi, con quelle zampette che quasi non si vedono, mi stanco io per loro a vederli camminare ondeggiando. Comunque delle ali non hanno bisogno, non sono amanti del volare, solo lunghe passeggiate via terra. E a quasi tutti piace il freddo!»
«Sì, ma cominciano a lamentarsi che col cambiamento climatico c’è afa.»
«Eh, mica hanno torto: star ore e ore a covare un paio d’uova quando fa caldo! Ma non potevi mettere qualche albero anche lì?»
«Non crescono, e poi coi sassi che gli fai trovare, non ce n’è bisogno! Tanti sassi, ma se li litigano lo stesso.»
Sulla seconda categoria abbiamo qualche differente punto di vista: un po’ di musica e torna il sereno.
«Gli svolazzanti: sono uccelli che hanno un’autonomia di volo limitata, tipo le galline, per esempio. Lo sapete che ci sono polli neri, compresi becco, cresta e occhi?»
«Ehm, avevo spremuto troppo il tubetto del colore per via dei merli e non volevo buttarlo!»
Comunque anche tra gli svolazzanti i più vanitosi sono i maschi: d’altronde, qui sono loro a dover farsi scegliere. Esempio? Il pavone.
«Il pavone: è un po’ stronzetto dai, ammettilo. Bellissimo piumaggio, ma un carattere!» Il sopracciglio di Naty mi segnala una leggera parolaccia. “Eh, sai quante ne sentono!”, le dirò più tardi.
«Tanto per dire, ieri Carlo aveva deciso di fotografare il pavone del vicino mentre faceva la ruota: è stato un paio d’ore appostato scomodamente dietro a un cespuglio, e il pavone niente. Ogni tanto paupulava - brutto verbo ma, cara Naty, tu hai inventato il suo brutto verso mica io - faceva una finta e poi si girava dall’altra parte. A un certo punto Carlo si stufa, si alza faticosamente, e si gira per andarsene. E il pavone swashh, una ruota da Oscar! Ma appena Carlo lo inquadra, swishh, chiude tutto. Se poi qualche piuma finisce in un vaso in soggiorno…»
Uno dei pericoli dell’andare a braccio è di lasciarsi troppo andare.
A onor del vero, ma non voglio annoiare troppo i piccoletti quindi metto un po’ di musica, un po’ tutti gli svolazzanti hanno caratterini che ti raccomando: i galletti francesini mirano alle caviglie, i cigni, belli ed eleganti, partono all’attacco in mezzo secondo e gli struzzi, con quel collo lungo, non lesinano beccate favolose.
«Per i volatori ci permettiamo solo una piccola divisione: quelli che più o meno stan sempre lì e quelli che invece ogni tanto migrano. Ora Naty ci spiega come mai.»
«Si annoiavano. Sempre lo stesso panorama, gli stessi vicini pettegoli, al supermercato i soliti insetti o vermiciattoli. Quindi, profittando della cattiva stagione, molti sono andati a cercare il caldo: appena trovato il posto giusto, si sono costruiti una seconda casetta e anno dopo anno, avanti e indietro! Scherzo, ma solo un pochino: questi uccelli vanno davvero a cercare il caldo e tutti devono costruirsi un nuovo nido. Sono spesso nidi grandi, come quelli delle cicogne, che si possono vedere sui comignoli o sui pali della luce. Ma anche semplici nidi di ciottoli.»
«Ecco, mi stavo dimenticando dei nidi! Ma sapete quanto sono bravi a costruire i nidi? Hanno solo il becco con cui lavorare ma riescono a intrecciare ramoscelli, fili d’erba e poco altro per farne rifugi sicuri. Alcuni scavano anche sulle rive dove il fango si è seccato. Sai, Naty, pensavo ieri che con il picchio hai inventato il primo martello pneumatico della storia. Un po’ rumoroso. Ma torniamo ai nostri viaggiatori: non deve essere stato facile insegnare come organizzare un viaggio.»
«Ma sono molto intelligenti, hanno imparato in fretta. E poi tu sei rotonda, mal che vada ti girano attorno e tornano a casa. Solo che ora mi tocca riprogrammarli: con le stagioni che stanno cambiano qualcuno fa un po’ confusione e mi parte troppo presto o troppo tardi e non va per niente bene, proprio no.»
Nello studio si sente un sonoro chicchirichì.
«Bene, anche per oggi abbiamo finito e speriamo di aver trovato qualche chicca che vi porti a curiosare in biblioteca o a fare zapping sui canali giusti, assieme a mamma e papà ovviamente. E come disse quello che aveva perso gli occhiali, ci vediamo domani!»
«Siamo in radio, Naty.»
«Ma davvero! Meno male, sono così spettinata!»
«Allora, per quella cosa?» chiedo a Naty appena lo studio è deserto.
«Meglio non dire niente, teniamoci quell’aura di mistero che piace tanto. Anche perché, d’accordo che c’è gente che ti crede una pizza col cornicione ripieno, ma in quanti crederebbero che noi siamo davvero il pianeta Terra e la Natura, anzi le nostre voci?»
«Mah, forse quelli che credono ai reality… ma sarebbe fatica sprecata. No, lasciamo perdere, che si tengano le loro fantasie: vecchie prof che hanno investito la vincita alla lotteria, ereditiere maestrine mancate… nonne sprint.»
«Andata. Oltretutto ancora non ho capito come facciamo a trasmettere dappertutto e in tutte le lingue: ne ho solo una vaghissima idea che non riesco a focalizzare. Bene, mentre tu vai a farti mezzo pisolino, io sistemo gli appunti per domani: lombrichi e lumache. I buoni e i cattivi degli orti.»
«A proposito, visto l’argomento di oggi, non è che potresti insegnare ai cari volatili a usare tipo una lettiera? No, chiedo per un’amica che adora le camicie bianche.»
«Credevo fosse per il tuo amico Beppe, quello che ha lasciato la macchina parcheggiata una settimana sotto i tigli del viale, noto condominio degli storni. Belli gli storni, con quei volteggi che sembrano veli… un sincronismo perfetto e senza bisogno di mettere la freccia.»
Inutile polemizzare, ha sempre lei l’ultima parola.
Mentre mi addormento mi viene in mente che non le ho chiesto se è nata prima la gallina o l’uovo: ma è un periodo che andiamo d’accordo, meglio non rompere l’incantesimo. Tanto non se lo ricorda: ha perso il notes con gli appunti, “che non era ancora stato inventato”.