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Staffetta 13 - Episodio 3

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Messaggio Da Albemasia Ieri alle 4:46 pm

Staffetta 13 – Episodio 1
Gimbo
 
Il sole sorgeva lento all’orizzonte, tingendo il cielo di rosso e arancione. Trieste si risvegliava piano, con le prime luci del mattino che si insinuavano tra gli edifici storici e le strade ancora silenziose. La città, con la sua architettura austro-ungarica e gli acciottolati antichi e irregolari, si stiracchiava brumosa lungo la costa del mare Adriatico.
Quella mattina, però, l’aria sembrava diversa. Una strana eccitazione aleggiava nelle vie, un'energia palpabile che pareva venire da un luogo conosciuto. Nel cuore di Trieste, nella Piccola Bottega di Antiquariato, qualcosa di straordinario stava per accadere.
Elena, una donna di sessant’anni con lo sguardo acuto e i capelli scuri raccolti in una crocchia elegante, stava sistemando alcuni oggetti antichi. Ogni pezzo nella sua collezione aveva una storia da raccontare, e lei aveva dedicato la sua vita a preservare quei racconti dimenticati. Mentre apriva il negozio, però, avvertì qualcosa di diverso. Si fermò, posò lo sguardo su un antico tavolo da lavoro e su una mappa ingiallita appoggiata sopra.
La mappa raffigurava una serie di isole remote nell’Adriatico, isole di cui nessuno parlava più, dimenticate e disabitate. Elena le aveva studiate per anni, convinta che nascondessero un segreto antico, ma mai era riuscita a dimostrarlo. Quel mattino, mentre la sua mano sfiorava la mappa, un brivido le percorse la schiena. Era come se la mappa stesse cercando di dirle qualcosa.
“Che strano…” pensò, il cuore che batteva più forte. Non era una donna che credeva nelle superstizioni, ma quella sensazione era troppo intensa per essere ignorata. Osservò la cartina con attenzione, soffermandosi su una piccola sbavatura vicino alla costa di una delle isole. Sembrava una sorta di simbolo antico. Forse era solo una macchia d’inchiostro o un errore del cartografo, ma quel dettaglio sfuggente la inquietava. Poteva essere quel qualcosa che le era sempre sfuggito? Non era del tutto sicura, ma la sua curiosità era ormai accesa, alimentata dal dubbio che quel segno celasse un segreto dimenticato.
Con delicatezza, arrotolò la mappa e la ripose in un antico astuccio di cuoio. Si cambiò, indossando abiti comodi e un cappotto pesante. Prese un bastone da passeggio, chiuse la porta della Bottega e si diresse verso il porto. La città si era già svegliata del tutto, ma Elena non prestò attenzione al trambusto attorno a sé. Aveva un obiettivo.
 
Al porto trovò Amos, un vecchio amico, un marinaio di lungo corso con occhi azzurri che sembravano scrutare l’orizzonte lontano. Quando Elena gli mostrò la mappa, Amos la osservò attentamente, alzando un sopracciglio.
«Isole dimenticate nell’Adriatico?» mormorò Amos, aggrottando la fronte mentre studiava la cartina. «Non se ne parla da decenni. Quelle acque…» fece una pausa, come se le parole fossero sospese in qualche ricordo lontano. «Nascondono più di quanto mostrino. Scogli invisibili, correnti imprevedibili. Sono luoghi in cui la prudenza vale più del coraggio.»
Elena annuì, senza distogliere lo sguardo dal vecchio marinaio. «Lo so. Ma questa volta è diverso. C'è qualcosa sulla mappa, qualcosa che non avevo mai visto prima. È solo un segno, forse un errore, ma non riesco a togliermelo dalla testa. Sento che c’è qualcosa di importante da scoprire laggiù.»
Amos rimase in silenzio per un attimo, il vento salmastro del porto che gli scompigliava i capelli grigi. Poi alzò lo sguardo su di lei, e nei suoi occhi azzurri brillò una luce di sfida. «Tu e i tuoi misteri… Sei sempre stata una donna coraggiosa, e con un fiuto speciale per ciò che è nascosto. Se davvero credi che questa sia la tua strada, allora sarò il tuo capitano. Ma sappi che potremmo affrontare più pericoli di quanti possiamo immaginare.»
Elena sorrise. «È il rischio che sono disposta a correre.»
 
La notizia della spedizione si diffuse in un batter d’occhio. Trieste, con la sua vivacità e le sue voci incessanti, era una città in cui le novità si propagavano rapide come la Bora che soffia dall’entroterra. Elena e Amos, noti per il loro spirito avventuroso, non tardarono a ritrovarsi circondati da un turbine di aspiranti compagni di viaggio, ognuno desideroso di far parte di quella che si preannunciava come una missione senza precedenti.
Ma per loro non era sufficiente trovare una mano esperta o un cuore impavido. Cercavano qualcosa di più raro, una persona in grado di percepire l’eco della chiamata dell'Adriatico. Solo chi fosse in sintonia con quel richiamo sottile poteva essere il compagno ideale.
Sapevano bene che la scelta del giusto compagno sarebbe stata cruciale. Non era solo questione di abilità, ma di intuizione. Il successo o il fallimento della spedizione, e forse la rivelazione di un antico mistero, dipendevano da questa decisione.
 
 
Staffetta 13 - Episodio 2       
Susanna
 
Erano passate due settimane e i preparativi per il viaggio erano ormai agli sgoccioli.
Amos aveva controllato e ricontrollato la sua barca a vela: la superficialità può costar cara in mare, ma ad impensierirlo maggiormente era il fatto di non aver ancora trovato la persona giusta per questa avventura, di certo rischiosa. Elena era sempre stata un’ottima compagna di viaggio, ma non si era ancora ripresa dall’intervento al ginocchio.
Elena invece aveva già sistemato tutto per poter lasciare il negozio nelle mani di Tommaso, un amico che la sostituiva egregiamente quando lei girava i mercati dell’antiquariato.
Stava controllando la posta quando nel negozio entrò un uomo:
«Buon giorno, posso dare un’occhiata?» Aveva una voce calda, con un marcato accento inglese.
«Prego, faccia con comodo.»
Bastò poco per capire che non era il solito turista curioso o uno pseudo esperto: si fermava solo davanti ai pezzi migliori, maneggiandoli con estrema cura, come chi è avvezzo a essere circondato da oggetti di pregio. Alla fine consegnò a Elena un prezioso orologio da taschino dell’800.
«Verrò con voi.»
«Scusi?»
«Verrò con voi, semplice no?» Il tono diceva che non era una pretesa o un ordine ma un dato di fatto.
«E cosa le fa pensare di essere la persona che stiamo cercando?» Elena non perse tempo con domande inutili.
«Questo.» Prese dalla borsa che portava a tracolla un piccolo contenitore cilindrico da cui estrasse una mappa, sicuramente antica e molto ben conservata.
Elena la osservò con cura poi alzò lo sguardo, sorpresa.
«Esatto, Elena, è proprio quello che sta pensando.»
«Direi che sia il caso di parlarne con calma, davanti a una buona tazza di tè.»
Chiuso il negozio, Elena fece accomodare l’uomo nell’appartamento al piano di sopra e mentre trafficava per preparare uno spuntino, “lo passò al setaccio fine”, come diceva Tommaso: non c’era niente di morboso o che altro in quello, era nella sua natura, semplicemente.
Se l’uomo fosse consapevole di tale esame, non lo diede a vedere, anzi sembrava proprio a suo agio nel salotto popolato da libri, stampe e figurine di porcellana, con una finestra che si affacciava su una veranda dove si arrampicava un glicine spettacolare.
Era alto, piuttosto robusto, abiti di buon gusto; capelli corti con un accenno di grigio, e occhi chiari. Non si poteva dire che fosse un bell’uomo, aveva un naso importante, ma nell’insieme aveva un certo fascino, accentuato da uno sguardo che… avvolgeva.
Consumata la piccola colazione, arrivò il momento dei chiarimenti.
«Lei ha un’altra versione della mappa, diciamo più ampia. La prenda, cortesemente.»
Confrontarono le due mappe: quella dell’uomo era riferita a un solo tratto di costa, ma con molti più dettagli, ed era conservata meglio.
«Sono state realizzate dalla stessa mano, è chiaro. A proposito, ancora non so il suo nome.»
«Stevenson, Ray Stevenson.» L’uomo fissò Elena, forse aspettandosi una qualche reazione.
«E come ha avuto questa mappa? Visto che vuol venire con noi…»
«L’ho trovata quando è stata sistemata la biblioteca della casa di famiglia, nelle Cotswolds. Era riposta in uno dei tanti cassetti che nessuno apre mai, ed era assieme a questo… diario di viaggio.» Dalla borsa prese un libriccino, dalla copertina di pelle rifinita con fregi d’argento.
Elena lo esaminò con cura, confrontando poi la scrittura con le annotazioni sulle mappe: era la medesima. Sulla prima pagina c’era un nome: George Raymond Stevenson.
Anche questa volta il nome non le disse nulla: «Direi un trisavolo o anche oltre.»
«E lei, come ha avuto questa mappa?» Ray si era accomodato su una poltrona, tranquillo e senza perdere nulla delle espressioni di Elena.
«Beh, è un po’ strano, ripensandoci adesso. Anni fa ereditai una piccola villa dalle parti di Lovran, una cittadina in Istria. Era bella, ma solo in apparenza: non potevo permettermi di sistemarla, per cui la vendetti, tenendomi solo mobili e suppellettili, tra cui un baule da marinaio. Al suo interno carte nautiche rovinate, fogli illeggibili e qualche moneta. E questa.»
«Lei quindi conosce il nome del proprietario della villa.»
«Ha importanza, per lei intendo? Mi sembra un po’ indiscreto. Già le ho detto molto…»
«La villa apparteneva a mio padre. Una sorta di rifugio per quella che si è appurato alla sua morte, era una seconda vita. Viaggi di affari, li chiamava lui, o viaggi di studio visto che era un grande appassionato di storia o forse solo di questa storia.» E puntò il dito sulle mappe.
Il tono era adesso molto serio, anche il viso si era rabbuiato.
«Fu convolto in un incidente ferroviario in Croazia e morì circa un anno dopo, per le conseguenze delle ferite. Venimmo a sapere che con lui viaggiavano una donna e una bambina. La donna morì subito, la bambina si salvò, ma con gravi ferite. Mio padre fece in modo che avesse le cure migliori.»
Elena era immobile, pallida:
«Direi che tu sia mia sorella, cara Elena. Non è stato facile ritrovarti e… ne sono felice.»
C’era una nota di commozione nella voce. Sincera.
 
Staffetta 13 – Episodio 3
Albemasia
 
«Avevo rimosso da tempo l’immagine di mio padre.» Elena, seduta sul bordo della sedia con la tazza di tè fra le mani, fissava al di là dei vetri uno spicchio di mare che occhieggiava oltre gli edifici. 
«Se scavo tra i miei ricordi rivedo una figura alta, severa che compariva per qualche tempo e poi spariva di nuovo. In quei giorni mia madre si trasformava, diventava un’altra: le gote le si accendevano e gli occhi…» Le labbra si piegarono in una smorfia. «Quegli occhi erano solo per lui. Io odiavo le visite di mio padre. Mai un Natale, mai un giorno di festa insieme. Adesso so che quei momenti erano consacrati alla sua famiglia, quella vera», aggiunse con amarezza, voltandosi verso Ray. Lui abbassò lo sguardo, sentendosi impotente di fronte al risentimento della sorella.
«Del resto porto il cognome di mia madre. L’unica cosa di lei che mi è rimasta dopo il deragliamento del treno».
«La mappa? Hai detto che si trovava all’interno della villa», domandò Rey, in parte impaziente di conoscere il resto della storia e in parte desideroso di sviare il discorso. Ma ormai i ricordi avevano preso il sopravvento e Elena non poteva più arginarli. 
«Quando mio… quando nostro padre morì, ero una bambina. Nel testamento aveva disposto che, qualora fosse morto prima di mia madre, la casa sarebbe andata a lei e, in caso lui le fosse sopravvissuto, alla sua morte io sarei stata l’unica erede. E così è stato. Credo che fu allora che veniste a conoscenza della mia esistenza».
 A quelle parole Ray fece un impercettibile cenno d’assenso.
«Come sai sopravvissi all’incidente per miracolo, così fu nominato un tutore per amministrare quanto avevo ricevuto in eredità, fino a che fossi diventata maggiorenne. Per me quella casa ha rappresentato la mia infanzia con mia madre, è vero, ma portava in sé anche il ricordo dei fugaci momenti che mio padre, ora so, rubava alla vostra famiglia. Appena ho potuto l’ho venduta. Non c’era più niente che mi legasse a quei luoghi.»
Lo sguardo di Elena cadde sulla mappa e aggiunse: «Tuttavia non seppi separarmi dai mobili e da alcune suppellettili che mi ricordavano mia madre e in particolare da quel baule che fin da piccola mi aveva sempre affascinato. È lì che ho trovato la mappa».
Rey era rimasto in silenzio tutto il tempo, per consentirle di dare spazio ai ricordi e sfogare la sua amarezza. Non era così che si era immaginato il primo incontro con la sorella, ma probabilmente non aveva fatto i conti con la sofferenza che la donna si era portata dentro per tutti quegli anni. Si sorprese ad annuire piano, come a riconoscere la sua sofferenza.
Elena allungò una mano verso il diario in marocchino che giaceva di fianco alla mappa. Sfiorò con dita tremanti i fregi in argento anneriti dai secoli e, parlando quasi a se stessa, disse: «Mi sono sempre chiesta perché mi sentissi così attratta verso questa mappa e la sua storia, ora so che in un certo senso era il richiamo del sangue».
Ray la osservò aprire le pagine ingiallite e scorrere con lo sguardo quelle lettere vergate in una grafia antica e minuta, finché Elena scrollò la testa e con un sospiro porse il diario al fratello: «La mia conoscenza dell’inglese non mi consente di comprendere a fondo un testo tanto datato».
Ray prese dalle sue mani il quadernetto e lo aprì alle prime pagine dicendo: «Parla del viaggio che il nostro trisavolo George Raymond aveva intrapreso partendo proprio dal porto di Trieste e facendo vela verso sud est. Era il 1774…»
 
Quando Ray terminò di parlare, la stanza era ormai immersa nella penombra del crepuscolo e i palazzi del centro avevano allungato le loro ombre sulla via. Gli occhi di Elena, tuttavia, ora brillavano di una nuova luce e, quando finalmente parlò, sembrava animata da una nuova energia: «Non si tratta solo di una leggenda allora!» Poi, guardando Rey alla ricerca di una conferma alla sua speranza, domandò: «Credi veramente possibile che in tutto questo tempo nessuna imbarcazione si sia imbattuta in ciò che aveva scoperto George Reymond? Voglio dire, il Mare Adriatico non è l’Oceano Pacifico…»
«I tuoi dubbi e le tue perplessità sono anche i miei», la incalzò Rey. «Se veramente il nostro trisavolo aveva individuato quell’isola che affiora e scompare a seconda della marea, allora anche la grotta, che nasconde quanto ha descritto nel diario, è accessibile solo con la bassa marea.»
«Sicuramente altri prima di noi avranno già perlustrato quegli anfratti e ciò che la grotta celava non sarà più un segreto.»  
«C’è un solo modo per scoprirlo» ribatté Ray, facendo un cenno col capo alle mappe. Infine, con un sorriso appena abbozzato, aggiunse: «Dunque, mi sono guadagnato il diritto di far parte della spedizione?»
Elena lo fissò per alcuni istanti, poi si alzò e, raccogliendo le carte aperte davanti a loro, disse: «A questo punto non ci resta che mettere al corrente il nostro capitano di quanto mi hai raccontato. Andiamo a cercare Amos».
Scesero le scale fino alla bottega, uscirono in strada e, con passo deciso, si diressero verso il porto.
Albemasia
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