Staffetta 8 - Episodio 1
Albemasia
Staffetta 8 - Episodio 2
Achillu
Staffetta 8 - Episodio 3
M. Mark 0’Knee
Era mattina presto e il caldo già si faceva sentire. Alla fermata, nel mezzo della piazzetta del paese, Antonio si asciugò la fronte col fazzoletto immacolato, ben sapendo che tutto quel sudore non era solo colpa del sole. Fin dal suo arrivo non aveva fatto altro che muovere di continuo la testa a destra e a manca, esponendosi come minimo a un bel torcicollo.
“Chissà se Agnese verrà”, pensò rinfilando il fazzoletto nel taschino. Poi guardò di nuovo a destra, dove lei sarebbe dovuta apparire, e a sinistra, dove, da un momento all’altro, avrebbe visto spuntare il muso tozzo dell’omnibus.
«Anto’, buongiorno! Meno male che ci sta la fiera di Santo Stefano, sennò chi ti vedrebbe mai?»
L’avrebbe riconosciuta fra mille, l’antipatica voce maschile che lo aveva colpito alle spalle: quando si voltò, si trovò di fronte il naso a becco e gli occhi troppo ravvicinati di suo cugino Donato. Il pensiero dell’incontro con Agnese gli aveva fatto dimenticare che Donato, per i suoi traffici, spesso andava a Santo Stefano, soprattutto ora che c’era la fiera.
Già mezzo rintronato dalla logorrea del cugino, che non si era zittito un secondo, Antonio rischiò di diventare pure strabico per guardare a sinistra l’omnibus che stava arrivando e bearsi a destra del passo molleggiato di Agnese, fasciata nello stesso abito “scostumato” della serata al cinematografo.
«Toh! Guarda là. Anche la bella tabaccaia abbiamo», disse Donato.
Antonio fece appena in tempo a emettere un grugnito, che la corriera si fermò, fra gli sbuffi delle porte che si aprivano e il chiocciare di polli e galline nelle stie sistemate insieme ai bagagli sul precario portapacchi del tetto. C’era già parecchia gente all’interno e i tre nuovi passeggeri furono costretti a dividersi per trovare posto.
Antonio lanciò uno sguardo furtivo verso Agnese, accompagnato dalla rotazione svelta dell’indice; e lei gli rispose con un altrettanto furtivo sorriso e un quasi impercettibile cenno di assenso.
Erano seduti distanti, ma un pensiero li accomunava; anzi, più che un pensiero, una speranza: che una volta a destinazione quel gran rompiscatole di Donato – ben noto, da quel punto di vista, anche ad Agnese – se ne andasse in fiera per i fatti suoi e li lasciasse godere l’una della compagnia dell’altro.
Bene o male, i circa venti minuti di tragitto ticchettarono via, con il brusio dei passeggeri che si mischiava al fracasso del vecchio motore nell’affrontare le salite e il tanfo di gasolio che penetrava all’interno del mezzo attraverso i finestrini aperti.
Quando finalmente arrivarono a Santo Stefano, la gente cominciò ad accalcarsi nel corridoio. Tutti volevano raggiungere al più presto l’uscita e recuperare i bagagli, ottenendo inevitabilmente il risultato opposto.
Agnese e Antonio, per tacita intesa, attesero ai propri posti che i passeggeri sciamassero via e si godettero la scena del povero Donato trascinato via dalla corrente di persone e quasi depositato di peso sul marciapiede. A quel punto, non vedendo più né suo cugino né la bella tabaccaia – che si erano accucciati per non farsi scorgere dall’esterno – Donato, con una sconsolata alzata di spalle, si diresse verso la colorata confusione che animava la fiera.
La speranza che li aveva accompagnati per tutto il viaggio sembrava davvero essersi avverata.
Un attimo prima che l’autista richiudesse le porte, i due si precipitarono fuori fra gli sguardi sbigottiti dei pochi passeggeri rimasti a bordo. Dopo essersi assicurati che il rompiscatole si fosse dileguato, finalmente si presero a braccetto e, passo leggero e sorriso sulle labbra, raggiunsero le prime bancarelle.
Antonio si sentiva al settimo cielo. Camminare sottobraccio a quella dea incarnata (e come incarnata…) gli pareva un sogno, tanto che a volte andava di proposito a sbattere contro qualcosa per avere la certezza di esser desto. Aveva sbrigato in fretta gli incontri con i fornitori, ché quello era lo scopo del viaggio, per poter assaporare ogni momento con Agnese, per riempirsi gli occhi di quelle curve da capogiro, per sentirsi avvolgere dal calore di sensazioni proibite che divampavano al minimo accenno di sorriso, al più piccolo ammiccamento.
Agnese, dal canto suo, era ormai certa che il suo piano stava viaggiando a gonfie vele. Ogni gesto, ogni improvviso rossore, ogni lampo di desiderio che gli si accendeva negli occhi: erano tutti chiari sintomi che Antonio era quasi cotto a puntino. La sua resa incondizionata era a un passo, e peggio per quella cornutazza di Maria.
Persi in quello stato di grazia, attraversarono la mattinata senza quasi accorgersi del tempo che passava; ma soprattutto senza accorgersi di un paio di occhi troppo ravvicinati che da almeno un’ora non li perdeva di vista e che ancora li seguiva mentre, presi da un certo languorino, si stavano avviando verso l’osteria.
Acquattato dietro il tendone a strisce di una bancarella, Donato si fregava le mani al pensiero di quanto poteva fruttargli, non solo economicamente, una tale situazione.
Staffetta 8 - Episodio 4
Susanna
Staffetta 8 - Episodio 5
Gimbo
Albemasia
Nino e Cettina facevano le boccacce dimenandosi sulle sedie di legno quando Maria, con un sonoro scappellotto, li mise immediatamente in riga.
I due picciriddi avevano ragione a spazientirsi; se ne stavano seduti da più di mezz’ora, mentre il sindaco - atteso per il discorso di inaugurazione del nuovo cinematografo - ancora non si vedeva.
Quella sera Maria, Antonio e i bambini si erano messi in ghingheri per partecipare alla serata di cui si parlava da settimane e ora il paese intero aveva gremito la sala, per assistere al primo film in programmazione.
La locandina mostrava il volto sorridente di quell’attrice famosa, la Lollo: doveva trattarsi di un film divertente e tutti quanti non vedevano l’ora che cominciasse.
Se solo il sindaco si fosse sbrigato!
Antonio, seduto di fianco a Maria, era intento a fumarsi una sigaretta e intanto faceva vagare lo sguardo sulle persone che affollavano la sala. I posti a sedere erano tutti occupati e ai ritardatari non restava che rimanere in piedi appoggiati alle pareti.
Un brusio diffuso e un movimento del sipario fecero intendere che qualcosa stava per accadere e infatti il tendone di velluto rosso si aprì e, illuminato da un cerchio di luce, apparve il sindaco con tanto di fascia tricolore.
Il mormorio lentamente scemò e il primo cittadino cominciò il suo discorso: «Signore e signori, sono veramente onorato di presenziare a questa serata», enunciò con voce nasale.
«Lungi da me volervi tediare con un lungo discorso, ma consentitemi quantomeno di esternare quanto alberga nel mio animo, che confido coincida anche con il vostro sentire».
Il pubblico, che cercava di non perdersi una parola, aveva dipinta in volto un’espressione dubbiosa. Ma come parlava quello?
Il discorso continuò in maniera ancora più fumosa, mentre i volti lucidi di sudore dei compaesani lo fissavano inespressivi.
Dopo una decina di minuti Maria, sempre più accaldata, cominciò a sventolarsi.
«Anto’, fa caldo! Ma quando comincia il film? Io non ci sto a capire niente…» e nel voltarsi verso il marito, si avvide che questi, incurante del discorso, fissava un angolo della sala. Maria seguì la traiettoria del suo sguardo, finché vide l’oggetto di tanto interesse e, con una fitta bruciante di gelosia, si accorse che si trattava di Agnese, la tabaccaia.
Alla vista di quella, fasciata in un abito scostumato che non lasciava nulla all’immaginazione, a Maria si annebbiò la vista.
Tutti gli uomini del paese avevano un debole per lei e Maria sapeva che suo marito non era da meno.
Quella svergognata!
Fulmineo, uno schiaffo partì all’indirizzo di Antonio, colpevole dell’occhiata fedifraga.
Nel silenzio attonito della platea, quello schiaffo fu mal interpretato come un inizio di applauso e nello stordimento generale dovuto tanto al caldo, quanto al soporifero discorso del primo cittadino, diede il “la” a un’ovazione che ebbe l’effetto di interrompere lo sfoggio oratorio del sindaco, il quale, lusingato da quell’inaspettato tributo, perse il filo e si ritirò dal palco, con un profondo inchino di ringraziamento.
Finalmente si spensero le luci, le immagini cominciarono a scorrere sul grande schermo e tutti quanti tirarono un sospiro di sollievo.
Tutti tranne Maria, che nel buio della sala sibilò all’orecchio di Antonio: «A casa facciamo i conti!»
Da dietro le persiane accostate, Agnese guardava la strada arroventata dal sole, la sigaretta tra le dita, mentre ripensava alle scene del film della sera prima. Quella dell’attrice sì che era una bella vita, mica come lei che era costretta in quel buco dimenticato da Dio.
Calogero era già uscito per andare al lavoro e nel giro di poco anche lei avrebbe dovuto scendere ad aprire la tabaccheria.
Sapeva di non passare inosservata in paese, con quel corpo e quelle movenze che le avevano fatto guadagnare l’appellativo di “gran femmina” da parte dei maschi e di “malafemmina” da parte delle comari. Girava voce da tempo che in passato aveva “fatto la vita” in continente, Agnese lo sapeva.
Del resto, come avrebbe potuto quella mezza tacca di Calogero metterle l’anello al dito, se no? In questo modo lui avrebbe guadagnato una bella moglie e lei una posizione rispettabile, anche se del marito doveva sopportare la pedanteria, la gelosia e, non ultimo, l’alito cattivo. E così, una volta accettato il compromesso, il passo dal marciapiede alla tabaccheria era stato breve.
Il vecchio orologio del campanile rintoccò quattro volte.
Con un sospiro Agnese lanciò il mozzicone giù in strada e si preparò.
Una volta giunta alla tabaccheria, si chinò per sollevare la saracinesca. Ancora china, si voltò a dare un’occhiata in direzione della pescheria dove Antonio, da dietro il bancone, la spogliava con gli occhi.
Non era male quel fessacchiotto, pensò lei. Da tempo le aveva messo gli occhi addosso e così, visto che le piaceva giocare al gatto col topo, in quell’istante decise che avrebbe potuto divertirsi un po’ con lui. Con buona pace di quella cornuta di Maria.
I due picciriddi avevano ragione a spazientirsi; se ne stavano seduti da più di mezz’ora, mentre il sindaco - atteso per il discorso di inaugurazione del nuovo cinematografo - ancora non si vedeva.
Quella sera Maria, Antonio e i bambini si erano messi in ghingheri per partecipare alla serata di cui si parlava da settimane e ora il paese intero aveva gremito la sala, per assistere al primo film in programmazione.
La locandina mostrava il volto sorridente di quell’attrice famosa, la Lollo: doveva trattarsi di un film divertente e tutti quanti non vedevano l’ora che cominciasse.
Se solo il sindaco si fosse sbrigato!
Antonio, seduto di fianco a Maria, era intento a fumarsi una sigaretta e intanto faceva vagare lo sguardo sulle persone che affollavano la sala. I posti a sedere erano tutti occupati e ai ritardatari non restava che rimanere in piedi appoggiati alle pareti.
Un brusio diffuso e un movimento del sipario fecero intendere che qualcosa stava per accadere e infatti il tendone di velluto rosso si aprì e, illuminato da un cerchio di luce, apparve il sindaco con tanto di fascia tricolore.
Il mormorio lentamente scemò e il primo cittadino cominciò il suo discorso: «Signore e signori, sono veramente onorato di presenziare a questa serata», enunciò con voce nasale.
«Lungi da me volervi tediare con un lungo discorso, ma consentitemi quantomeno di esternare quanto alberga nel mio animo, che confido coincida anche con il vostro sentire».
Il pubblico, che cercava di non perdersi una parola, aveva dipinta in volto un’espressione dubbiosa. Ma come parlava quello?
Il discorso continuò in maniera ancora più fumosa, mentre i volti lucidi di sudore dei compaesani lo fissavano inespressivi.
Dopo una decina di minuti Maria, sempre più accaldata, cominciò a sventolarsi.
«Anto’, fa caldo! Ma quando comincia il film? Io non ci sto a capire niente…» e nel voltarsi verso il marito, si avvide che questi, incurante del discorso, fissava un angolo della sala. Maria seguì la traiettoria del suo sguardo, finché vide l’oggetto di tanto interesse e, con una fitta bruciante di gelosia, si accorse che si trattava di Agnese, la tabaccaia.
Alla vista di quella, fasciata in un abito scostumato che non lasciava nulla all’immaginazione, a Maria si annebbiò la vista.
Tutti gli uomini del paese avevano un debole per lei e Maria sapeva che suo marito non era da meno.
Quella svergognata!
Fulmineo, uno schiaffo partì all’indirizzo di Antonio, colpevole dell’occhiata fedifraga.
Nel silenzio attonito della platea, quello schiaffo fu mal interpretato come un inizio di applauso e nello stordimento generale dovuto tanto al caldo, quanto al soporifero discorso del primo cittadino, diede il “la” a un’ovazione che ebbe l’effetto di interrompere lo sfoggio oratorio del sindaco, il quale, lusingato da quell’inaspettato tributo, perse il filo e si ritirò dal palco, con un profondo inchino di ringraziamento.
Finalmente si spensero le luci, le immagini cominciarono a scorrere sul grande schermo e tutti quanti tirarono un sospiro di sollievo.
Tutti tranne Maria, che nel buio della sala sibilò all’orecchio di Antonio: «A casa facciamo i conti!»
Da dietro le persiane accostate, Agnese guardava la strada arroventata dal sole, la sigaretta tra le dita, mentre ripensava alle scene del film della sera prima. Quella dell’attrice sì che era una bella vita, mica come lei che era costretta in quel buco dimenticato da Dio.
Calogero era già uscito per andare al lavoro e nel giro di poco anche lei avrebbe dovuto scendere ad aprire la tabaccheria.
Sapeva di non passare inosservata in paese, con quel corpo e quelle movenze che le avevano fatto guadagnare l’appellativo di “gran femmina” da parte dei maschi e di “malafemmina” da parte delle comari. Girava voce da tempo che in passato aveva “fatto la vita” in continente, Agnese lo sapeva.
Del resto, come avrebbe potuto quella mezza tacca di Calogero metterle l’anello al dito, se no? In questo modo lui avrebbe guadagnato una bella moglie e lei una posizione rispettabile, anche se del marito doveva sopportare la pedanteria, la gelosia e, non ultimo, l’alito cattivo. E così, una volta accettato il compromesso, il passo dal marciapiede alla tabaccheria era stato breve.
Il vecchio orologio del campanile rintoccò quattro volte.
Con un sospiro Agnese lanciò il mozzicone giù in strada e si preparò.
Una volta giunta alla tabaccheria, si chinò per sollevare la saracinesca. Ancora china, si voltò a dare un’occhiata in direzione della pescheria dove Antonio, da dietro il bancone, la spogliava con gli occhi.
Non era male quel fessacchiotto, pensò lei. Da tempo le aveva messo gli occhi addosso e così, visto che le piaceva giocare al gatto col topo, in quell’istante decise che avrebbe potuto divertirsi un po’ con lui. Con buona pace di quella cornuta di Maria.
Staffetta 8 - Episodio 2
Achillu
Sapendo di essere osservata, Agnese stirò il suo corpo convinta di imitare la Lollo. Lisciò bene la gonna sulle cosce. Aggiustò il corpetto, coprendo la scollatura che, guarda caso, si era aperta proprio in direzione della pescheria. Pensare che qualcuno fosse rimasto a bocca aperta nel guardare la scena le dava una soddisfazione sottile. Fece un rapido cenno in direzione dell’uomo poi, ancheggiando, entrò in tabaccheria.
Intanto Antonio cercava di concentrarsi sul lavoro, ma la mente tornava sempre a quella figura sinuosa e procace, e il sangue gli ribolliva nelle vene. Nemmeno Maria l’aveva mai turbato così tanto. Pure da fidanzati, lei era sempre stata timida e vergognosa, mai una volta che avesse scoperto una coscia per lui e che fatica anche solo toccarle il ginocchio! Invece Agnese era uno spettacolo, quasi come la Lollo del cinematografo, però molto più vicina; praticamente a portata di mano, se solo avesse potuto allungarla…
I pensieri furono interrotti dalla voce sibilante di Maria, che irruppe nel negozio con l’espressione seria. «Non dimenticare che domani io e i picciriddi andremo a trovare mia madre.»
L’uomo annuì distrattamente, cercando di non incrociare gli occhi indagatori della moglie.
Maria lo osservava con lo sguardo torvo. La gelosia le rodeva il cuore come un tarlo, ma non era una donna da piangersi addosso. «Anto’, ma mi capisti?»
«Sì,» cercò di dare un tono alla voce.
«E tu cosa dovrai fare, ah? Te lo ricordi?»
“Star lontano da quella svergognata,” ripensò alla rampogna della sera precedente, e non riuscì a trattenere un sorrisetto. Ma, nello stesso tempo, si sentiva perso per non riuscire a richiamare alla mente il reale motivo della presenza della moglie.
Lei intanto gli era arrivata fin sotto al mento con fare minaccioso. «Che, mi pigli in giro? Lo sai o no che domani ci avrai la fiera a Santo Stefano?»
Si sentì sollevato appena capì che non si riferiva ad Agnese. «Sì. È tutto pronto.»
«E tu là ci dovrai andare,» disse con piglio duro e deciso. «Intendesti? Che non venga mai a sapere che te ne sei rimasto in paese con quella! Perché i muri ci hanno le orecchie e pure gli occhi. Chiaro il concetto? Lei non si deve permettere di rovinare la mia famiglia.»
Maria era già tornata a casa, e la sfuriata aveva lasciato ad Antonio solo una gran voglia di fumare. Esaurito ormai il pescato dal negozio, si recò senza indugi in tabaccheria, più con il desiderio di rifarsi gli occhi che per altri motivi ritenuti irraggiungibili.
Agnese aveva atteso e studiato il momento per tutta la mattina. Sorrise e si sporse, appoggiando i gomiti sul bancone; osservò con soddisfazione lo sguardo dell’uomo infilarsi diritto sotto la sua camicetta.
Esauriti i convenevoli, tirò fuori una voce che voleva essere suadente come quella della Lollo. «Gradite il solito?»
Antonio deglutì con fatica. «Sì, grazie.»
Agnese impacchettò, con abilità consumata, cinque Nazionali sfuse e altrettante caramelle al mentolo. «Ho sentito dire che domani andrete alla fiera di Santo Stefano.»
«Sì,» mormorò, pensando quanto fosse vero che i muri del paese hanno occhi e orecchie.
Lei sfoderò un sorriso malizioso. «Tutto solo? Non sentirete il desiderio di avere compagnia?»
Lui ciondolò la testa, sconsolato. «Eh, ci avete ragione. Ma non ci ho proprio amicizie lassù.»
La donna si accese una sigaretta, tanto in quel momento non c’era nessuno intorno al negozio. «Lo sapete che domani la tabaccheria l’attenderà Calogero? Penso proprio che prenderò l’omnibus, ma me la consigliate la fiera di Santo Stefano? Non ci va mai nessuno del paese e non mi raccontano mai niente.»
Il cuore di Antonio batté più forte. Lo credeva impossibile, eppure sembrava proprio che si prospettasse un incontro lontano dagli occhi indiscreti. Era così agitato che quasi gli scappò una parolaccia. «Mi… Certo che ve la consiglio. Scendono perfino delle bancarelle dal capoluogo, con delle cose assai belle e buone!»
Lei sbuffò una nuvola di fumo in direzione dell’uomo. «Allora potrò contare su di voi come accompagnatore? Capite che una donna sola, in un luogo estraneo, ha bisogno di qualcuno vicino per sentirsi sicura. Soprattutto se…» Si accarezzò i fianchi sinuosi, ancheggiando come in una scena del film.
Lui sentì crescere il calore fuori e dentro di sé. Completò la frase a mente: “Soprattutto se è una gran femmina come siete voi!” Annuì senza distogliere lo sguardo. «Ho inteso.»
Un sorriso lento si fece strada sul volto di Agnese. «Vi attenderò alla fermata dell’omnibus.» Poi avvicinò la mano a quella di Antonio. «Tenete la sigaretta, che arriva qualcuno.»
La mente dell’uomo esplose di felicità. Le fece l’occhiolino e, con un lieve tocco clandestino, si prese il dono inatteso. Aspirò dal filtro inumidito, degustando quella sensazione proibita più del fumo caldo che scendeva nei polmoni. «Vi ringrazio, donna Agnese.»
Raccolse il pacchetto e si salutarono. Si sentì raggelare il sangue quando lei disse: «A domani.» Ma poi si rilassò, resosi conto che intorno alla tabaccheria non c’era anima viva.
Intanto Antonio cercava di concentrarsi sul lavoro, ma la mente tornava sempre a quella figura sinuosa e procace, e il sangue gli ribolliva nelle vene. Nemmeno Maria l’aveva mai turbato così tanto. Pure da fidanzati, lei era sempre stata timida e vergognosa, mai una volta che avesse scoperto una coscia per lui e che fatica anche solo toccarle il ginocchio! Invece Agnese era uno spettacolo, quasi come la Lollo del cinematografo, però molto più vicina; praticamente a portata di mano, se solo avesse potuto allungarla…
I pensieri furono interrotti dalla voce sibilante di Maria, che irruppe nel negozio con l’espressione seria. «Non dimenticare che domani io e i picciriddi andremo a trovare mia madre.»
L’uomo annuì distrattamente, cercando di non incrociare gli occhi indagatori della moglie.
Maria lo osservava con lo sguardo torvo. La gelosia le rodeva il cuore come un tarlo, ma non era una donna da piangersi addosso. «Anto’, ma mi capisti?»
«Sì,» cercò di dare un tono alla voce.
«E tu cosa dovrai fare, ah? Te lo ricordi?»
“Star lontano da quella svergognata,” ripensò alla rampogna della sera precedente, e non riuscì a trattenere un sorrisetto. Ma, nello stesso tempo, si sentiva perso per non riuscire a richiamare alla mente il reale motivo della presenza della moglie.
Lei intanto gli era arrivata fin sotto al mento con fare minaccioso. «Che, mi pigli in giro? Lo sai o no che domani ci avrai la fiera a Santo Stefano?»
Si sentì sollevato appena capì che non si riferiva ad Agnese. «Sì. È tutto pronto.»
«E tu là ci dovrai andare,» disse con piglio duro e deciso. «Intendesti? Che non venga mai a sapere che te ne sei rimasto in paese con quella! Perché i muri ci hanno le orecchie e pure gli occhi. Chiaro il concetto? Lei non si deve permettere di rovinare la mia famiglia.»
Maria era già tornata a casa, e la sfuriata aveva lasciato ad Antonio solo una gran voglia di fumare. Esaurito ormai il pescato dal negozio, si recò senza indugi in tabaccheria, più con il desiderio di rifarsi gli occhi che per altri motivi ritenuti irraggiungibili.
Agnese aveva atteso e studiato il momento per tutta la mattina. Sorrise e si sporse, appoggiando i gomiti sul bancone; osservò con soddisfazione lo sguardo dell’uomo infilarsi diritto sotto la sua camicetta.
Esauriti i convenevoli, tirò fuori una voce che voleva essere suadente come quella della Lollo. «Gradite il solito?»
Antonio deglutì con fatica. «Sì, grazie.»
Agnese impacchettò, con abilità consumata, cinque Nazionali sfuse e altrettante caramelle al mentolo. «Ho sentito dire che domani andrete alla fiera di Santo Stefano.»
«Sì,» mormorò, pensando quanto fosse vero che i muri del paese hanno occhi e orecchie.
Lei sfoderò un sorriso malizioso. «Tutto solo? Non sentirete il desiderio di avere compagnia?»
Lui ciondolò la testa, sconsolato. «Eh, ci avete ragione. Ma non ci ho proprio amicizie lassù.»
La donna si accese una sigaretta, tanto in quel momento non c’era nessuno intorno al negozio. «Lo sapete che domani la tabaccheria l’attenderà Calogero? Penso proprio che prenderò l’omnibus, ma me la consigliate la fiera di Santo Stefano? Non ci va mai nessuno del paese e non mi raccontano mai niente.»
Il cuore di Antonio batté più forte. Lo credeva impossibile, eppure sembrava proprio che si prospettasse un incontro lontano dagli occhi indiscreti. Era così agitato che quasi gli scappò una parolaccia. «Mi… Certo che ve la consiglio. Scendono perfino delle bancarelle dal capoluogo, con delle cose assai belle e buone!»
Lei sbuffò una nuvola di fumo in direzione dell’uomo. «Allora potrò contare su di voi come accompagnatore? Capite che una donna sola, in un luogo estraneo, ha bisogno di qualcuno vicino per sentirsi sicura. Soprattutto se…» Si accarezzò i fianchi sinuosi, ancheggiando come in una scena del film.
Lui sentì crescere il calore fuori e dentro di sé. Completò la frase a mente: “Soprattutto se è una gran femmina come siete voi!” Annuì senza distogliere lo sguardo. «Ho inteso.»
Un sorriso lento si fece strada sul volto di Agnese. «Vi attenderò alla fermata dell’omnibus.» Poi avvicinò la mano a quella di Antonio. «Tenete la sigaretta, che arriva qualcuno.»
La mente dell’uomo esplose di felicità. Le fece l’occhiolino e, con un lieve tocco clandestino, si prese il dono inatteso. Aspirò dal filtro inumidito, degustando quella sensazione proibita più del fumo caldo che scendeva nei polmoni. «Vi ringrazio, donna Agnese.»
Raccolse il pacchetto e si salutarono. Si sentì raggelare il sangue quando lei disse: «A domani.» Ma poi si rilassò, resosi conto che intorno alla tabaccheria non c’era anima viva.
Staffetta 8 - Episodio 3
M. Mark 0’Knee
Era mattina presto e il caldo già si faceva sentire. Alla fermata, nel mezzo della piazzetta del paese, Antonio si asciugò la fronte col fazzoletto immacolato, ben sapendo che tutto quel sudore non era solo colpa del sole. Fin dal suo arrivo non aveva fatto altro che muovere di continuo la testa a destra e a manca, esponendosi come minimo a un bel torcicollo.
“Chissà se Agnese verrà”, pensò rinfilando il fazzoletto nel taschino. Poi guardò di nuovo a destra, dove lei sarebbe dovuta apparire, e a sinistra, dove, da un momento all’altro, avrebbe visto spuntare il muso tozzo dell’omnibus.
«Anto’, buongiorno! Meno male che ci sta la fiera di Santo Stefano, sennò chi ti vedrebbe mai?»
L’avrebbe riconosciuta fra mille, l’antipatica voce maschile che lo aveva colpito alle spalle: quando si voltò, si trovò di fronte il naso a becco e gli occhi troppo ravvicinati di suo cugino Donato. Il pensiero dell’incontro con Agnese gli aveva fatto dimenticare che Donato, per i suoi traffici, spesso andava a Santo Stefano, soprattutto ora che c’era la fiera.
Già mezzo rintronato dalla logorrea del cugino, che non si era zittito un secondo, Antonio rischiò di diventare pure strabico per guardare a sinistra l’omnibus che stava arrivando e bearsi a destra del passo molleggiato di Agnese, fasciata nello stesso abito “scostumato” della serata al cinematografo.
«Toh! Guarda là. Anche la bella tabaccaia abbiamo», disse Donato.
Antonio fece appena in tempo a emettere un grugnito, che la corriera si fermò, fra gli sbuffi delle porte che si aprivano e il chiocciare di polli e galline nelle stie sistemate insieme ai bagagli sul precario portapacchi del tetto. C’era già parecchia gente all’interno e i tre nuovi passeggeri furono costretti a dividersi per trovare posto.
Antonio lanciò uno sguardo furtivo verso Agnese, accompagnato dalla rotazione svelta dell’indice; e lei gli rispose con un altrettanto furtivo sorriso e un quasi impercettibile cenno di assenso.
Erano seduti distanti, ma un pensiero li accomunava; anzi, più che un pensiero, una speranza: che una volta a destinazione quel gran rompiscatole di Donato – ben noto, da quel punto di vista, anche ad Agnese – se ne andasse in fiera per i fatti suoi e li lasciasse godere l’una della compagnia dell’altro.
Bene o male, i circa venti minuti di tragitto ticchettarono via, con il brusio dei passeggeri che si mischiava al fracasso del vecchio motore nell’affrontare le salite e il tanfo di gasolio che penetrava all’interno del mezzo attraverso i finestrini aperti.
Quando finalmente arrivarono a Santo Stefano, la gente cominciò ad accalcarsi nel corridoio. Tutti volevano raggiungere al più presto l’uscita e recuperare i bagagli, ottenendo inevitabilmente il risultato opposto.
Agnese e Antonio, per tacita intesa, attesero ai propri posti che i passeggeri sciamassero via e si godettero la scena del povero Donato trascinato via dalla corrente di persone e quasi depositato di peso sul marciapiede. A quel punto, non vedendo più né suo cugino né la bella tabaccaia – che si erano accucciati per non farsi scorgere dall’esterno – Donato, con una sconsolata alzata di spalle, si diresse verso la colorata confusione che animava la fiera.
La speranza che li aveva accompagnati per tutto il viaggio sembrava davvero essersi avverata.
Un attimo prima che l’autista richiudesse le porte, i due si precipitarono fuori fra gli sguardi sbigottiti dei pochi passeggeri rimasti a bordo. Dopo essersi assicurati che il rompiscatole si fosse dileguato, finalmente si presero a braccetto e, passo leggero e sorriso sulle labbra, raggiunsero le prime bancarelle.
Antonio si sentiva al settimo cielo. Camminare sottobraccio a quella dea incarnata (e come incarnata…) gli pareva un sogno, tanto che a volte andava di proposito a sbattere contro qualcosa per avere la certezza di esser desto. Aveva sbrigato in fretta gli incontri con i fornitori, ché quello era lo scopo del viaggio, per poter assaporare ogni momento con Agnese, per riempirsi gli occhi di quelle curve da capogiro, per sentirsi avvolgere dal calore di sensazioni proibite che divampavano al minimo accenno di sorriso, al più piccolo ammiccamento.
Agnese, dal canto suo, era ormai certa che il suo piano stava viaggiando a gonfie vele. Ogni gesto, ogni improvviso rossore, ogni lampo di desiderio che gli si accendeva negli occhi: erano tutti chiari sintomi che Antonio era quasi cotto a puntino. La sua resa incondizionata era a un passo, e peggio per quella cornutazza di Maria.
Persi in quello stato di grazia, attraversarono la mattinata senza quasi accorgersi del tempo che passava; ma soprattutto senza accorgersi di un paio di occhi troppo ravvicinati che da almeno un’ora non li perdeva di vista e che ancora li seguiva mentre, presi da un certo languorino, si stavano avviando verso l’osteria.
Acquattato dietro il tendone a strisce di una bancarella, Donato si fregava le mani al pensiero di quanto poteva fruttargli, non solo economicamente, una tale situazione.
Staffetta 8 - Episodio 4
Susanna
Ma quel fantasticare quasi gli fece perdere di vista i due, che avevano preso una stradina deserta. Cercò di essere silenzioso, ma fatti pochi passi, li perse del tutto.
Mentre si girava per tornare indietro, magari gli era sfuggito qualche androne buio, un calcio al sedere lo mandò lungo disteso:
«Ah il cuggino curioso, che i fatti suoi non se li fa! E portati a casa questo!»
Donato da qualche parte trovò il fiato per chiedere aiuto, ma prima che qualcuno avvisasse i carabinieri – perché chissà che storia c’era sotto – calci e ceffoni arrivarono a segno. Pure Agnese, che con Donato aveva un conticino in sospeso, anzi il conto in sospeso era di Donato, si prese la sua soddisfazione: un solo calcio, nel punto giusto, lo silenziò.
Ma quella mattina Maria non era tranquilla. E nemmeno Calogero.
Maria confidò alla sorella di aver incaricato Donato di tenere d’occhio il marito.
«Donà? Miii, stupida fosti! Quello manco l’acqua che beve tiene in bocca! A quest’ora? A quest’ora Antò già tutto sa. Prendi la mia bici e vai alla fiera, un’altra corsa di corriera ci sta.»
Pure Calogero si era fatto assalire dai dubbi: lasciar sola Agnese alla fiera? Con tutti quei maschi a prendere le misure alla donna sua? Magari pure Donato, che la doveva spiare.
Chiuse in fretta e furia la tabaccheria, che tanto era ora di messa, e partì con la seicento nuova di zecca e di cambiali verso Santo Stefano.
Neanche il diavolo era andato a messa: il passaggio a livello del Boscaccio era chiuso e, come al solito, le sbarre prima di una mezz’ora non si sarebbero alzate, per qualche misteriosa ragione ferroviaria.
Davanti alle sbarre si fermò pure Maria, che mai si sarebbe azzardata a passarci sotto: capace che il treno passasse proprio in quel momento e allora Antonio… vedovo con ricambio già pronto!
Calogero scese e si mise sotto l’ombra di alcune robinie. I due si salutarono freddamente, nonostante il caldo del sole di quasi mezzogiorno.
«Anche voi alla fiera, Calò?»
«Mi scordai di una commissione! E voi, donna Maria? In bicicletta con ‘sto caldo?»
«Pure io mi scordai di dire a mio marito di prendere un gioco per Cettina, che fa gli anni domani.»
Silenzio. Silenzio e cicale.
«Donna Maria, vi fa dispiacere se mi tolgo la camicia, che non la voglio sudare?»
«Fate pure, mica siete il solo che vidi scamiciato.»
Senza farsi notare Maria un’occhiata a Calogero la diede: “Però! Li tenete ben nascosti li muscoli!»
«Volete profittare, donna Maria?» chiese Calogero, intendendo l’ombra delle piante.
«Grazie assai, profitto volentieri.»
E approfittò, anzi, profittarono entrambi, e non solo delle ombre! Nella foga del momento inaspettato ci scapparono anche delle confidenze: gelosia e sospetti.
Il treno passò e pure un vecchio su un carretto tirato da un mulo e che si fece gli affari suoi, pure quando la seicento, con una bicicletta legata sul tettuccio, lo sorpassò strombazzando.
Arrivati a Santo Stefano, Maria e Calogero furono bloccati da un assembramento silenzioso davanti alla caserma dei Carabinieri: dalle finestre uscivano strilli di Agnese, cui seguivano proteste doloranti di Donato e maledizioni di Antonio.
Il maresciallo stava pensando di sparare un colpo in aria per calmare gli animi, ma ci pensò Maria, chiudendo la porta dell’ufficio. Gran silenzio, dentro e fuori, giusto il tempo per i cinque di riprendere fiato.
Ci vollero due ore buone per arrivare alla fine del verbale, con un appuntato, che già col dialetto non aveva grande dimestichezza, per non parlare della macchina da scrivere, sull’orlo di una crisi di nervi.
Alla fine si arrivò al dunque: «Donato, volete denunciare?»
Lo sfregare nascosto di pollice e indice di Antonio e Calogero sortirono effetto:
«Marescià, volete che facciamo ricchi gli avvocati, che ci siamo solo capiti male?»
«Capiti male? E le botte?»
«Marescià,» intervenne Antonio «io lo scambiai per un figuro che già sulla corriera aveva importunato Agn…la signora Agnese e siccome lei mi chiese di accompagnarla…»
«… per sicurezza, marescià, indifesa mi sentivo.»
«Vedete anche voi, uno scambio ci fu!»
Il maresciallo guardò Maria e Calogero:
«Mio marito gentilomo è! E mai avi pensieri loschi, vero Antò?»
Calogero si sentì in dovere di approvare:
«Siamo stati fortunati, vero Agnese, a incontrare una persona così?»
Poco ci mancò che all’uscita dalla caserma la gente applaudisse: la storia fece il giro delle bancarelle, salì sulla corriera e arrivò al paese, dove nessuno mise in dubbio un sola parola. E nessuno ovviamente ci credette, ma tutti ci credettero.
È sempre la soluzione migliore, nel caso… si sa, le cose capitano… insomma se ne parlò ma sottovoce, in attesa di vedere come sarebbe andata a finire.
La domenica dopo i quattro si ritrovarono a messa, sullo stesso banco: grandi sorrisi, complimenti per gli abiti, un regalino ai bambini. Da amici si divisero la spesa per una guantiera di paste per Donato:
«Fetenti, cornuti… tutte paste con i croccanti, che non posso masticà!»
Staffetta 8 - Episodio 5
Gimbo
I quattro, insieme ai bambini, si ritrovarono davanti a casa di Maria e Antonio. Seduti intorno a un tavolo, condividevano pane, formaggio e frutta fresca, scambiandosi battute divertite sullo scherzo giocato a Donato.
Rosaria, la bottegaia di via Roma, passò con il marito fingendo maldestramente una casualità. Era nota per non farsi mai i fatti propri e lanciò una battuta che si perse in una risata forzata: «A Santo Stefano quanta agitazione ci fu, ah? Certo che aveste da fare…»
Maria e Agnese si scambiarono un’occhiata, ammiccando.
«Tutto risolto, non vi preoccupate!» rispose Maria con un sorriso che sembrava voler chiudere ogni discorso.
«E voi, don Anto’, non dite niente?» insinuò Tano, il marito della bottegaia.
«Tutto a posto,» disse Antonio, sorridendo sotto i baffi. Poi indicò il tavolo. «Volete favorire? Abbiamo pure le sarde in dispensa, le prendo?»
Rosaria e Tano trattennero un moto di disgusto. Rendendosi conto di non aver messo in imbarazzo la compagnia, salutarono in fretta e si allontanarono.
I quattro si scambiarono sguardi complici mentre i bambini, felici e spensierati, giocavano a rincorrersi sul selciato.
Nei giorni successivi iniziarono a circolare voci su strani movimenti tra la casa del pescivendolo e quella del marito della tabaccaia. Inoltre i picciriddi avevano preso confidenza con Calogero al punto da chiamarlo “zio”, e ciò alimentava ulteriori chiacchiere, considerando che non c’era parentela tra le famiglie. Ma le voci, come spesso accade, si diffondevano in fretta come fuoco di paglia e altrettanto velocemente erano destinate a spegnersi. O quasi. Donato, sentendosi messo da parte, decise di gettare benzina sul fuoco.
Con finta innocenza alludeva in modo sottile: «Antonio fu visto a casa di Agnese, no?»
Con tono viscido, nascondendo a malapena un ghigno soddisfatto, aggiungeva: «E Calogero? Non lo vedeste voi da Maria? E i bambini? Ah, sì, erano dai parenti, non c’è nulla di male…»
Le voci si fecero così insistenti che persino il parroco si sentì in dovere di intervenire durante l’omelia domenicale: «L’onore delle famiglie è sacro, cari fratelli. Non possiamo permettere che il pettegolezzo diventi giudice del nostro prossimo. Ma, allo stesso tempo, per non indurre le malelingue in tentazione, è dovere di ogni buon cristiano comportarsi come il Signore comanda!»
Lanciò un’occhiata significativa ai quattro seduti in prima fila, provocando un mormorio tra i fedeli.
La situazione era diventata insostenibile. Donato non accennava a smettere, così i quattro decisero di dargli una lezione.
Un pomeriggio Agnese attese Donato in tabaccheria. Lasciò che si avvicinasse e, con sguardo seducente, disse: «So che siete voi a mettere in giro certe voci. Non fate finta di nulla.»
Donato arrossì. «Io? No, niente dissi! La gente parla, lo sapete come sono fatti in paese.»
Agnese sorrise con malizia e si sporse sul bancone, sicura di attirare l’attenzione. «Sapete cosa penso? Dovremmo parlarne di persona. Che dite: stasera, nel fienile di don Vincenzo, a mezzanotte?»
Donato spalancò gli occhi. Aveva sempre avuto un debole per l’avvenente tabaccaia e l’idea di un incontro segreto lo intrigava troppo. Cercò di sembrare indifferente. «Ah! E… perché mai nel fienile?»
«Be’, solo noi due, senza orecchie e occhi indiscreti. Magari vi svelo qualche mio… segreto interessante,» disse con atteggiamenti da diva. «Ma solo se mi promettete che poi la bocca ve la cucite, intendeste?»
L’uomo lì per lì restò incredulo e senza parole, ma alla fine accettò l’offerta.
Poco prima della mezzanotte Donato sgattaiolò fuori casa, assicurandosi di non essere seguito, e si diresse al fienile. La Luna rischiarava appena i sentieri e il silenzio era rotto solo dal frusciare del vento. Il cuore gli batteva forte per l’eccitazione.
Una volta entrato, si aggirò tra i mucchi di fieno cercando Agnese. Era buio pesto e non vedeva a un palmo dal naso. Finalmente sentì un movimento. “È lei,” pensò, il cuore che gli martellava nel petto.
Si avvicinò alla figura nel buio, allungando le mani. Ma, invece di Agnese, trovò il muso umido dell’asina di don Vincenzo. Rimase paralizzato per un attimo, finché una risata soffocata proveniente dall’esterno lo riportò alla realtà. Si accesero delle torce e vide le sagome dei quattro che osservavano la scena e ridevano senza sosta.
La mattina dopo, tutto il paese parlava di Donato e della sua disavventura. L’uomo cercò di giustificarsi dicendo di essere andato al fienile solo per controllare il bestiame, ma nessuno gli credette.
Maria, Antonio, Agnese e Calogero continuarono a vivere le loro vite, ma l’ambiguità della loro situazione era ormai alla luce del sole e continuava ad alimentare le malelingue. Per questo decisero di trasferirsi tutti insieme a Santo Stefano.
Calogero si stabilì con Maria, libero di fare da “zio” ai bambini senza che nessuno sollevasse più dubbi. Antonio, invece, andò a stare con Agnese, la donna che aveva sempre desiderato, e nessuno dubitò mai che quella fosse la soluzione più giusta per tutti.
Rosaria, la bottegaia di via Roma, passò con il marito fingendo maldestramente una casualità. Era nota per non farsi mai i fatti propri e lanciò una battuta che si perse in una risata forzata: «A Santo Stefano quanta agitazione ci fu, ah? Certo che aveste da fare…»
Maria e Agnese si scambiarono un’occhiata, ammiccando.
«Tutto risolto, non vi preoccupate!» rispose Maria con un sorriso che sembrava voler chiudere ogni discorso.
«E voi, don Anto’, non dite niente?» insinuò Tano, il marito della bottegaia.
«Tutto a posto,» disse Antonio, sorridendo sotto i baffi. Poi indicò il tavolo. «Volete favorire? Abbiamo pure le sarde in dispensa, le prendo?»
Rosaria e Tano trattennero un moto di disgusto. Rendendosi conto di non aver messo in imbarazzo la compagnia, salutarono in fretta e si allontanarono.
I quattro si scambiarono sguardi complici mentre i bambini, felici e spensierati, giocavano a rincorrersi sul selciato.
Nei giorni successivi iniziarono a circolare voci su strani movimenti tra la casa del pescivendolo e quella del marito della tabaccaia. Inoltre i picciriddi avevano preso confidenza con Calogero al punto da chiamarlo “zio”, e ciò alimentava ulteriori chiacchiere, considerando che non c’era parentela tra le famiglie. Ma le voci, come spesso accade, si diffondevano in fretta come fuoco di paglia e altrettanto velocemente erano destinate a spegnersi. O quasi. Donato, sentendosi messo da parte, decise di gettare benzina sul fuoco.
Con finta innocenza alludeva in modo sottile: «Antonio fu visto a casa di Agnese, no?»
Con tono viscido, nascondendo a malapena un ghigno soddisfatto, aggiungeva: «E Calogero? Non lo vedeste voi da Maria? E i bambini? Ah, sì, erano dai parenti, non c’è nulla di male…»
Le voci si fecero così insistenti che persino il parroco si sentì in dovere di intervenire durante l’omelia domenicale: «L’onore delle famiglie è sacro, cari fratelli. Non possiamo permettere che il pettegolezzo diventi giudice del nostro prossimo. Ma, allo stesso tempo, per non indurre le malelingue in tentazione, è dovere di ogni buon cristiano comportarsi come il Signore comanda!»
Lanciò un’occhiata significativa ai quattro seduti in prima fila, provocando un mormorio tra i fedeli.
La situazione era diventata insostenibile. Donato non accennava a smettere, così i quattro decisero di dargli una lezione.
Un pomeriggio Agnese attese Donato in tabaccheria. Lasciò che si avvicinasse e, con sguardo seducente, disse: «So che siete voi a mettere in giro certe voci. Non fate finta di nulla.»
Donato arrossì. «Io? No, niente dissi! La gente parla, lo sapete come sono fatti in paese.»
Agnese sorrise con malizia e si sporse sul bancone, sicura di attirare l’attenzione. «Sapete cosa penso? Dovremmo parlarne di persona. Che dite: stasera, nel fienile di don Vincenzo, a mezzanotte?»
Donato spalancò gli occhi. Aveva sempre avuto un debole per l’avvenente tabaccaia e l’idea di un incontro segreto lo intrigava troppo. Cercò di sembrare indifferente. «Ah! E… perché mai nel fienile?»
«Be’, solo noi due, senza orecchie e occhi indiscreti. Magari vi svelo qualche mio… segreto interessante,» disse con atteggiamenti da diva. «Ma solo se mi promettete che poi la bocca ve la cucite, intendeste?»
L’uomo lì per lì restò incredulo e senza parole, ma alla fine accettò l’offerta.
Poco prima della mezzanotte Donato sgattaiolò fuori casa, assicurandosi di non essere seguito, e si diresse al fienile. La Luna rischiarava appena i sentieri e il silenzio era rotto solo dal frusciare del vento. Il cuore gli batteva forte per l’eccitazione.
Una volta entrato, si aggirò tra i mucchi di fieno cercando Agnese. Era buio pesto e non vedeva a un palmo dal naso. Finalmente sentì un movimento. “È lei,” pensò, il cuore che gli martellava nel petto.
Si avvicinò alla figura nel buio, allungando le mani. Ma, invece di Agnese, trovò il muso umido dell’asina di don Vincenzo. Rimase paralizzato per un attimo, finché una risata soffocata proveniente dall’esterno lo riportò alla realtà. Si accesero delle torce e vide le sagome dei quattro che osservavano la scena e ridevano senza sosta.
La mattina dopo, tutto il paese parlava di Donato e della sua disavventura. L’uomo cercò di giustificarsi dicendo di essere andato al fienile solo per controllare il bestiame, ma nessuno gli credette.
Maria, Antonio, Agnese e Calogero continuarono a vivere le loro vite, ma l’ambiguità della loro situazione era ormai alla luce del sole e continuava ad alimentare le malelingue. Per questo decisero di trasferirsi tutti insieme a Santo Stefano.
Calogero si stabilì con Maria, libero di fare da “zio” ai bambini senza che nessuno sollevasse più dubbi. Antonio, invece, andò a stare con Agnese, la donna che aveva sempre desiderato, e nessuno dubitò mai che quella fosse la soluzione più giusta per tutti.