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La rotta del tè

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Messaggio Da Different Staff Mar Ott 08, 2024 6:51 pm

Mi chiamo Robert Douglass e sono sposato da meno di un anno con Sarah, una donna che amo profondamente e che tra poco mi darà un erede.
Senonché sono stato chiamato dalla Compagnia per ricoprire l’incarico di primo ufficiale sulla nave “Serica”, un clipper usato per il commercio con le Indie orientali.
Ho accettato a malincuore: amo il mio lavoro e lo svolgo con passione, ma avrei preferito essere accanto a mia moglie in questi mesi così importanti.
Il Capitano Waterman, che comanda la nave, è un uomo burbero ma estremamente competente e di grande esperienza.
Levata l’ancora, ci dirigeremo verso le Canarie per il consueto rifornimento di acqua, verdure e vino, per poi affidarci agli alisei e volgere la prua verso il Capo di Buona Speranza.
In questo modo il Capitano eviterà le bonacce equatoriali e le correnti contrarie della costa africana, veleggiando per tutto il tragitto con venti favorevoli.
Giungiamo a Malacca in tempi utili per completare il carico e ripartire prima degli altri velieri; è importante arrivare in patria per primi: spunteremo il prezzo più alto nella vendita del tè e riceveremo un premio dalla compagnia.
In pochi giorni siamo stati pronti per la partenza e all’alba il Serica prende il largo, accompagnato fuori dal porto dal nero rimorchiatore; vengono alate le scotte, issati i parrochetti, le vele di gabbia si gonfiano al vento e la nave incomincia a scivolare sulle onde, sospinta da una leggera brezza.
Ben presto prendiamo un buon monsone che fa correre il veliero e accumuliamo miglia verso la latitudine sud; ci avviciniamo al capo delle tempeste.
Davanti al soffio potente dei colpi di vento la nave, con la velatura ridotta, procede a zig-zag cercando un passaggio attraverso l’invisibile violenza dei venti, cade in bui avvallamenti per risalire faticosamente sulle biancheggianti creste, con i suoi fragili alberi che oscillano paurosamente protesi verso il cielo tempestoso.
Sul ponte di comando, osservo gli uomini del turno di guardia che cercano di evitare gli spruzzi gelidi osservando le alte onde che spazzano la nave con furia implacabile; sostituisco i timonieri e li vedo scendere esausti, battendo forte i piedi e soffiandosi sulle mani dalle dita intirizzite. L’acqua batte forte contro le porte del castello di prora e gli uomini arrivano inzuppati alle loro cuccette già bagnate.
Il capitano Waterman scruta il tempo e la nave insieme ai suoi ufficiali di turno e fa spiegare le vele di gabbia e la vela di trinchetto. La nave, prendendo velocità, non si solleva più sulle onde ma le perfora, aprendosi un varco e affondando la prua; i ponti vengono spazzati da un’estremità all’altra.
Il nostromo, con aria irritata, fa notare: - Ogni dannata cosa su questa nave finirà in mare, oggi!
Ne prendo atto e, mentre gli uomini vengono trascinati dall’acqua per il ponte, frattanto che cercano di riparare i danni, chiedo al capitano se non sia il caso di ridurre la velatura.
Gli uomini accorrono appena in tempo: la nave subisce una violenta raffica di vento ma, alleggerita dalle vele, riesce a portarsi sopravvento, mentre una nera nube la sovrasta.

Una violenta grandinata ci colpisce, picchia sul sartiame, rimbalza a manciate dai pennoni ricadendo sul ponte già ingombro; cala la notte, ma nessuno riesce a dormire: tremendi tonfi fanno tremare la nave mentre rolla colpita dalle onde, si solleva rapidamente per poi precipitare nel vuoto, di tanto in tanto si inclina sul fianco rimanendo così per interminabili secondi. Gli uomini giacciono sulle cuccette con gli occhi spalancati; alcuni spostano le gambe come per essere pronti a saltare giù, altri immobili si afferrano saldamente al bordo della cuccetta.
Io e il secondo ufficiale ci rivolgiamo al capitano Waterman, che non si è mosso per tutta la notte dal ponte di comando, per esortarlo a scendere in cabina.
- È stato fatto tutto il possibile, si riposi un po’, signore!
- Abbia fiducia in noi.
Il capitano ci guarda impassibile con gli occhi pieni di sonno e, scuotendo la testa, dice:
- Non vi preoccupate per me, devo portare in salvo la mia nave.
Va comunque a sedersi sull’osteriggio per riposarsi.
A poppa, sottovento, gli uomini di guardia stanno aggrappati alle sartie di mezzana incoraggiandosi a vicenda.
L’uomo al timone lancia un urlo:
- Attenti a voi!
Un enorme cavallone spumeggiante si avventa contro la nave.
Non ci resta altro da fare che avvinghiarsi alle sartie e trattenere il respiro.
La nave, abilmente pilotata, si innalza sull’onda raggiungendo la cresta, ma in men che non si dica viene investita da una forte raffica di vento e un altro cavallone le piomba addosso inondando i ponti e provocando un potente rollio.
Il capitano Waterman balza in piedi e cade; io gli rotolo addosso gridando: -Si risolleverà!
Gli uomini rimangono appesi alla poppa inclinata, vedono la nave coricarsi nell’acqua e urlano: - AFFONDA!
A prua, le porte del castello di prora si spalancano e si vedono i marinai saltar fuori uno dopo l’altro cadendo sulle mani e sulle ginocchia lungo la coperta inclinata.
Io mi alzo lentamente e cerco il capitano: ha sbattuto la testa e perso i sensi, tocca a me prendere il controllo della situazione; vedo il carpentiere in buona posizione e grido: - Gli alberi, tagliali! Tagliali!
Il carpentiere lascia la presa, rotola piano piano e incomincia a strisciare verso la cabina deposito dove è tenuta una grossa scure per situazioni di emergenza.
Riesce ad afferrare la scure, ma in quel momento la scotta della vela di gabbia si spezza, la cima del cavo sferraglia in alto mentre la vela sbatte con uno scossone e si sfalda in un fascio di striscioline sventolanti.
Il capitano Waterman si rialza a fatica e si mette ritto con la faccia al ponte, dove i suoi marinai oscillano attaccati ai cavi; ha la faccia paonazza e muove le labbra, ma nessuno riesce a sentire che cosa voglia dire.

Stanotte non ho chiuso occhio. Troppi strani presentimenti mi turbano.
Ormai sta schiarendo e non ho dormito per niente.
- Che c’è, Mary? Stai piangendo?
Certo che sto piangendo.
- Alzati, Henry. Nostro figlio è morto. Dobbiamo correre a Londra e prenderci cura di Sarah e di nostro nipote!
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Messaggio Da M. Mark o'Knee Ven Ott 11, 2024 4:14 pm

Impossibile non fare i complimenti all'autore per la profonda conoscenza dei termini concernenti la navigazione a vela. Ma, a parte questo sfoggio marinaresco, il racconto va poco oltre la cronaca di un naufragio, per di più svolta in prima persona dall'ufficiale in seconda: è forse uno dei superstiti e narra a qualcuno la sua storia? Molto poco probabile, anche perché verrebbe meno il requisito della morte del protagonista. Si potrebbe supporre il ritrovamento di un diario di bordo, ma anche questa ipotesi non è convincente, vista la descrizione della tempesta.
Anche i personaggi non vanno al di là di semplici bozzetti, di stereotipi: il capitano tutto di un pezzo; i capaci timonieri; i bravi marinai ecc. Neppure del narratore sappiamo qualcosa di più del fatto che è sposato e che sua moglie è incinta. Neppure in un frangente terrificante come la tempesta che aggredisce il clipper emergono dei veri pensieri: non si percepisce la paura dei marinai, l'angoscia del capitano che va incontro alla perdita della propria nave; la furia stessa del mare e del vento resta a livello di descrizione.
E poi, che fine fa il carpentiere? Sappiamo che "Riesce ad afferrare la scure, ma in quel momento la scotta della vela di gabbia si spezza, la cima del cavo sferraglia in alto mentre la vela sbatte con uno scossone e si sfalda in un fascio di striscioline sventolanti". E quel poveretto? Viene afferrato dal cavo e trascinato in mare? Viene accecato dalle "striscioline sventolanti"? Che non faccia una bella fine è chiaro, ma questa sparizione dalla scena mi sembra confermare lo scarso peso dei personaggi.
Né si salva la figura della madre, il cui compito viene liquidato in poche righe facendo riferimento a dei non ben definiti "Troppi strani presentimenti".
Meno sfoggio e più profondità avrebbero senz'altro giovato al testo.
M.

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Messaggio Da Byron.RN Dom Ott 13, 2024 12:51 am

L'ambientazione marinaresca di questo racconto mi è piaciuta, le storie di mare mi affascinano sempre.
Chi va per mare deve avere un grande coraggio, perché trovarsi in un mare in tempesta ritengo sia una delle cose più spaventose che una persona possa affrontare. 
Però, come ha già detto Mark, ci sono due criticità.
La prima riguarda i personaggi che sono poco approfonditi, non riusciamo a carpire tanto della loro psicologia, sappiamo solo lo stretto indispensabile.
La seconda, la più evidente, concerne il finale. Il ruolo riservato alla madre del protagonista è troppo risicato, quasi inesistente e l'epilogo si svolge in appena cinque righe. Non capisco la scelta, perché in tutta onestà penalizza enormemente il racconto. L'ipotesi più probabile è che l'autore sia arrivato sul filo di lana per la consegna del racconto.
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Messaggio Da Giammy Mar Ott 15, 2024 3:16 pm

Peccato! L'autore scrive bene, la trama scorre che è una meraviglia, però manca un minimo di approfondimento dei personaggi. Da lettore mi sono sentito sulla nave e ho vissuto le scene insieme all'equipaggio e questo è un pregio, ma, non si va oltre.
Comunque, complimenti, per il lessico marinaresco e per avere partecipato. Magari il tuo racconto riceverà pochi punti (come i miei lavori, del resto, per cui sei in buona compagnia), ma hai contribuito a rendere il concorso più ricco.
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Messaggio Da Fante Scelto Mar Ott 15, 2024 4:27 pm

A me è piaciuto molto il modo, pur poco cinematografico, col quale è stata descritta la tempesta. Unito all'uso esemplare dei termini marinareschi ne viene fuori una rappresentazione curata e concreta della realtà, terribile, della nave in balia dei marosi.
Oltretutto il vento ne esce protagonista pieno e indiscusso, persino a scapito dei marinai e della voce narrante: qui sta un po' il difetto della storia, che non dà sufficiente spessore ai personaggi umani, soprattutto il dolore finale della madre, relegato a pochissime righe. 
Spazio in caratteri credo ce ne fosse ancora, per cui forse si è trattato di una necessità di tempo e non una scelta. 

La scrittura è buona e il pezzo si è fatto leggere volentieri, nonostante un inizio un po' in sordina. Addirittura, a un certo punto, mi sono dimenticato che il narratore doveva morire e ho pensato che alla fine la nave si sarebbe salvata. Far dimenticare la presenza di un paletto lo trovo un pregio, tutto sommato. 

Insomma, è un racconto sicuramente perfettibile, che soffre un poco di brevità in alcuni passaggi e di una freddezza generale, ma mi sento di promuoverlo.
Ben fatto.
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Messaggio Da tommybe Mar Ott 15, 2024 4:43 pm

Un racconto scritto bene che vive da solo, senza protagonisti.
La cosa bella è che tutto questo non penalizza il lettore indirizzato verso altre emozioni.
A qualcuno basterà, ad altri sembrerà un po' poco.
Per me è meritevole di sufficienza.
Che a me quando me la davano a scuola, in una sezione di cervelloni, facevo festa. E in questo step di cervelloni ce ne sono proprio tanti.
Festeggia, amico mio.
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Messaggio Da FedericoChiesa Mar Ott 15, 2024 6:52 pm

Qualcosa non mi convince.
Nei tempi dei verbi all'inizio, con presente e futuro che si mescolano, una rapidissimo sorvolo dall'Inghilterra, credo, alle Canarie fino a Malacca, in poche righe.
Poi si è catapultati in una minuziosa descrizione della tempesta che porta al naufragio della nave. Questo è il pezzo forte e ci si sente veramente sballottati, anche se puramente in senso fisico: manca un vero coinvolgimento emotivo.
Infine, la conclusione del racconto, lasciata alla madre mi sembra molto frettolosa.
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Messaggio Da paluca66 Mar Ott 15, 2024 10:14 pm

Complimenti per la bellissima descrizione della tempesta e per la conoscenza "marinaresca".
Il racconto, però, mi ha lasciato poco, anche durante la lettura della tempesta sono rimasto piuttosto distaccato, poco coinvolto. 
Le righe finali, poi, con cui hai onorato il paletto della madre sono, secondo me, troppo vicine al minimo sindacale.
Scritto bene, soprattutto con tanta competenza, non ho riscontrato refusi a parte un verbo al presente che ho faticato a inserire correttamente nel racconto:
Giungiamo a Malacca in tempi utili per completare il carico

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Messaggio Da Albemasia Oggi alle 1:37 am

6107 caratteri per un racconto che, quanto a contenuto, avrebbe ben potuto espandersi fino a ricoprire tutte le 18000 battute a disposizione.
Non posso che ammirare la padronanza del lessico marinaresco (si dice così?), ma per il mio gusto personale il tecnicismo del testo, se pur notevole, non è stato in grado di soddisfarmi come lettrice.
Innanzitutto mi ha colpito l'incipit: "Mi chiamo Roberto Douglass e sono sposato da meno di un anno con Sarah, una donna che amo profondamente e che tra poco mi darà un erede". L'ho colta come una mera informazione, un dato anagrafico che non aiuta a inquadrare il personaggio.
Anche l'utilizzo dei verbi al tempo presente se da un lato contribuisce a rendere l'immediatezza dell'azione, dall'altro accentua la sensazione di leggere un "verbale" di quanto accaduto, più che un racconto.
Insomma, mi è mancata la parte emotiva.
Peccato perché l'idea è assolutamente originale e la perizia con cui è stata descritta la tempesta sarebbe andata maggiormente a segno se si fosse dato più risalto alle emozioni e ai sentimenti dei protagonisti, emozioni che si sarebbero sicuramente trasmesse anche al lettore.
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