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Staffetta 11 - Episodio 4

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Messaggio Da Achillu Lun Ott 14, 2024 12:49 pm

Episodio 1 - M. Mark o'Knee
 
Sotto il manto di neve, il bosco appariva come un luogo incantato. Un sogno. Uno di quei sogni felici dai quali non ci si vorrebbe mai svegliare.
L’immenso sipario candido, interrotto solo a tratti dai fugaci lampi verdi di ciuffi d’erba e foglie, sembrava lo scenario ideale per un tuffo nei suoi ricordi di ragazzina, quando, lei e le sue amiche, si rotolavano nel bianco giù per il leggero pendio lasciando buffe scie dietro di loro; quando, spossate di allegria, si rialzavano con le sembianze di pupazzi di neve e spezzavano il silenzio con le loro risate la cui eco vibrava sui rami, liberandoli dal peso dei fiocchi che li ricoprivano.
Quando, in quei troppo brevi anni di pace, la vita le era sembrata un bel posto in cui stare.
Il sogno però ormai era finito. E il tempo per i ricordi era diventato un lusso.
Il risveglio, come quasi sempre accade, era stato brusco, spietato: un risveglio che lascia il respiro corto e il cuore in tumulto.
Tutto era reale intorno a lei. Anche troppo.
Erano reali il bianco accecante che la circondava e il freddo che le gelava le ossa.
Erano reali i grandi batuffoli che ancora cadevano giù da un cielo di latta e le bruciavano guance e labbra.
Era reale la fatica, non certo allegra stavolta, dell’arrancare nella neve, immersa fino all’orlo degli stivali.
Era reale la paura che le radeva i pensieri e la faceva tremare più del gelo stesso.
Era reale, soprattutto, la massiccia colonna di fumo nero che si alzava alle sue spalle e le aggrediva occhi e naso con le sue volute.
Giunta al limitare del bosco, Anneka si bloccò e, con una leggera torsione del busto e del collo, si volse indietro un’ultima volta.
Il filare dei cipressi che segnava il confine del villaggio era ridotto a una schiera di scheletri carbonizzati dai quali si levavano pennacchi di fumo nero, ben visibili nonostante il vorticare frenetico dei cristalli di neve che parevano voler confinare in un oblio immacolato ogni traccia dello scempio messo in atto nei confronti della loro piccola comunità.
Ma dimenticare non era un’opzione possibile. Tutto era scritto nella sua mente a lettere di fuoco.
Un brontolio sordo e improvviso aveva attraversato la notte, facendo alzare gli occhi increduli ai pochi nottambuli ancora in giro per osterie: c’erano troppe stelle lassù per essere un presagio di temporale.
E infatti era stato un presagio di distruzione e morte.
In pochi istanti i draghi avevano raggiunto il villaggio e vomitato fuoco sulle loro teste, spargendo ondate di terrore fra chi ancora era immerso nel torpore del sonno.
Le fiamme parevano levarsi dal suolo stesso e ghermire danzando donne e uomini che si erano riversati per le strade in un inutile tentativo di salvezza. E chi non veniva catturato dal fuoco finiva per essere travolto dalle macerie degli edifici o inabissarsi nelle voragini aperte dagli ordigni che cadevano giù dal cielo.
In pochi minuti tutto era finito.
Così come erano arrivati, i draghi erano spariti nel buio, verso occidente, mentre, a est, un debole chiarore annunciava che, nonostante tutto, come sempre, un nuovo giorno sarebbe sorto.
Anneka si era ritrovata abbracciata ai suoi vecchi, facce e capelli grigi di polvere e guance rigate di lacrime. Ancora non riusciva a capacitarsi di come potessero essere ancora vivi.
Un’esplosione aveva tagliato via la parete esterna della loro casa, come se la lama di un’immensa scimitarra si fosse abbattuta con precisione chirurgica su un muro di cartapesta anziché di mattoni e cemento.
Da quell’affaccio innaturale avevano ascoltato, attoniti, le grida e i pianti dei superstiti salire fino a loro; avevano contemplato, impotenti, il vagare, il correre senza meta e senza speranza, di strani esseri neri di fuliggine vestiti solo di un pigiama o di una camicia da notte, mentre i fiocchi di neve che avevano ricominciato a cadere si scontravano con i brandelli di cenere sollevati dal furore delle fiamme. Neve e cenere: avversari inconsapevoli in una partita senza scopo, nella quale né il bianco né il nero avrebbero mai potuto dichiarare scacco matto.
Un brivido lungo la schiena la riscosse dal ricordo della notte appena trascorsa e la riportò di fronte al bosco. La breve sosta era stata sufficiente per un po’ di riposo, ma anche a farla quasi sparire sotto un cumulo di neve. Se la scrollò di dosso e azzardò un paio di passi sul sentiero scivoloso e ormai quasi cancellato che si snodava tra gli alberi e arrivava fino al confine, al di là del quale suo marito e i suoi figli erano di certo in preda all’ansia e alla disperazione per la sua sorte.
 
Episodio 2 – Albemasia
 
Arrancava nella neve con la forza della disperazione. Le gambe le tremavano per lo sforzo e a ogni tratto faticosamente conquistato sentiva la suola degli stivali slittare sul terreno scivoloso. Sfinita, si fermò per prendere fiato, quando scorse dei rami spezzati ai margini del sentiero. Si allungò per afferrarli e provò a saggiarne la resistenza: sembravano solidi.
Ora le mani intirizzite stringevano quei bastoni di fortuna e per un breve tratto Anneka ebbe l’impressione di guadagnare terreno più velocemente, ma la sensazione di sollievo non durò molto, perché poco dopo il sentiero prese a inerpicarsi sulla collina.
Nonostante il freddo, stava cominciando a sudare per lo sforzo, quando all’improvviso gli stivali affondarono senza trovare presa, come se la terra le stesse franando sotto i piedi. Per un tempo che le parve infinito, sentì che stava precipitando. Un urlo di terrore le uscì incontrollato a lacerare l’aria gelida e le si strozzò in gola, non appena la sua discesa si arrestò con un tonfo: la neve accumulatasi nelle ultime ore aveva reso difficile rimanere sul sentiero e l’aveva indotta a mettere un piede in fallo, facendola scivolare, così, lungo il pendio.
Tutto intorno il silenzio era interrotto solo dal ritmo del suo respiro che rilasciava nuvolette di vapore, unica fonte di calore con cui ora cercava di riscaldarsi le punte delle dita congelate. Quando il cuore smise di martellarle in testa, Anneka si scrollò di dosso la neve che le si era attaccata ai vestiti, poi si guardò intorno per orientarsi, ma ben presto si accorse di essere scivolata per parecchi metri lungo il fianco della collina: ora il sentiero si trovava in alto, sopra di lei.
Priva dell’aiuto dei bastoni, la china scoscesa le parve un ostacolo insormontabile e improvvisamente sentì la stanchezza e lo sconforto impossessarsi del suo corpo.
Così, incapace di lottare, si rannicchiò nella piccola conca di neve compatta che si era formata sotto il suo corpo e in breve un torpore insidioso si impossessò di lei e della sua volontà.
Infilò le mani nelle tasche della giacca, nel tentativo di scaldarle, e si ritrovò a stringere tra le dita un piccolo oggetto morbido e peloso. Lo estrasse e si accorse che si trattava di un pupazzetto a forma di coniglio che apparteneva a Sophie, la sua bambina. Istintivamente lo portò al viso e ne aspirò avidamente il profumo che sapeva di borotalco, di biscotti, di casa.
«Mamma, vorrò sempre bene a Milo, come tu vuoi bene a me».
 Le pareva di sentire ancora la voce di sua figlia quando glielo aveva regalato.
«E lo proteggerò, come tu e papà fate con me e Viktor. Così non gli succederà mai niente». Quando si erano separati, Sophie doveva averlo lasciato cadere nella tasca della sua giacca di nascosto.
Con uno sforzo Anneka ricacciò indietro le lacrime che le pungevano gli occhi e cercò di scuotersi da quella deriva pericolosa; era stata costretta a lasciare i suoi vecchi al villaggio, ma ora, se voleva tornare ad abbracciare Thomas e i bambini, doveva uscire di lì e tornare appena possibile sul sentiero. Prima che facesse buio, bisognava che si trovasse già nei pressi del confine.
Raccolse le forze che le erano rimaste e, con l’aiuto delle braccia, si mise a risalire il pendio, cercando di aggrapparsi a tutto ciò che affiorava dal manto nevoso.
D’un tratto, però, si arrestò di colpo; le era parso di udire delle voci sopra di lei. Il primo impulso fu quello di chiedere aiuto e invece d’istinto si appiattì contro la china nevosa, nella speranza di non essere individuata.
Sentiva gli scarponi affondare pesanti nella neve; Anneka sospettava che si trattasse di soldati.
«Dobbiamo pattugliare il confine, prima che a qualche civile venga in mente di attraversarlo».
Queste parole confermarono i suoi timori. Anneka riconobbe immediatamente l’idioma, una lingua che lei conosceva bene e che ora associava al nemico.
«Manderanno di sicuro un’unità coi cani, non sarà difficile stanare quei bastardi che ci proveranno», ribatté un'altra voce.
La risata di un soldato la fece tremare di rabbia, poi con un sussulto si rese conto che il sentiero doveva essere ancora segnato dalle sue impronte e sicuramente il punto in cui era scivolata era ben visibile.
I soldati erano quasi sopra di lei.
Trattenne il respiro; tentare di muoversi ora equivaleva a un suicidio. O peggio.
«Avevi ragione!» Esclamò uno di loro. «Qualcuno deve essere già passato da qui… Guarda, questa neve è stata pestata di recente.»
Anneka si sentì perduta. Un’ondata di panico la travolse e per pochi, terribili istanti sentì di non avere scampo, ma il coniglietto di pezza che stringeva ancora in mano le rammentò che aveva un buon motivo per restare viva.
 
Episodio 3 – Susanna
 
Li sentì scendere per la china scivolosa, incuranti del rumore prodotto dall’equipaggiamento.
Anneka pensò che erano troppo veloci e infatti li sentì imprecare nel tentativo di fermare la discesa.
Nel momento di cui le passarono accanto, le loro torce per qualche secondo illuminarono il bordo dell’orrido in cui precipitarono, urlando. L’ultima cosa che sentì fu il terrificante rumore dei corpi che si schiantavano sulle rocce, mentre lei stringeva il pupazzo con tutte le sue forze: era stata fortunata e ora poteva riposare un poco, prima di risalire verso la strada. Magari anche dormire, solo per qualche minuto…
 
Quando riaprì gli occhi, le ci volle qualche secondo per ricordare dov’era.
Se non fosse stato per alcune apparecchiature mediche, la stanza poteva essere quella di un albergo di lusso: un letto con coperte dai caldi colori autunnali, quadri astratti di buon gusto alle pareti, tinteggiate con colori riposanti; una comoda poltrona accanto a una grande vetrata che dava su un panorama stupendo: la neve cadeva fitta su quello che doveva essere un prato, oltre il quale iniziava un fitto bosco di conifere, che pareva sorreggere le cime di alte montagne dai pendii rocciosi.
Anneka cercò di alzarsi dalla poltrona ma una voce gentile glielo impedì:
«Non ancora, aspetta qualche minuto.»
«Com’è andata? Ho ricordato altro… il confine, sono riuscita ad andare oltre?»
«No, sei rimasta dov’eri scivolata, ma vedrai che, appena ti sarai ripresa, le sedute mnemo ipnotiche saranno meno faticose e andrai oltre. Devi darti tempo, cara.»
«Tempo? Ma non ne ho. Devo trovare Thomas e i bambini, sono di sicuro dall’altra parte. Li hanno portati oltre confine.»
La dottoressa Jorty fu irremovibile: Anneka era ancora troppo debole, aveva vagato per le colline per almeno due settimane, nutrendosi del poco cibo trovato in uno zaino perso da uno dei soldati e di bacche prima di essere trovata, casualmente, sul ciglio della strada che portava alla clinica Otter.
Il medico affidò Anneka a un’infermiera e raggiunse i colleghi nel suo studio: li trovò che studiavano i risultati della seduta elaborati dal computer, ancora una volta sconcertati:
«Non si capisce di che confine parli: in quella zona non ci sono confini politici o amministrativi. E il villaggio di cui parla si trova a trenta chilometri da dove l’abbiamo trovata. Non avrebbe potuto farcela, non con tutta la neve che è caduta.»
Hared, il tecnico che aveva scaricato i dati del biosensore che Anneka portava, come tutti, installato sotto pelle, era sempre più perplesso. C’era un vuoto di alcuni giorni, inspiegabile tecnicamente.
«E se fosse un confine mentale, una sorta di barriera che la tiene lontana da quello che è accaduto dopo l’incidente al villaggio, perché troppo doloroso?» chiese ai colleghi.
«E i draghi? I miei genitori mi raccontavano che ai tempi della Guerra chiamavano così i droni militari, che i nemici decoravano come quelle figure mitologiche.» disse Jorty.
«Tutti distrutti. Però quel vecchio deposito di munizioni, proprio sotto il villaggio, devono averlo scordato, magari qualcuno ci ha giocato e boom… Aspettate un attimo.»
Il ragazzo si mise al computer e richiamò i dati dei movimenti di Anneka, aggregandoli poi a una mappa della zona: «Non ci sono confini come ho detto prima, ma confini legali sì.»
Erano così chiamati i confini di grandi proprietà private: ettari di boschi, prati, che spesso comprendevano quelli che in tempi passati erano piccoli villaggi rurali.
«Anneka ha praticamente aggirato questa proprietà… Ma è enorme! E non è mai andata oltre i confini legali, quasi che ci fosse qualcosa, o qualcuno, che la tenesse a distanza.»
Ora tutti erano curiosi: alla clinica Otter si occupavano di pazienti che avevano subito traumi, sia fisici che psicologici, e i vari team non lasciavano mai niente di intentato per aiutarli a guarire.
«Sapete cos’è strano? Che non ci sono immagini satellitari di questa proprietà, è tutto oscurato. E questa privacy non è alla portata di tutti.»
Si guardarono in silenzio: la preoccupazione era molto chiara sui loro visi: “Davvero Anneka era solo una studiosa di economia storica, come risultava dai suoi dati? E chi era Thomas, il marito, di cui non vi era traccia nei file della donna?”
Fu Hared a rompere il silenzio, indicando il monitor che mostrava la stanza di Anneka: la donna era uscita sulla terrazza e, raggiunto il prato, si era sdraiata sulla neve, rannicchiandosi su sé stessa. Al braccio non portava la fascia di controllo medico e in mano teneva il coniglietto, che avvicinò al viso: la telecamera catturò chiaramente l’espressione di Anneka. Li stava sfidando.
«No, il pupazzo no!» esclamò Hared.
Il coniglietto era l’oggetto che Anneka utilizzava durante le sedute di mnemo ipnosi e che la portava nello stato in cui la mente era libera di vagare nei ricordi. Ma senza un controllo diretto, senza quella fascia che consentiva di monitorarla e di somministrarle farmaci in caso di necessità, Anneka era in pericolo.
 
Episodio 4 – Achillu
 
Anneka si risvegliò lungo la china dove era scivolata, i muscoli irrigiditi e il gelo fino alle ossa. Batteva i denti ma si sentì avvolta da una sensazione di calore. Forse il Sole stava illuminando quel versante? Con le palpebre pesanti come piombo, scoprì di non essere sola.
Una voce metallica disse: «Hai un principio di congelamento, ma ti abbiamo trovata in tempo. Non muoverti, rischi di compromettere la guarigione.»
Anneka ringraziò gli Dei: erano i robot di Samuelson.
Ogni scossone mentre la imbragavano alla barella le causava fitte lancinanti, ma poteva solo stringere i denti.
«Dobbiamo fare il giro lungo,» disse la voce. «Disattivare ora il tuo biosensore sarebbe troppo pericoloso per la tua salute.»
Il “giro lungo” significava forse un giorno e mezzo di viaggio, fuori dai sentieri battuti dai soldati nemici, e il dolore era già al limite.
«Datemi qualcosa,» implorò.
«È mio dovere avvisarti che rallenterà il recupero dal congelamento e…»
Anneka imprecò. «Un antidolorifico, adesso!»
Il robot emise un beep.
Perse il senso del tempo. Veglia, sonno e allucinazioni si confondevano. Due figure, Jorty e Hared, cercavano di portarla via, ma una parte della sua coscienza sapeva di dover resistere alle loro chiamate.
Arrivò all’ingresso attrezzato mentre il Sole tramontava. Il personale medico di guardia le controllò i parametri vitali e disattivò il biosensore.
La sensazione di una scarica elettrica le attraversò il corpo. Anneka spalancò gli occhi e vide di nuovo Jorty e Hared. Li richiuse forte, lasciandosi trasportare finalmente oltre il confine.
Riprese conoscenza in una stanza d’ospedale, condivisa con altri pazienti. I dolori erano svaniti e poteva muoversi liberamente, segno delle cure specialistiche ricevute. Accanto al letto uno zaino nemico, forse scambiato dai robot per bottino di guerra, e un cambio completo della sua taglia.
Si alzò cauta, ancora indolenzita, eppure si sentiva abbastanza in forze. Una donna parlava con un visitatore, ma i separé fonoassorbenti riducevano tutto a un mormorio indistinto. Chissà se anche lei era una sopravvissuta.
Si rivestì. In una tasca trovò il coniglietto di peluche e sorrise.
Si affacciò al corridoio, seguendo la linea guida verso la segreteria. Fuori nevicava di nuovo e una coltre bianca copriva il parco dell’ospedale e i bassi edifici circostanti. Il cuore accelerò all’idea di essere così vicina a Sophie, Viktor e Thomas.
Mentre attendeva l’espletamento della burocrazia, rigorosamente con username e password per evitare intercettazioni, accedette a un tablet di servizio e cercò il nickname di Thomas.
“Disperso a Cypress Creek.”
Il cuore le balzò in gola. Digitò febbrilmente i nickname di Sophie e Viktor.
“Disperso a Cypress Creek.”
Anneka si sentì mancare.

Jorty riapparve, la voce concitata. «Sei di nuovo con noi! Siano lodati gli Dei. Che brutto scherzo ci hai giocato…»
Tra i singhiozzi Anneka riuscì a dire: «Riportami indietro!»
La mnemopsicologa la fissò perplessa. «Riposati, adesso…»
Anneka scosse la testa. «Siamo andate nella direzione sbagliata. Non dovevamo andare avanti con la memoria. Thomas e i bambini sono rimasti al villaggio. Riportami indietro, ti prego!»
Jorty appariva dispiaciuta. «So che è difficile, ma devo chiederti di calmarti. Sei stata in coma tre giorni e…»
«Cosa?» Non poteva credere di aver perso così tanto tempo. «Sophie! Viktor! Hanno bisogno di me.» Prese il coniglietto e iniziò a fissarlo disperata.
«No, ferma! Se torni in coma non so se riusciremo a tirarti fuori. I bambini hanno bisogno di te, ma viva!»
Aveva ragione. Anneka si guardò attorno con occhi persi. Ma ogni secondo senza sapere cosa fosse successo a Cypress Creek era una fitta al cuore.
In quel momento tornò Hared.
Jorty chiese speranzosa: «Quando potremo riprendere le sedute di mnemo ipnosi?»
Il tecnico scosse la testa. «Il biosensore è disattivato e la fascia di controllo è inutile senza quello. Dobbiamo aspettare che i parametri vitali si stabilizzino.»
«No!» singhiozzò Anneka.
Jorty sospirò. «Potremmo usare la tlacodoprina.»
Hared la guardò storto. «Sei tu la dottoressa.»
«Ci sono controindicazioni per riattivare il biosensore sotto tlacodoprina?»
«No, ma gli effetti collaterali…»
«Li gestiremo con l’atovaquone. Perché la nostra paziente vuole tornare viva dai suoi bambini, giusto?»
Anneka si sentì osservata. Non aveva seguito il discorso, ma le parole “viva” e “bambini” riecheggiavano nella sua mente. «Sì… farò tutto quello che serve.»
Poco dopo, Jorty le iniettò il farmaco. «Presto sentirai un forte benessere, perché i tuoi parametri vitali si ottimizzeranno. Poi Hared riattiverà il biosensore. Lo shock sarà inevitabile ma, viste le tue esperienze, conto che entrerai subito nello stato di mnemo ipnosi. Fatti trovare nella casa dei tuoi genitori, da lì cercheremo di tornare indietro.»
Anneka annuì. In pochi minuti il cuore rallentò, i muscoli si distesero e i pensieri si fecero limpidi. Si concentrò sul ricordo della casa dei suoi genitori.
Poi la sensazione di una scarica elettrica le attraversò corpo.

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Messaggio Da Susanna Lun Ott 14, 2024 3:11 pm

E bravo @Achillu , sei rimasto sul pezzo. Un po' indietro nel tempo e poi il ritorno al presente, mantenendo ben fermo lo stile che era stato adottato negli episodi precedenti. Mo vediamo come se la cava il prossimo, perchè ormai siamo agli sgoccioli.

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Messaggio Da M. Mark o'Knee Lun Ott 14, 2024 3:47 pm

Ottimo lavoro @Achillu. Piaciuto molto come il mio incipit stia evolvendo in qualcosa che mai avrei immaginato. Strepitosi i nomi dei farmaci. Complimenti a tutti.
M.

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Messaggio Da Achillu Lun Ott 14, 2024 9:16 pm

Grazie, @Susanna e @M. Mark o'Knee.

Dovrei aver chiuso abbastanza cose: perché ha girato intorno senza mai passare il confine, perché mancano dei giorni ai dati del biosensore, chi è il proprietario del terreno... Mi dispiace di aver incasinato la vita alla prossima Penna perché l'epifania di Anneka poco si incastra con il primo episodio, però mi aveva intrigato il passaggio sul "confine mentale" da superare.

Inoltre ho introdotto la variabile dell'atovaquone che però può anche essere liquidata in poche parole o ignorata del tutto (ah, questo medicinale esiste davvero, è un antimalarico). Almeno spero.

Grazie a voi per gli episodi precedenti, molto potenti e a tratti disturbanti, pieni di colpi di scena.
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Messaggio Da Hellionor Ieri alle 9:34 pm

Pazzesco, mi piace tutto davvero molto, ed è davvero stupefacente vedere come la storia evolve e prende una strada piuttosto che un'altra.
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Messaggio Da Albemasia Oggi alle 12:48 am

Bello davvero, bravo Achillu.
Sempre magica la sensazione di vedere un pezzo della propria "creatura" prendere vita e virare verso orizzonti che non si erano immaginati.
Ora tocca all'ultima penna chiudere il cerchio.
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