Una notte in fame (Post folgorata)
La strada del buio porta a valle mentre la nebbia avvolge il carro che trasporta le sue ruote nel fango della strada.
Piove a sprazzi dalle nuvole e misti sono i sapori e gli odori che si affacciano al mio stomaco.
Ho fame, apro gli stipiti della madia.
Un dipinto, appeso sul pianerottolo delle scale, scende con la tela imbrattata, vuol forse licenziarsi dal muro che non ha tempo per dargli una lustrata… e rotola, rotola, rotola con scricchiolii degni del miglior legno tarlato.
Ma il dipinto a me non frega, quello che mi frega è la fame e penso che questo potrebbe essere il mio ultimo pasto, o almeno m'illudo di pensarlo.
Maledetta fame della fame e maledetto pure questo temporale che rende zuppo l'ingresso al castello, aspetto ospiti che non verranno, non credo che troveranno la strada con questo tempo da lupi.
Chiamo la domestica sorda.
«Ofelia (Ofelia Cistifellea è stata la mia tata e ancora mi accudisce) vieni ho fame».
Faccio cenno al maggiordomo cieco, visto che la cameriera in modo solerte non arriva.
Nel frattempo suonano alla porta e, per puro caso d’esigenze di copione, cade la statua dal cornicione davanti all’entrata del va beh! E quanta altra roba devo mettere per farmi sentire, capire che ho fame, cazzo e poi questo è il canone in crescendo del racconto se no poi nessuno si spaventa.
«Ho fame: “Aprite!”».
Sono io che "mi busso" alla porta poco importa se sono dentro e pure fuori… nessuno apre, uhm, non ci sono più i servitori d'una volta.
Mi apro e mi “entro” da solo, sono nel salone delle feste e il tavolo segna dodici posti alla sedie, sono solo e ho fame, apro una bottiglia di vino e guardo i dodici posti vuoti che ripetitivamente vado a menzionare nel mio cervello.
Miracolo!
Miro all’angolo della stanza e vedo passare un topo.
Ignaro becca la trappola dietro la porta messa dalla domestica.
Bene bene mi ci faccio lo spritz col topastro salmastro.
Lo estraggo dalla gabbia e...
Spolpo le zampette, mi succhio la coda con risucchio all’Aperol, il resto lo sgranocchio al sangue con due olivette, poi faccio un rutto contenuto.
Ma che cazzo mi nutro con un topo d’appartamento? Ho fame, una fame terribile.
Noto sulla tavola una padella di brodo che si versa da sola nel piatto.
Uhm, e voi? Da dove spuntate?
«Buonasera signori e ben arrivati alla mia cena, prego accomodatevi, mettetevi pure a vostro disagio».
Ho fame e la compagnia degli inesistenti mi stanca... lo stuzzichino mi ha stuzzicato la fame, mangerò qualche larva del legno, mi procuro un bastoncino e passerò il tempo alla ricerca di qualche tenera prelibatezza fresca.
«Scusate se vi lascio da soli un attimo, devo assolutamente stuzzicarmi con i tarli, lo so è un mio tarlo ma è così lampante che non sono i vostri di tarli».
Il castello è illuminato dai candelabri e il tempo peggiora d'ora in ora, in paese nessuno vuol dire il nome del luogo: “Gavriluu”.
«Eccomi a voi carissimi commensali! Carissimi?».
Ma dove sono andati a finire, mah, si saranno offesi per i tarli.
Peggio per loro, intanto ho finito le larve ma ho ancora fame… trovata geniale!
Infilo un coltello nel culo del maggiordomo, parte tenera e molle e poi amo la carne arrosto, cioè voglio dire che mi lombo un paio di fettine di culo e me le spanno a barbecue con salsa di cimici, beh più che salsa direi un pesto di cimici asiatiche.
Flash back per i disattenti.
Non si trova un coltello decentemente affilato in questo castello, ecco finalmente! Giusto per tagliare quello che devo tagliare, ho fame e mangio, ma non sono cannibale, ho solo fame e non guardo al capello ma al culo.
Ritorniamo a noi dopo il recap per i disattenti.
Però la ciccia è poca e quasi quasi me la farcisco tutta e poi non valeva un cazzo come maggiordomo, il datore di lavoro ha il diritto di saggiare il proprio assunto, o no?
Quanto pesa questo maggiordomo? Ma quanto mangiava?
Lo metto sul tavolo di marmo della cantina.
(Ma è ovvio che l’ho trascinato giù per le scale e sono sceso nel mio antro segreto, altrimenti che racconto classico dell’orrore sarebbe?).
Comincio dai piedi, direi di strappare le unghie... le metterò con l'acqua a lessare, poi un bel taglio longitudinale lungo la gamba sinistra e trovo la safena.
«Plic, slurp, slurp» l’uso degli onomatopeici indica che sto succhiando.
Buono questo sangue.
Eseguo dalla nona dell’intestino un rutto de core in ottava minore.
Sono pieno, no, meglio assaggiare i muscoli e allora incido con tagli scelti la pelle e la sfilo via facilmente, sono un esperto.
Metto la pelle delle gambe nella pentola con le unghie, poi si vedrà.
Domani brodino, naturalmente ho provveduto prima a depilare il corpo (odio i peli e non li voglio sullo stomaco), intanto mi seziono i polpacci che farò alla brace, conserverò i tendini da spolpare in seguito, i tendini, se ben tesi e cotti, sono un ottimo passatempo mentre guardate un film.
Le parti intime non mi attirano (i coglioni non mi sono mai piaciuti): taglio e butto via e, siccome sono schizzinoso, non mi interesso nemmeno delle interiora, budella, stomaco, fegato, tutti buoni per il cane che con il suo continuo miagolare mi ha rotto i timpani, devo dire alla cameriera di comprare un gatto, basta con questi cani.
Il resto lo impacchetto con la carta d'alluminio e lo metto in frigo, dovrei avere, nascosto da qualche parte, un libro di ricette.
Guardo, non lo trovo e domani se ne riparla e chi c’è c’è.
Eh, questi sì che erano veri maggiordomi da gustare, non se ne trovano più.
Però questa pioggia e questa aria frizzante mi hanno messo fame, quasi quasi esco a fare una passeggiata verso il paese, così mi tengo in forma e cerco qualche cosa particolarmente golosa e poi io amo il temporale (Ma non lo odiavi?), nessuno mi rompe l’anima quando mi incontra.
Ma sì vado fuori oltretutto oggi ho sentito suonare le campane a morto.
Si va al cimitero allora, meglio di così.
Dunque vediamo un po’... qua abbiamo il morto fresco, non mi va, uhm… sì questo è più stagionato.
Un bel piatto ceneroso e muffico ci sta, morto meglio, mi ricorda quando, ancora in culla, andavo in cerca di nutrie nel canale del paese.
Bene, bene, bene, questo tipo ha un aspetto tra il consunto e la muffica, ci sono pure, già pronte, le costolette da succhiare.
Intanto porto la bara al sicuro, meglio non farsi vedere potrebbero fregarmi il boccone.
Accidenti, mi fanno male le spalle, quanto pesa! Sto diventando vecchio.
Che buoni questi lembi di pelle attaccati alle ossa della mano, ma che buon sapore veramente!
Ehi voi, sì voi lettori!
«Volete assaggiare? Beh, sapete che vi dico, me lo gusto un po' per volta. Oh, ci sono pure i vermetti per contorno! Accidenti che mangiata, basta per oggi, me ne torno al castello.
Un attimo, non guardate per favore sono timido. Ahhhhhhh, che pisciata».
Nel quadrante del cielo le nuvole facevano a gara nell'inseguirsi, un vento tempestoso accarezzava le cime degli alberi e le vie di campagna che portavano al castello non si distinguevano più, l'acqua scorreva in rigagnoli che parevano canali e i tuoni illuminavano a lampi i campi.
Forse erano i lampi che illuminavano i campi e che qualcuno da loro ci scampi, un cipresso pareva nei rami depresso e i rumori della pioggia, che batteva sugli occhi, spaventavano persino gli spaventapasseri.
Perché parli al passato, sono stanco e poi il temporale sotto sotto mi mette paura, mia madre aveva ragione quando mi diceva che non ero degno di discendere i discendenti, vado a dormire è quasi l'alba.
Busso alla porta ma come al solito non viene nessuno...
«James, maledetto imbecille dove ti sei cacciato? Apri questa porta, non vedi che sono fradicio, se ti prendo ti affetto».
Da quel giorno adottai un piccolo pipistrello, lo chiamai Josopoquino, sarebbe poi divenuto il mio factotum, ma questa è un'altra storia...
Dimenticavo di dirvi che io sono il conte Gavriluu di Trans Silvana conosciuto anche come Nosfigatus I.
E ricordate che “Lupo ululà e castello ululì” (Non potevo non citarlo!).
Ultima modifica di Flash Gordon il Ven Nov 08, 2024 11:00 am - modificato 1 volta.