La ragazza di Venezia
Il giorno nasce sempre senza mai mostrare quello che sarà il suo divenire.
Apparenza o realtà? Una linea ferroviaria, incastonata tra sterpaglie e pietre apparentemente morte,
un treno a vapore la percorre ogni giorno e come di consueto si ferma alla stazione di Venezia Santa Lucia.
Difficili da descrivere le “avvertenze interiori” che lasciano il posto alla quotidianità dei passeggeri.
Siamo in un giorno qualunque, d’un anno qualunque, d’un tempo qualunque.
La giornata è grigia, quasi piovosa… e quest’avverbio di quantità racchiude il senso di questa storia.
La protagonista Erica è sul quel treno a vapore e l’ora è quella del mattino.
Di lei non sappiamo nulla, le nostre nozioni fanno appunto parte di quelle “quantità” che l’avverbio non svela.
Erica, dai capelli rossi, scende dal treno e si incammina per le salizade, oltrepassa Santa Lucia e si dirige verso piazza San Marco.
I negozi, allineati su entrambi i lati della via, sono un vero falso.
L’originalità del luogo non è più tale da molto tempo e nemmeno questa storia può dirsi originale se non nel suo non essere svelato.
Piove o quasi, o almeno lo faceva all’inizio, ora l’intensità dello scroscio d’acqua aumenta e comincio a preoccuparmi per Erica che non ha nemmeno un ombrello con sé.
Intanto un'Alfa Romeo 2000 del 1979 si ferma vicino al mercato di Rialto, s'abbassa il finestrino e un noto attore di fiction televisive sorride a Erica facendole cenno di salire.
«Quattro ruote a Rialto? E lei cosa fa?».
Monta in auto e si sente immediatamente a proprio agio su quel sedile di vinile, non vintage, anzi originalissimo, uno sguardo ammiccante da parte del conducente e una domanda: «Dove vai? T’accompagno se vuoi».
«Al mio ufficio in piazza San Marco».
«Amedeo, sono di strada».
Una mano s’allunga entrando in auto dal finestrino aperto, «Sono Erica».
«Ti va del fumo? Non sono mai riuscito a smettere, ma prima o poi ce la farò».
«No, ora no, che tempo da schifo».
«Di cosa ti occupi? Se non sono indiscreto».
«No, non lo sei e poi ci diamo del tu a quanto pare. Segretaria... ufficio assicurativo, normale e brutta, smanetto al pc tutto il giorno tra strafanti di tutti i tipi».
«Tu brutta? Rido se non ti dispiace!».
Gli occhi di Erica si incupiscono e la sua voce diviene più grezza.
«Vuoi provarci per caso?».
«Uno decrepito come me che non lo chiamano più nemmeno per una soap di merda? Era solo un complimento, forse un’illusoria speranza d’essere ancora piacevole d’aspetto».
Una comune risata fragorosa irrompe nell'auto.
«Mi stai simpatico, e ormai ti do del tu».
«Ma non stavamo dando già del tu?».
Nel frattempo una gondola taglia la strada all’auto, facendola sobbalzare con il moto ondoso sollevato dal potente motore marino.
«Mona, guarda dove metti il remo, non si può andare più tranquilli nemmeno in laguna, certi individui non dovrebbero avere la patente, non si guida una gondola così a ramengo.
Ah… vedo lì un distributore di benzina, un attimo faccio ventimila lire di super e ripartiamo subito».
L’auto si inchioda, con un forte colpo di freno, davanti alla colonnina della super.
Un benzinaio, con un cappello da baseball infilato in testa al contrario, si avvicina infilandosi nel naso l’indice della mano destra.
«Acqua e Olio a posto? Una controllata ai livelli? Le candele sono ok?»
«Metti cinquemila».
«Venticinquemila di super per il signore alfista».
«Macché, cinquemila!».
«Che gran sior, ciò».
Due visi si scrutano accennando un sorriso all’interno dell’Alfa.
«Dicevamo?».
«Mi sei simpatico e poi sei così...».
«Fatto il pieno per il nababbo».
«Tieni il resto, spiritosone».
Intanto, sul parapetto del molo di fronte, un vaporetto suona la sirena d’attracco.
L’abitacolo dell’auto viene inondato dal rimbombare sordo e greve del suono.
«Detto qualcosa? Accidenti fanno sempre più rumore questi barconi».
«Dicevo prima che lei è simpatico»
«Ma non ci davamo del tu?».
«Del tu? Non ricordo».
«Comunque grazie del complimento ma ora sono solo un ricordo di me stesso, un vecchio attore un tempo famoso, ero veramente famoso...».
«Sembri in piena forma e poi mica sei vecchio».
«Allora ci diamo del tu o del lei?».
«Mi sembra che abbiamo usato il tu dall’inizio».
«Posso chiederti una cosa Erica?».
«Spara».
«Credi nella vita dopo la morte?».
«E io che pensavo… mi sorprendi, ma perché questa domanda? Sei nel pieno degli anni migliori, non sei vecchio, cosa vai a pensare!».
«Giovane? Sei orba, a settantacinque anni non mi sembro troppo giovane. Comunque cambiamo discorso».
«Dimmi allora di cosa vuoi parlare».
«Parlare? Fare piuttosto. Ora svolterò a destra e ci immergeremo con l'auto nella laguna».
«Scusa, ma non eravamo già in acqua?».
«Acqua? Deliri? Hai mai visto un’auto andarsene allegra sgommando sul mare?».
«Ma tu sei un pazzo, ferma e fammi scendere immediatamente».
«E secondo te io mi sarei fermato e fatta salire per nulla? No, non puoi scendere mia cara io faccio viaggi unici d’andata e mi fermo a prendere solo i prescelti e oggi la prescelta sei tu».
«Ma cosa dici! Ferma questa macchina, ti prego fermati, aiuto, qualcuno mi aiuti!».
«È inutile rassegnati, nessuno può sentirti o vederti».
Un’accelerata a piede di piombo sul pedale e… L’auto piomba in acqua cominciando ad affondare lentamente.
«Ora scendiamo Erica, reggiti».
«Aiuto, no, non voglio».
E quando tutto sembra perduto…
E no, non posso tollerare oltre, la storia la scrivo io e la posso cambiare.
«Erica! Ora ti tiro fuori! Accidenti che schifo di acqua puzzolente, abbassa il finestrino, dai che ce la fai, forza, sì, ecco! Afferra la mia mano, ok forza, forza, trattieni il fiato, siamo fuori, quasi a galla». Bastardo non credevi che qualcuno potesse salvarla.
«Respira piano piano, ora fai un respiro più lungo, così va bene. Riesci a parlare? Chi era quel pazzo?».
Un rantolo scuote Erica facendole sputare l’intera acqua della laguna.
«Non lo so, mi ha dato un passaggio, diceva di andare in piazza san Marco. Oddio sono confusa non ricordo altro».
«Tranquilla va tutto bene ora. Quello stronzo ti voleva uccidere. Accidenti, cosa succede ora? Per la miseria, la marea sta salendo, dobbiamo spostarci dalla banchina, mai visto un’acqua “granda” così repentina e alta».
Tutto intorno il mare comincia a salire e inondare ogni cosa, piazza San Marco sembra staccarsi dal resto del suolo come un grande iceberg, acqua ovunque e la Basilica si inabissa insieme al palazzo Ducale.
Due figure aggrappate a un pezzo di marciapiede fluttuano in una grande distesa verdastra senza orizzonte.
«È la fine Erica... e io che sono saltato nel racconto per salvarti, bella figura del “mona”. Perdonami uno scrittore non dovrebbe mai impicciarsi di quello che scrive».
«Lascia perdere, piuttosto dimmi come ti chiami».
«Gianluigi. Non credo riusciremo a resistere a lungo in queste condizioni e poi siamo completamente circondati dal mare, è tutto scomparso nell’acqua».
«Ma tu scrivi sempre queste cazzate? Poi mi hai dato il nome di Erica, un nome che non mi piace».
«Mi sembrava carino, guarda un po’ su, un elicottero dell'esercito viene verso di noi. Ehi... Aiuto, siamo qui, aiuto!».
«Ci hanno visto, Gianluigi smettila di gridare e dimenare le braccia».
«Siamo salvi Erica, ci buttano un gommone auto gonfiante».
Erica e Gianluigi, cioè io, ci arrampichiamo sull’imbarcazione, l’elicottero stranamente si allontana mentre la marea ci trascina verso un unico palazzo che si erge sul mare e sembra ancora integro.
Intanto il rumore delle eliche del mezzo di soccorso si perde in una foschia che avvolge tutta la storia.
Il gommone, dopo essere stato in balia della corrente, s’incastra in un piccolo slargo vicino al portone del palazzo.
«Erica afferra quel pezzo di ferro, forse riusciamo a salire dal portone d'ingresso, intravedo delle scale che vanno in salita».
Un palazzo post-moderno, dai richiami neoclassici, si apre davanti agli occhi, sarà la nostra salvezza?
Una donna ben vestita si intravede in cima alle scale.
«Buongiorno ragazzi vi attendevo da un pezzo, fate adagio perché qui è tutto di polistirolo».
«Ma lei chi è, mi scusi? Non aver paura Erica è tutto ok».
«Sono la padrona di casa, vi sembra strano? Salite pure cari, ma fate attenzione tutto qui è di polistirolo, ve lo ripeto a scanso di equivoci e di colpe».
«Se lo dice lei... fai attenzione Erica poggia piano i piedi, cerca avvinghiarti più vicino alla parete laterale, sembra essere più spessa lungo i bordi. Ma dico io, si può mai costruire un palazzo di polistirolo? Sono sempre più convinto che sia meglio essere al di là del racconto, è meno pericoloso e se io sono di qua chi è che scrive in questo momento? Dovrò pur spiegarlo ai lettori. Tu cosa ne pensi Erica?».
«Io intanto cerco di non cascare giù e continuo a essere convinta che oggi non sarei dovuta uscire di casa».
«Vedo una stanza, lì sulla destra, salta su quel gradino e siamo a posto».
Un unico grande androne arredato con stucchi bianchi in stile Veneziano appare alla nostra vista.
(Ma sono io che scrivo?).
«Sembra una finzione o mi ritrovo al ballo del doge?».
Nuovamente quella signora, in abiti anni settanta, si para davanti e con un gran sorriso porge la mano.
«Benvenuti la cena è pronta, vi aspettiamo sin dall'inizio della storia».
«Aspettiamo? Aspettiamo chi? Io non avevo alcuna intenzione di scrivere una cosa del genere e, ripeto sino alla noia, chi accidenti sta scrivendo al posto mio?».
«Sei troppo curioso Gianluigi, non volete sedervi a tavola? Mio marito ha quasi finito il lavoro e tra poco ci farà compagnia».
«Come fa a sapere il mio nome? E mi tolga una curiosità, suo marito che lavoro fa?».
«Lui scrive... scrive storie strane, ah! Eccolo!».
«Amedeo, ci sono i nostri amici».
«Scrivo l'ultima parola della storia e vengo, pregali intanto di accomodarsi cara».
La voce dell’uomo proviene da uno stanzino buio…
Eccoci qui, seduti in… chissà dove.
«Era ora, mi avete fatto stare in pena, ma vedo che lei sta benissimo signorina Erica».
«Ma lei, cioè tu… sei quello dell'alfa?».
«Certamente, sorpresa?»
«Sorpresa è dir poco, ma... dove è finito Gianluigi?».
«Ricordi? quando si è prescelti, vi è poco da fare cara Erica, e poi Amedeo o Gianluigi che importa! Tanto tra poco mia moglie uscirà con le amiche».