Il mio primo racconto scritto su SPS, ora DT(il concorso era INK 1)-Ottobre 2016
La vita è strana, può essere avida o generosa, ma quasi sempre riesce a sorprenderti e meravigliarti.
Questo è ciò che si ritrovò a pensare spesso Bernard Lafitau durante tutto il percorso della propria esistenza.
Quello che è certo è che mai si sarebbe aspettato di respirare la storia e avere la possibilità di conoscere gli uomini che contribuirono a riscriverla.
Era il 1787 quando all'età di tredici anni, dopo la morte del padre, cominciò a lavorare per Monsieur Zoppi, un vecchio amico del genitore.
Questa fu per Bernard la prima grande fortuna, perché alla scomparsa di Jean Lafitau si ritrovò solo al mondo e senza un soldo, condizione che nella Parigi dell'epoca significa soltanto andare incontro ad una brutta fine.
Il secondo aspetto positivo era che Monsieur Zoppi era il proprietario del prestigioso Café Le Procope, il caffè più antico di Parigi, locale che, oltre ad attori e letterati, di lì a poco avrebbe cominciato ad ospitare carismatici personaggi dall'indole rivoluzionaria.
Monsieur Zoppi fu per Bernard come un secondo padre; in cambio del suo lavoro al caffé il ragazzo poteva contare su una stanza tutta sua, un pasto abbondante al giorno e su una sicurezza e serenità che fuori si faceva fatica a percepire.
Anche se aveva solo tredici anni Bernard non era stupido e ci vedeva bene.
Se non facevi parte né della nobiltà, né del clero, la vita poteva risultare tutt'altro che leggera.
Tasse, gabelle, carestie, erano tutti fattori che facevano la differenza tra un'esistenza dignitosa o una vita di stenti.
Quello che i privilegiati non riuscivano a capire dall'alto della loro cupidigia ed ignoranza è che il popolo, una volta toccata con mano la disperazione, comincia a perdere l'istinto di autoconservazione ed è pronto a tutto.
Bernard invece lo capiva, annusava l'aria.
All'interno del Café Le Procope o per le strade assaporava il malcontento, percepiva la furia montante della gente normale, del terzo stato, per gli agi in cui vivevano il re e l'odiata regina nel palazzo di vetro di Versailles, per le feste sfarzose in cui nobiltà e clero dilapidavano i proventi delle tasse estorte a loro con arroganza e prepotenza.
Insomma, c'era aria di rivolta, e prima o poi sarebbe sicuramente accaduto qualcosa di eclatante.
Soprattutto l'atmosfera del locale stava cambiando, visto che da ritrovo di artisti e letterati cominciava a diventare crocevia per lo sviluppo di idee e convinzioni avverse all'antico regime.
Giornalisti, avvocati e personaggi dalla parlantina scaltra iniziarono a ritrovarsi abitualmente al caffé, per bere, ma soprattutto per confrontarsi in dibattiti arditi e rivoluzionari.
Tra gli avventori più stimolanti per Bernard c'erano due amici di Monsieur Zoppi; il giornalista Jean-Paul Marat e l'avvocato Georges Jacques Danton.
Danton colpiva Bernard per il vigore dell'eloquio, per la passione ed il fervore che metteva nell'esposizione delle idee.
Ma più di tutti era Marat ad infiammare l'animo del giovane.
Il giornalista oramai aveva un suo tavolo personale, davanti alla finestra in fondo al locale, che a tutti gli effetti era diventato il suo studio.
A quel tavolo creava gli articoli del giornale da lui fondato, L'ami du peuple, nei quali seminava le proprie idee rivoluzionarie, ponendo l'accento sull'assoluta importanza del popolo e della sua volontà.
Soprattutto da quel tavolo e, grazie a quella finestra, poteva controllare lo stabile adiacente dove si trovava la tipografia del suo giornale, ed era in grado di vedere in tempo reale la bozza del suo giornale per poi porre, nel caso, i dovuti correttivi.
Bernard conservò gelosamente nel suo cuore il primo scambio di parole che ebbe con Marat nel settembre nel 1789.
Il giornalista come al solito era impegnato nella stesura del giornale. Sembrava soddisfatto del lavoro svolto, ed un sorriso appagato risplendeva sul suo volto.
Bernard si era avvicinato riverente con una coppa di vino.
«Il suo vino, Monsieur Marat.»
Marat si era voltato, sereno e sorridente.
«Grazie ragazzo», aveva risposto guardando Bernard fisso negli occhi. Stava per ritornare alle sue carte, ma poi aveva esitato ed aveva rivolto a Bernard una domanda. «Come ti chiami figliolo?»
«Bernard, signore. Bernard Lafitau.»
«Bene Bernard, voglio farti una domanda. Ascoltami bene.»
Bernard era tutto orecchi.
«Cosa vedono i tuoi giovani occhi per le strade di Parigi? Cosa prova la tua anima innocente per ciò che sta succedendo?»
Bernard rifletté in silenzio solo per pochi secondi, poi lasciò libero sfogo alle angustie che attanagliavano il suo cuore.
«Signore, ciò che vedo per le strade è solo miseria e desolazione. La gente non ha di che mangiare, e la morte è in agguato in ogni vicolo.»
Marat ascoltava in silenzio, con attenzione, le parole di quel giovane uomo.
«Ciò che provo io è tristezza e pena per quella povera gente, ma anche sollievo, per non essere nella loro stessa condizione. Eppure, se non fosse stato per Monsieur Zoppi, io a quest'ora, nella migliore delle ipotesi, mi troverei nella stessa situazione di quei poveri diavoli.»
«Giusto Bernard», esclamò Marat con un lampo di follia negli occhi. «La cosa strana è che ciò che vedi tu, quello che vediamo noi tutti, sfugge a quel branco di maiali arroganti che circonda il nostro re.»
Il giornalista si bagnò le labbra col vino poi riprese il suo discorso.
«La nobiltà ed il clero devono prendere atto che il terzo stato, che il popolo, ha i suoi diritti e le sue ragioni. Il teorema secondo il quale lo sfarzo ed il lusso di pochi debbano fondarsi sulla sofferenza di molti deve essere abbattuto.»
Bernard era ammirato e non riusciva a distogliere gli occhi da quell'uomo che esponeva i suoi pensieri con tanto fervore.
«I tempi sono maturi ragazzo mio, sono più che maturi. La convocazione degli Stati Generali, la proclamazione dell'Assemblea Nazionale, la presa della Bastiglia, la dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, sono tutti sintomi che il mondo è pronto per un grande cambiamento.»
Bernard aveva ascoltato quel fiume in piena come in estasi, anche se quei discorsi sugli Stati Generali o la proclamazione dell'Assemblea Nazionale a lui non dicevano nulla. Non li aveva capiti e non si era minimamente sognato di chiedere spiegazioni a quell'interlocutore così autorevole che si era degnato di parlare con lui.
Ciò che aveva capito, ciò che il suo intuito gli comunicava, era che il destino aveva voluto renderlo testimone in prima persona di eventi tutt'altro che marginali.
Negli anni che seguirono, pur continuando a lavorare al caffè, cominciò ad interessarsi di politica e a seguire gli scritti e le tesi di Marat.
Quando non lavorava nel locale di Monsieur Zoppi, gli piaceva stare per la strada con la gente, cercando di alleviare moralmente, nel limite del possibile, le sofferenze di quella massa di reietti.
Soprattutto si impegnava a risvegliare nel petto di quelle persone un orgoglio rimasto sopito troppo a lungo, inculcando nei loro cuori e nelle loro teste la convinzione nei diritti inalienabili che possedevano in quanto uomini.
Intanto al caffè gli incontri si susseguivano senza sosta e Bernard notò che Marat e Danton si incontravano spesso con un avvocato membro dell'Assemblea Costituente, tale Maximilien De Roberspierre.
Fu proprio durante uno di questi incontri, avvenuti nella prima settimana di agosto del 1792, che Bernard venne a conoscenza della decisione di assaltare il palazzo delle Tuileires, residenza del monarca francese dopo Versailles.
Bernard individuò in quel giorno l'inizio e, allo stesso tempo, la fine, degli ideali rivoluzionari più puri.
Infatti l'assalto al palazzo reale segnò, col senno di poi, la fine del regime monarchico e l'inizio di un corso repubblicano in cui gelosie e vendette andavano a contaminare la nobiltà dell'originario spirito rivoluzionario.
La fine del regno di Luigi XVI e Maria Antonietta D'asburgo Lorena, condannati alla ghigliottina per il tradimento del popolo di Francia, coincise con l'inizio di un periodo malato e corrotto, il periodo del terrore.
Il sangue reale versato alla nascita della nuova repubblica fu un segno di sciagura destinato ad abbattersi su tutti gli eventi a venire.
Quegli ideali di giustizia e uguaglianza nati, per così dire, sul sangue di Luigi Capeto, continuarono a nutrirsi di sacrificio e morte.
Proprio per questi motivi a Bernard non sembrò per nulla strano trovarsi al cospetto dei corpi senza vita di coloro che con le loro idee ed il loro spirito inizialmente vergine avevano animato il caffè dove prestava servizio.
Quando lasciò Parigi e la Francia nell'ottobre del 1794, nei suoi occhi
erano ancora vivide le immagini di Marat col petto squarciato nella sua vasca da bagno, oppure le teste di Danton e Roberspierre che a distanza di un anno pendevano inerti nelle grosse mani del boia parigino.
Nel giro di due anni, dal 1792 al 1794 la morte aveva preso residenza stabile a Parigi e aveva lavorato a ritmo continuo.
Ogni minimo sospetto era decisivo per fare cadere delle teste.
Le piazze e le strade di Parigi erano colorate dal sangue che la ghigliottina spargeva senza sosta nella sua falsa azione purificatrice.
Gli ideali di una nuova visione del mondo erano stati traditi da uomini incapaci di sostenere il peso di questa rivoluzionaria realtà.
Mentre la nave lasciava il porto di Le Havre per il lungo viaggio che lo avrebbe portato dall'altra parte dell'oceano, nella nuova terra dell'uguaglianza e della libertà, Bernard ripensò alla frase che Marat gli aveva detto alcuni anni prima: il teorema secondo il quale lo sfarzo ed il lusso di pochi debbano fondarsi sulla sofferenza di molti deve essere abbattuto.
Parole belle, certamente condivisibili, ma difficilmente attuabili.
Durante quella lunga traversata pensò alla povera gente vessata da pochi privilegiati, quindi agli aristocratici decimati dalla furia e dalla vendetta rivoluzionaria, la stessa furia che infine aveva colpito implacabilmente ogni classe sociale, senza distinzione alcuna.
Forse nel nuovo mondo le cose sarebbero state diverse; per questo in fondo aveva lasciato la Francia e l'Europa. Aveva bisogno di credere ancora.
Probabilmente però le sue erano solo inutili speranze.
Il dubbio che lo divorava era che anche in quella giovane terra il male avesse già attecchito, corrompendo tutto e tutti.
Pur nella sua ignoranza Bernard Lafitau aveva capito una cosa; il male era insito nell'uomo ed ogni buon proposito rischiava di essere vanificato.
Presto o tardi odi e rancori avrebbero fatto la propria comparsa sulla scena per reclamare il loro tributo di sangue, e non sarebbe bastata tutta l'intelligenza o la saggezza di questo mondo per placare l'ira di quei demoni.
Ma quelli erano solo pensieri, intuizioni destinate ad affogare dentro una sconfinata distesa d'acqua salata.