illuminava l’uomo.
Freddo tramonto.
«Nicola, te la ricordi questa?»
Armeggio un attimo col computer, poi parte la musica. Nicola, appoggiato allo stipite del caminetto, un calice di rosso in mano, alza il viso e sorride. Appena arriva la voce, la accompagna:
Salve ragazzo che passi il giorno,
alla finestra della tua stanza.
«Non si scordano certe cose, Fausto. Però non la sentivo da almeno vent’anni. Lolli…»
Chiude gli occhi.
So cosa gli sta passando in testa, ogni tanto lo rivivo pure io. Mi piace farmi del male da solo.
«Chissà che fine hanno fatto gli altri» dico.
«Già… Manuela, Sergio, Nino… più visti né sentiti.»
questa canzone scritta di niente,
sceglierà te tra tutta la gente,
per l'ultimo brindisi l'ultimo addio,
l'ultima cara bestemmia "per dio!"
«Ne abbiamo tirate di bestemmie, anche noi.»
Provo a riprendere il dialogo. Credevo si lasciasse andare, invece pare totalmente preso dalla canzone.
«Voi sì» dice poi, «ma non vi sono servite a molto. Io sono sempre stato un credente, ma temo che allora anche Dio ci abbia preso in giro. O forse ci ha fermati.»
«No, non mi pare. Si è solo lasciato insultare, niente più. Direi che è stato totalmente passivo, per questo sono ancora convinto che non esista.»
Mi guarda, attento. Gli ho risvegliato qualcosa.
Questa canzone scritta di rosso,
sarà con te a saltare quel fosso,
sarà con te insieme a te canterà,
il primo giorno di libertà.
«Dannazione, Fausto, ma come abbiamo fatto? Eravamo tanti, così belli, veri… ci credevamo davvero, come abbiamo fatto a perdere? Dov’è la bottiglia? Dammela.»
Gliela passo. Si riempie il bicchiere, guarda le fiamme nel camino. Non so se è sincero, poco fa ringraziava il cielo di averci fermati…
«Ci siamo fottuti da soli, Nicola, proprio perché eravamo puri. Ci hanno manipolati fino a renderci innocui, a volte addirittura inutili, miseri.»
«No, non è vero.»
«Sì, amico mio, è così. E chi ha provato a resistere è stato fatto fuori, in un modo o nell’altro. Non ce ne siamo accorti in tempo, abbiamo avuto fede. Troppa.»
Il suo sguardo mi trafigge: «Tu proprio non riesci a lasciarlo in pace, Dio, vero?»
La bottiglia è vuota, ne prendo un’altra.
«Dio? Non so chi sia» dico mentre giro il cavatappi, «parlavo di fede negli uomini. Fiducia.»
Annuso. È profumatissimo.
«Assaggia questo, è un Merlot barricato.»
Le barricate, le fughe, i girotondi in piazza. Gli scontri con la polizia, le sprangate. Le botte.
«Ha il colore del sangue» dice dopo averlo rimirato nel calice.
questa canzone scritta di rabbia,
ognuno di voi per sua voglio che l'abbia,
per me sarà stringervi tra le mie braccia
e uno ad uno sputarvi in faccia.
«Ma il sapore è diverso. Questo sa di legno, il sangue sa di ferro, Nicola. Me lo ricordo bene.»
Sorseggio anch’io, mentre l’ex compagno mi guarda di sottecchi.
«Ahhhhh, che buono… No, il sangue è un’altra cosa, Nicola. Quando quei dannati celerini mi hanno massacrato ne ho ingoiato parecchio. E ho perso un paio di denti, pure. Chissà chi è stato quel bastardo che li ha avvisati del nostro rifugio.»
È un po’ sorpreso della piega che la discussione sta prendendo.
«Stavamo andando oltre» dice, «è stato meglio così.» Vuota il bicchiere in un sorso, prende la bottiglia e versa di nuovo. Trema.
Lo osservo in silenzio. Distoglie lo sguardo verso la fiamma del camino, si nasconde.
«Sei stato tu, vero?»
Non risponde.
«Nicola, guarda che ormai è tutto finito, puoi anche dirlo, liberarti di quel peso.»
Alza la testa, ha gli occhi lucidi.
«Non volevo, Fausto, non volevo… ma ciò che avevate in mente era troppo, per me.»
«Te ne potevi andare, nessuno ti avrebbe fermato.»
«Non è vero!» alza la voce. «Lo avreste fatto, lo sai bene.»
«Cazzo, Nicola, mica eravamo le Brigate Rosse, volevamo solo un’Italia migliore, più a nostra misura. Non abbiamo mai fatto attentati.»
«Certo… e le auto bruciate? Le vetrine sfasciate? Cos’erano quelli?»
Mi sto spazientendo. «Era il nostro far vedere che c’eravamo, perché le parole non le ascoltavano. E quando lo hanno fatto è stato per corromperci. Bravi loro, coglioni noi.»
La tua canzone, il tuo testamento,
come una foglia goduta dal vento,
e dei tuoi amori, di quel che sei stato,
resterà solo quel muro imbiancato.
Non sa più che dire. Lo zittivo sempre, anche allora, e non è cambiato niente. Ho solo la certezza che il traditore è lui, come pensavo.
«Eravamo tutti foglie dello stesso albero, Nicola, ognuna attaccata al proprio ramo. Alcune sono cadute, strappate dal vento e portate chissà dove, altre hanno provato a resistere. Io sono ancora una foglia e non voglio che mi goda il vento, come dice Lolli, voglio essere io a godermelo, finalmente. Sono stanco di stare attaccato al ramo, è tempo che voli via.»
«Cosa vuoi dire?»
È preoccupato, giustamente. Ha appena confessato e io gli dico che sono stanco, chissà cosa si aspetta. Vedrò di non deluderlo.
«Poco fa ti ho chiesto dei nostri compagni, in realtà so bene che fine hanno fatto: Manuela è morta due anni fa, ma non era più viva da tanto tempo. Sergio è in Sudamerica, Nino è tornato in Sicilia, in un centro sociale. Daniele, Laura, Stefania, la tua Stefania, quella che amavi tanto, almeno a parole, sono volati, foglie nel vento. Tanti altri hanno fatto la stessa fine, siamo rimasti in pochi. Qui a Brescia solo io. E ora anche tu.»
«Sono di passaggio, per lavoro. E la amavo davvero, Stefania.»
«Anche lei. Tu non volevi che si facesse e se fossi rimasto forse ti avrebbe ascoltato.»
Riempio di nuovo i bicchieri, poi riprendo: «Sei stato un vigliacco, Nicola, e lo sei ancora. Ti ho perso di vista subito, ma quando ho saputo che tenevi una conferenza sull’economia globale qui in città, ho voluto questo incontro proprio per chiarirci una volta per tutte.»
«Questo è il mio lavoro» ribatte.
«E chi te lo nega? Del resto cosa ci si poteva aspettare da uno come te? Speculazione…»
«Devo andare, Fausto, basta così.»
«Aspetta» gli porgo il calice, «facciamo l’ultimo brindisi, l’ultimo addio. Poi vai dove ti pare, anche all’inferno, se è il caso.»
Mi guarda con sospetto.
Rido. «No, non è avvelenato, non preoccuparti. Non sono sottile come te, preferisco i metodi diretti.»
Lo guardo. «Non capisci cosa intendo, vero?»
Scuote la testa, ma prende il bicchiere.
«Ti ho detto che sono stanco, voglio godermi il vento, quindi ho deciso di chiudere la carriera con un colpo di coda. Sono laureato in scienze politiche, ma ho dovuto inventarmi di tutto per lavorare, solo perché non mi sono piegato. Mi sono fermato con questa cooperativa di raccolta rifiuti, mi ci trovo bene, ma ora basta. Nell’ultima settimana ho minato una decina di cassonetti e li farò esplodere a mezzora di distanza l’uno dall’altro a partire dalla mezzanotte. Sono tutti nelle vicinanze di sedi di banca. Manca poco, prova a scoprirli.»
Alzo il calice. «Salute, Nicola.»
«Tu sei pazzo!» Depone il bicchiere, prende il cellulare e compone un numero. Di sicuro chiama la polizia.
Rido forte, ora.
«Bravo, chiama i pulotti, bravo. Ma vai a cagare, cretino, mi credi davvero capace di un gesto simile? Sotto di noi c’è una filiale bancaria e nel cortile interno ci sono due cassonetti, credi che mi faccia saltare? Volevo solo vedere la tua reazione.»
Il suo viso si distende, si mette una mano in testa e poi lancia una risata isterica appena si sentono le sirene delle volanti che arrivano.
Lo guardo negli occhi.
Alzo il calice, sorseggio.
L’ultima cosa che sento è il boato.
E la tua canzone scritta sul muro,
cancellerà ne sono sicuro
e basterà appena una mano,
perché il suo suono si spenga piano.