CAPITOLO III
Non era passato neanche un mese.
Si guardava con sospetto ogni volto nuovo che arrivava alla cascina. Si stava attenti a come si parlava, con chi si parlava. Ogni frase poteva essere fraintesa od usata a proprio comodo.
Quando entrarono nel cortile, a tutta velocità, con il Fiat 621 che il partito gli aveva dato in dotazione, Carla capì subito che non c’era da aspettarsi niente di buono.
“Ciao Carla, non c’è Pietro?” Jacopo saltò giù dall’camioncino, con la solita aria spavalda e tracotante. Dal telone si sporse anche Carletto, occupato a tener buono un gruppo di galline che saltellavano per tutto il rimorchio.
“Non è qui” rispose. Pietro era andato nei campi; almeno non c’era il rischio che perdesse le staffe, rendendo ancora più problematica la situazione, pensò la donna.
“Buongiorno Corti!”
Felice, il nonno Malaspina uscì dal fienile, con il forcone in mano. Era da parecchio che non lo chiamava più per nome, a tenere le distanze dopo che Jacopo aveva preso atteggiamenti che lui non sopportava.
“Stiamo organizzando una festicciola per il 21 aprile, come ha chiesto il nostro benemerito”.
Felice lo guardò di sbieco; se mal sopportava la Festa del Lavoro del Primo Maggio, peggio ancora aveva digerito che Mussolini l’avesse abolita per sostituirla con il Natale di Roma, festeggiato qualche giorno in anticipo.
Jacopo non se ne curò, anzi ci prese ancora più gusto: “Come vedi le cascine vicine hanno contribuito con galline, tacchini e qualche bel salame, ma se non ricordo male, il tuo Pietro ha comperato da poco un bel maialino alla fiera di San Bartolomeo. Penso che sarebbe ben felice di contribuire con il pezzo forte del banchetto. Non credi?”
Una vampata di calore gli arrivò fino alla cima dei capelli che, nonostante i quasi settant’anni, troneggiavano ancora folti sul suo capo. “Ma l’abbiamo preso per farne salami alla fine dell’anno prossimo! Prendi uno degli altri due!” provò ad obiettare.
“Suvvia nonno, lo sai che quello ha l’età giusta per un bello spiedo! Ma siete inviatati anche voi, naturalmente. Basta venire con la tessera!”
Bastò uno sguardo di intesa e il Carletto saltò giù dal camioncino, scavalcò il cancelletto del porcile e in pochi balzi afferrò il piccolo maiale caricandoselo sulle braccia.
La povera bestia, destinata a ingrassare e scorrazzare libera per almeno due estati prima di diventare carne da prelibati insaccati, non avrebbe visto neanche uno dei due agosti promessi.
Erano più di tre ore che Felice non si vedeva e Carla iniziava ad essere preoccupata.
Si era allontanato in tutta fretta appena il Fiat 621 aveva svoltato sulla strada alla fine dello sterrato, uscendo dalla sua vista. Aveva preso la strada dei campi, solo, con passo rapido, per fare sbollire la rabbia per tanta sfrontatezza.
“Maria Consolata” chiamò “vieni qua che ho bisogno di un favore!”
Consola la raggiunse preoccupata; aveva assistito alla scena da dietro il portone, evitando di farsi vedere per non date ai due bellimbusti ulteriori spunti per battute o provocazioni. “Dica signora”.
Consola prese l’ampio scialle e si incamminò nella direzione in cui Felice era scomparso, seguendo sentieri tra i campi ancora asciutti. Da lì a qualche settimana sarebbero stati allagati per la semina del riso, e i canali erano già gonfi d’acqua, pronti al compito a cui erano destinati.
Di tanto in tanto si fermava e gridava il nome del nonno Malaspina, ma non giunse nessuna risposta. Neanche i pochi contadini che incontrò lo avevano visto, sembrava si fosse volatilizzato.
Quando lo vide le venne un colpe al cuore. Era appena giunta agli argini del Gogna, convinta comunque che il pover’uomo non avrebbe potuto spingersi fino al là. Invece lo vide! Giaceva immerso in quel torrente che qualche chilometro dopo si sarebbe buttato nel Po.
Normalmente poco fondo e con una corrente leggera, proprio in quel periodo convogliava le nevi dalle Alpi e le piogge primaverili verso i campi. Felice, attaccato ad un ramo, cercava di raggiungere la riva, ma le acque ancora fredde gli stavano portando via le ultime energie.
La ragazza si precipitò giù da pendio fino alla riva, dove Felice era scivolato nel fiume, facendo attenzione a non fare lo stesso errore. Riuscì ad entrare nella corrente fino alle ginocchia. Tenendosi ad un tronco, allungò la mano.
Il calore della presa parve trasmettersi a tutto il corpo del poveretto, che con un ultimo sforzo riuscì e riemergere fino ad adagiarsi, tremante ed esausto, sulla sponda.
Doveva scaldarlo al più presto: “Presto, venga qua. Si tolga i vestiti bagnati prima di congelare!” Le mani intirizzite faticavano ad obbedire; lo aiutò. Poi prese il grosso scialle che aveva addosso e glielo gettò addosso.
“Si sdrai un poco sull’erba”.
Il corpo non smetteva di tremare, per il freddo e per lo sforzo, allora Consola gli si distese in fianco. Il calore del corpo si trasmise in fretta, ma appena Felice si riprese un poco, scoppiò in un pianto dirotto, incontrollato, infantile che raccoglieva tutte le mortificazioni subite nella giornata.
Maria Consolata non poteva sopportare tanto da quell’uomo che era stato buono con lei e la sua famiglia fin da quando era piccola. Gli si strinse ancora più forte, gli sussurrò parole nell’orecchio, per tranquillizzarlo… come solo lei sapeva fare.
Felice sembrava accettare la cura; si voltò con dolcezza verso la ragazza, non riuscendo a nascondere, nonostante non fosse più un giovanotto, che il suo corpo stava reagendo a queste attenzioni.
Consola non se ne scandalizzò. Lasciò che la sua mano scivolasse tra le sue gambe e lo consolò.
Domani avrebbe dovuto recarsi subito da padre Franco a confessare il suo peccato. Se lo vedeva già dare in escandescenza, redarguirla, minacciarla. Chissà se alla fine l’avrebbe capita… e l’avrebbe perdonata?
Ultima modifica di FedericoChiesa il Dom Mag 23, 2021 2:49 pm - modificato 1 volta.