***
“Una cosa alla volta.”
Vorrei poter dire qualcosa di più intelligente ma tutto ciò che ha senso, in questo momento, è solo Una cosa alla volta.
Sigrid giace seduta dove l’ho lasciata, con una mano a reggersi il braccio e i capelli madidi che le scendono sul viso.
“EHI!” Afferro Lucilla per il braccio nel momento in cui si proietta come un fuso verso il confine del campo, “Dove vai?”
Si volta a guardarmi con la più ferita delle espressioni, tenta di liberarsi con un gesto brusco, poi “Lasciami!”, quindi un altro strattone.
“Dove vuoi andare?”
“A cercare la croce!”
Scuoto la testa, allucinata, indico verso il sauro che continua a fissare ogni nostro movimento da poca distanza. “Te ne sei accorta, sì?!”
Lei rimane per un attimo ferma, vibrante, impossibile dire se davvero veda la bestia per la prima volta o no; poi svicola dalla mia stretta, si muove sul posto, febbrile, si china a raccogliere un sasso. Lo scaglia contro il sauro centrandolo sul petto ossuto.
La risposta è un agitato momento di collera seguito da un concerto di soffi, stridii, un verso impossibile da replicare che suona come la peggior bestemmia.
“Dio santo,” afferro la suora per le spalle e la scaglio indietro, verso il centro dell’accampamento, “Basta fare la pazza, okay?!”
Nei suoi occhi c’è tutta la rabbia degli invasati, per un attimo vedo e sento il suo istinto di attaccarmi; ci vogliono secondi interminabili perché la razionalità le risalga in cattedra: ravvia i folti capelli che le spiovono sul viso, espira, fissa il terreno.
“Possiamo,” Sigrid deglutisce, in viso una paura che non è solo per la situazione, “Restare unite, per favore?”
“Una cosa alla volta,” mormoro di nuovo, senza crederci, “Una fottuta cosa alla volta.”
Guardo il sauro che ora passeggia avanti e indietro sulla linea del campo, nervoso, indignato dal colpo a tradimento. Affamato.
C’è sangue intorno, accanto al fuoco, sull’erba. Ci sono schizzi e strisciate, e il buio nasconderà sicuramente altri dettagli.
“Sono morte?” Sigrid chiede in un sussurro.
Non posso che annuire, e il farlo fa male, da qualche parte dentro. Un male che sa di sconfitta, di vuoto. “Credo di sì.”
“Credi?”
“Credo di sì.”
Vaga gli occhi, spersa. “Ma non le hai controllate?”
“Non le ho controllate, no.” Troppo scossa per farlo. Non riesco a muovermi, a pensare lucidamente, l’idea di mettermi a tastare giugulari mi fa girare la testa.
Erano le nostre nuove alleate, un punto di partenza, e sono morte.
“Io ne vedo solo tre,” insiste lei, e ha ragione. Lascio scorrere lo sguardo intorno, nelle ombre della radura, ce ne sono solo tre: la gazza, la volpe, lo scoiattolo; giacciono abbandonate e macchiate di sangue lì intorno.
Soffoco un leggero assalto di pianto.
“Quindi non le hai controllate?”
“Cristo, no!”
Lucilla fissa e il suo sguardo è un incendio. Dovrei toccare loro la giugulare, il polso, magari sono salvabili, magari sono vive. Magari. Non ho il coraggio di avvicinarmi.
Ho un freddo dentro, nel petto, che mi tiene inchiodata in quel riquadro di prato notturno.
“Datemi tregua, d’accordo? Sono confusa.” Mando giù la saliva che sa d’amaro. “È successo qualcosa. Mentre eravamo nel mondo dei sogni, è successo qualcosa, qualcuno è stato qui, ci ha aggredite. Io non mi ricordo un cazzo, niente!”
“Neanche io.”
Lucilla non risponde ma glielo si legge negli occhi che comunque non le importa: ha altre priorità.
Mi guardo la mano, che brucia sul dorso, poi il braccio fasciato di Sigrid.
“Possibile che non ricordi come te lo sei fatto?”
Scuote la testa, allibita.
Ho un vuoto nella memoria a breve termine che sembra un abisso e la cosa mi fa star male. Qualsiasi erba abbiano bruciato nel fuoco doveva essere potente, un allucinogeno, forse, uno stimolante. Mai capito niente di droghe.
“Sono state le Erinni.” Artemis lo scandisce in un soffio, con la paura di essere udita; si guarda intorno e le ombre osservano di rimando.
Il pensiero si fa strada nel caos dei sensi, ma è sempre stato lì.
Le Erinni.
Atreja.
“Perché non uccidere anche noi?”
Sigrid alza lieve le spalle. “Per irriderci. Spaventarci.”
“No, no, non ha senso. Potevano prenderci. Eravamo lì, sfatte a merda. Potevano prenderci, farci a pezzi, potevano fare qualunque cosa.”
Mi tocco ancora, con foga, il ventre, le cosce, il seno: non sento dolore, nulla fuori posto. È solo la mano. “Magari un sauro.”
Quello dietro di me rimane in attesa, infaticabile, le narici fremono in un misto di cannella e sangue che deve essere, per lui, una tortura.
“Quale sauro? Quello non passa oltre il confine del campo.”
“Le Erinni vengono qui in piena notte, ammazzano Tania e le altre e ci lasciano stare?”
“Ci tenevano d’occhio, capisci?! Ci osservavano, ci seguivano! Queste le hanno tradite e loro… loro le hanno massacrate come monito, e noi, noi siamo le prossime ma non è ancora… il nostro turno!”
Suggestioni si rincorrono nella penombra della radura. Spettri, demoni, diavoli, mostri: donne. Qualsiasi ombra ha di colpo le sembianze di una di loro, una guerriera di Illumina, celata, la paura che cresce e s’ingozza di noi.
“Perché due mancano? Dove sono Jade e Saetta?”
“Le hanno prese.”
“Potevano prendere una di noi.”
“Mercury, non voglio restare qui un altro secondo…”
Apro le braccia, mi tremano le mani. “Dove cazzo vuoi andare in questo momento?”
“Voglio andare a casa.”
“A casa non ci fanno tornare.”
“Io non reggo un altro giorno qui…!”
“Non ci fanno tornare.”
Il viso le si contrae in una smorfia di pianto; sussulta le spalle e, in silenzio, soffoca le lacrime.
“Non ho più la mia croce.” Lucilla, che non ha detto una parola fino a quel momento, ci fissa feroce più della creatura al confine del campo. “Dobbiamo ritrovarla.”
La croce.
Siamo nella merda e lei pensa alla croce.
La croce ci ha salvate dalla merda, non molto tempo fa.
Vuoi vedere?
Un pensiero, il pensiero, si fa strada nella mia testa confusa. La croce.
La croce ha fermato Panzer-2. La croce non c’è più. Hanno fatto tutto per fregarsi la croce.
Impossibile.
Assurdo.
Del tutto privo di senso.
Non del tutto.
“Alzati,” accenno verso Sigrid che mi guarda spersa, “Alzati, ho detto.”
Ubbidisce, controvoglia; la raggiungo con in testa un mischione di pessime congetture.
“Levati la giacca.”
“Perché?”
“Levatela. Lu,” sperando nella sua collaborazione, “Vieni qua, mi serve luce.”
“Che cazzo vuoi fare?” Il tono di Artemis è tremulo e nevrotico.
“Rilassati, principessa, non ti faccio niente. E levati la fottuta giacca.”
Espira, i nervi a mille; si sfila la giacca beige a scaglie della sua elaborata uniforme da caccia, un patetico gesto alla volta per via del braccio ferito. La maglietta grigia che porta di sotto è macchiata di sudore.
“Ti sbrighi?” Un gesto spazientito verso la suora che non s’è mossa; espira anche lei, s’avvicina, non l’ho mai vista così tesa, su di giri, fuori di sé. Non è la mite creatura con la quale ho camminato nei boschi.
“Il telefono.”
Sigrid toglie di tasca l’apparecchio, glielo prendo e consegno a Lucilla. “Luce, per favore.”
Ubbidisce controvoglia.
“Ora ferma e zitta.”
Le prendo il braccio, slego la fasciatura. Mugola di dolore e piagnucola. Non ha vent’anni, ci può stare. Siamo su un’isola del cazzo con mostri e assassine: ci può stare.
Illuminata dal chiarore della torcia, la ferita rosseggia e sanguina.
“Non è un morso.”
Ne ho viste di lacerazioni così, nette, da affondo.
“È una coltellata.”
Lei mi guarda con occhi che vibrano d’inquietudine. “Io col sinistro ci reggo il fucile…”
Di colpo abbiamo un fottuto problema in più.
A una tolgono la croce, all’altra pugnalano il braccio col quale regge il fucile.
A me?
Guardo la mano destra sporca di sangue. Non ci voglio pensare.
“Una cosa alla volta,” ripeto ancora, “Mi serve del disinfettante.”
“Dove cazzo lo prendiamo?”
Connetto a stento ma connetto. “Era nel mio zaino.” Bonus pugno alla Masca. “Rimani qui.”
“Dove vuoi che vada?”
Mi scosto e vago alla ricerca; il nostro equipaggiamento era stato gettato non lontano dal fuoco, pochi passi, ricordo, non così lontano. Gli zaini stanno lì dove li avevano buttati queste poveracce, le nostre armi invece non ci sono più: non mi stupisce affatto.
Rovisto, ritrovo il flacone di disinfettante, ritorno da loro.
“Pronta?”
Mi trema la mano, sono agitata neanche dovessi medicarmi io stessa.
“Brucerà, sì?”
“Come l’inferno.”
“Che cazzo, però…”
Asciuga le lacrime, tira su col naso, il volto le rimane piegato in una smorfia di paura e ansia. “Dai, fallo.”
“Non devi gridare.”
“Come faccio a non gridare?!”
Esito. Guardo intorno, cerco l’idea, l’idea arriva. “Mordi una cintura.”
“Allora datemi una cazzo di cintura.”
Faccio per andare alla grossa fibbia dei miei calzoncini, ci ripenso, guardo Lucilla, “Dagli la tua.”
“Poi mi cadono.”
“Tanto ti hanno già vista in tutti i modi.”
“Dagli la tua.”
“Si può sapere che problemi hai?!”
“Niente cintura,” Sigrid raspa un piede per terra, lo sguardo allucinato, “Vaffanculo la cintura! Mettimi quel disinfettante!”
“Se gridi ti arriva un pugno.”
“Non grido.”
“Madonna se fai arrivare un altro di quei…”
Il sauro guarda in sottile eccitazione. Sembra una pessima barzelletta: ci sono tre cretine, un flaconcino di disinfettante e un dinosauro.
“Allora vado.”
“Vai!”
Intrido il panno che era la sua sommaria fasciatura, lei stringe le labbra, serra gli occhi.
Nel momento in cui glielo sprimaccio sulla ferita parte un rantolo disperato; Artemis si preme una mano sulla bocca, grugnisce, si accascia sulle ginocchia. Devo tenerle il braccio mentre pulisco e disinfetto, chinandomi a mia volta. Sua Delicatezza non regge il dolore e non mi stupisce neanche questo.
“Pensa se dovevo tirarti fuori un proiettile.”
Risponde solo con un altro verso prolungato.
“Ho finito, ho finito. Lu, il telo, prendi il fottuto telo che c’è in terra, là.”
Lei ciondola, seccata, poi si avvia, raccoglie, ritorna con la flemma odiosa degli ostruzionisti. Vorrei chiedere cosa cazzo le prende, ho altro per la testa. Non sono un medico e ricordo solo i rudimenti del primo soccorso, Iraq, Afghanistan, ma pure all’addestramento ci hanno fatto una testa così; le faccio strappare una seconda banda di tessuto che funga da fasciatura, inizio a lavorare su quel braccio che sbrodola e s’arrossa.
“Non è grave, d’accordo? È solo un taglio, un taglietto, un po’ di pazienza e passa.”
“Sanguino come una fontana!”
“Figurati, oh, che ne sai tu di medicina?”
“Non mi far morire, Mercury, Cristo, non voglio morire in questo cazzo di modo!”
“Ma cosa vuoi morire, ma fiducia in me zero?! T’ho detto che non è niente, ti hanno bucata con un coltello, roba piccola, se crepi per un buchetto così sulla lapide faccio scrivere che sei morta da cogliona. Ci stai?”
“Ma cazzo…”
Finisco di stringere la benda, ho fatto un discreto lavoro. Fiera di me.
Mi stacco, pulisco le mani e ravvio i capelli, riprendo fiato.
“Va bene,” insisto, “Ora dobbiamo pensare a lui.”
Il rettile ondeggia la coda e tossisce, consapevole che stiamo parlando del suo fottuto grugno.
“Se la cannella finisce e quello entra nel perimetro siamo fregate.”
“Sparagli.” Sigrid mi guarda con due occhi tetri, sofferenti. “Prendi il mio fucile e sparagli.”
Non c’è il tuo fucile. Non c’è più. Se lo sono fottuto, come il mio coltello, come le due Gang-Bang che mancano all’appello. Mi ritorna in mente la faccenda della ragazza-panda torturata a morte per ricordare a tutti chi è che comanda in Illumina.
Sigrid accenna col capo a un punto che sta lì vicino, a terra: il suo fucile è lì, nell’erba, accanto a dove l’ho trovata stesa e moribonda. Il suo fucile ultraleggero da ricca principessa safari è lì e io non l’avevo visto. Devo essere ancora parecchio rincoglionita per gli effluvi.
Non ce lo hanno portato via.
Il fucile è lì.
Avanzo a passo lento, raccolgo, lo imbraccio con tutta la calma del mondo. Controllo la sicura e non è inserita: strano. Illogico.
La inserisco, rimuovo il caricatore.
“Ti mancano due colpi,” mormoro contando le cartucce all’interno.
“Io qui non ho mai…”
Sparato. Lo so. Qualcuno lo ha fatto mentre eravamo strafatte. Contro chi o cosa non vorrei neanche saperlo.
Reinserisco il caricatore, tolgo la sicura.
Punto con calma glaciale ma la mano trema leggermente; l’ultima volta che ho puntato un fucile automatico è finita con un cadavere sull’asfalto di Kandahar e il tribunale militare.
Il sauro si delinea come in un gioco di luci dentro la lente del mirino. Un colpo elementare, distanza esigua, non fosse per l’occasionale movimento a scatto del capo.
La carabina è attenuata ma lo sparo farà comunque rumore. Magari ne attirerà altri, o magari farà sapere a chi ha fatto questo macello che siamo sveglie: entrambe le alternative mi tengono l’indice inchiodato un centimetro sopra il grilletto.
Potevano ucciderci dieci volte nelle scorse ore. Non l’hanno fatto.
Sigrid fissa avanti, in tensione, protesa come se il colpo dovesse farlo partire lei; Lucilla fissa me con lo stesso sguardo strano, cupo, quasi indifferente. Non la riconosco, una volta di più.
Abbasso l’indice.
Espiro e riempio di nuovo i polmoni.
Se non stai dalla parte di Galena, Galena non starà dalla tua.
La voce di Tania risale dall’inferno e riverbera nella mia testa confusa. Tania che giace stesa in sangue sull’erba ma è come essere di nuovo tutte assieme davanti al falò, a progettare la distruzione delle Erinni, a ballare come cretine strafatte, a credere che ci possa essere un futuro migliore tra questi boschi infestati.
Avevamo appena intravisto una via d’uscita e nel giro di poche ore è tutto finito. Tutto affogato nel sangue.
Il dito sul grilletto trema per un attimo.
La bestia, per quanto mi stia sul culo, non è una minaccia in questo momento. Se le sparo, se la abbatto, se veramente l’isola pensa, esiste, se ammazzo un animale senza motivo, se, se, se sono pazza o lo sto diventando: se è un robot e tutto è programmato, forse ma forse sto per fare una cazzata.
Sparo.
Non sparo.
Sbatto le palpebre, deglutisco.
La cosa sta lì, ignara del potere di vita o di morte che detengo. Con un’arma in mano è così: sei giudice della vita altrui. Sei tu che decidi. Come a Kandahar: ho deciso in un secondo. Ho fatto la cosa giusta.
Alla fine la faccio sempre.
Galena non starà dalla tua.
Abbasso l’arma e rimetto la sicura; “Non è il caso,” recito, “Non così.”
“Che significa?”
Alzo di spalle, “Metti che la cosa dell’isola è vera.”
“Non puoi dire sul serio.”
“Non voglio rischiare.”
Sigrid appoggia la testa contro la roccia e ride, senza suono. Passano secondi interminabili, secondi di nulla. “Comunque,” mormora, “Charlie’s Angels è proprio un nome di merda.”
“Non mi è venuto nient’altro.” Perdo di colpo un respiro: qualcosa si muove nella testa, nella memoria. “Ripetilo.”
“Cosa?”
“Quel che hai detto.”
Ci pensa, vaga gli occhi. “Che Charlie’s Angels è un nome di merda.”
“Me lo hai già detto, sì?”
Vaga ancora di più gli occhi. “Non credo, no.”
“Non lo hai detto prima d’ora?”
“No, ti dico…”
Invece sì, l’ha detto. Fisso il buio, allucinata, mentre entro in un gigantesco déjà-vu: la stessa identica battuta, lo stesso tono, tutto come riviverlo per la seconda volta. Mi ha già detto questa cazzata e io le ho già risposto Non mi è venuto nient’altro. L’abbiamo già fatto questo siparietto.
Ricordi affiorano come cadaveri dal fango e pezzi distanti si riconnettono, pezzi di notte appena trascorsa, frammenti di orrore che abbiamo vissuto, tutte, qui, poco o molto tempo fa.
Alzo uno sguardo attonito su Lucilla e lei mi fissa di rimando.
Stiamo o sto ricordando qualcosa.
E non mi piace affatto.
***
Frammento 9 – Intercettazione telefonica (Sigrid Montego – I)
“Ehi.”
“Sig!”
“Ciao.”
“Dove sei?”
“A casa, in vestaglia, nel mio lettone.”
*risatina assonnata*
“Ma cos’è questa storia? Sei scema nell’anima?!”
*breve silenzio*
“Volevo fare una cosa diversa.”
“Ti sei iscritta a quella merda di show? Ma tu non sei a posto!”
“Meg, rilassati, so quello che faccio.”
“Sono la tua migliore amica, è mio dovere dirti quando fai una cazzata, e adesso ne stai facendo una che vale per dieci! Ma l’hai capito o no che la gente muore in quel programma?!”
“Meg.”
“Io… io ti ammazzerei quando fai queste cose! Con tutto quello che si può fare a questo mondo, perché una cosa così pericolosa?!”
“Meg.”
“Tu sei scema! Perché ti hanno sfidato? Chi? Quegli sfigati che ti insultano le storie su Insta?! Ma paga un hacker perché gli dia fuoco al profilo!”
“Meg, mi fai parlare? Mio padre ha detto che va bene, che posso andare.”
“È uscito di testa anche lui?!”
“Ma no. È andato a parlare con quelli dello show, sai che vuol dire?”
*silenzio*
“Vuol dire che è tutto a posto, che non è pericoloso come sembra. E che… cash-cash!”
“Cioè?”
“Lo show è pilotato, lo dicono tutti! Sono i registi che scelgono chi vive e chi muore, come far andare avanti la storia. È come una serie tv, no? Mio padre è andato a parlare alla Visions, oggi, e sai come fa lui, no? Cash! Si sarà fatto assicurare che non mi succederà niente, avrà firmato un assegno e voilà, sarò la stellina del programma. Andrà tutto bene, altrimenti sai che bordello fa saltar fuori lui? Basta che mi faccio un graffio e li fa chiudere e finire sotto Ponte Ghisa a chiedere l’elemosina, tutti, dal grande capo all’ultimo cameraman. Non c’è niente di cui preoccuparsi.”
“Sig, ma tu hai capito che in quel posto di merda può succedere qualsiasi cosa, e che basta un niente per crepare male?”
“E tu hai capito che mio padre se vuole si compra tutta la baracca solo per farmi vincere? Rilassati, starò benissimo. Sai chi mettono nella mia squadra? Una soldatessa veterana, un’esperta di safari, una fanatica religiosa, persino una guardia del corpo addestrata: donne capaci, okay? Donne che sanno il fatto loro, mica deficienti prese dalla strada. Vedrai che mi faranno anche da scudi umani, se necessario.”
*sospiro denso*
“Sig, io ho paura. Una paura matta.”
“Neanche dovessi andarci tu sulle isole!”
“Come ci andiamo in barca in Costa Smeralda, quest’estate, se ti ammazzano?”
“Ma scema, tornerò a casa come Artemide in gloria.”
“Io neanche capisco dove trovi la voglia e il coraggio di andare in Africa a… cacciare in quei posti orribili.”
“Teso, a me piace fare robe folli, okay? Poi lo sai che… ci tenevo da un po’ a fare quella cosa.”
*silenzio tetro*
“Quando me l’hai detto, ti giuro, mi stavo sentendo male.”
*risatina fredda*
“Sparare alle antilopi e alle zebre è figo, ma dopo un po’… Serve di più.”
“E se non trovi il coraggio?”
“Ti pare? Voglio seccare una tipa mentre corre, come una lepre. Beccarla in pieno, bang, un tiro difficile. E farmi un selfie col cadavere. Il coraggio non c’entra.”
“Ma da dove… da dove ti viene un bisogno del genere?”
“È importante? Ce l’ho e basta. Gli animali spesso non si rendono neanche conto di essere colpiti: si accasciano e sono morti. È nella loro natura. Ma cacciare una persona dev’essere tutta un’altra cosa. Adrenalina pura, capisci? Consapevolezza. Paura. Sconfitta. Umiliazione.”
“Tu mi fai paura, Sig, io te lo giuro.”
*risatina*
“Sono una ragazza di mondo, Meg. Quando diventerai come me?”
“Io non ce la posso fare. No, non è per me.”
“È per questo che non diventerai mai qualcuno. Te l’ho detto mille volte. Ci si ricorda di chi ha fatto cose, nel bene e nel male, non di chi non ha fatto niente.”
*singhiozzo*
“Io ce la metto tutta…”
“Tu hai paura della tua ombra. Sai che facciamo? Quando torno dalle isole ti porto a caccia. Ti insegno a sparare col fucile, a prendere qualche animale semplice, robe per principianti. Ci stai?”
“Sig, lo sai che i miei non mi lasciano fare certe cose…”
“Oh, come sei disfattista. Di’ loro che vieni a studiare nella mia tenuta in montagna, e invece ce ne andiamo a… bang, bang! Non lo sapranno mai, no?”
*sospiro tremulo*
“Lascia fare a me, Meg, mi occupo io di metterti sulla buona strada. Tu rilassati, fai respiri lunghi, e vedrai che presto sarai una ragazza di mondo anche tu.”
***