Lo sgabuzzino è l’unico posto in cui Arlette si sente al sicuro.
Ogni volta che ha una crisi di nervi, si rifugia lì e piange tutte le sue lacrime. In nessun altro posto della casa può farlo.
Il villino è ammobiliato modestamente e le suppellettili sono scarne. Invece nello sgabuzzino tutto è opulenza e sfarzo. Quello è il posto che sente suo, dove può rivivere il proprio passato: gli abiti ricchi di tulle e crinolina, le cappelliere voluminose, le piume variopinte, le calze, gli stivaletti. Tutto la riporta alla sua vita che non c’è più, quando era una delle ballerine più ammirate del Moulin Rouge.
Per anni nessuna è riuscita a superarla, ma i tempi cambiano e lei è diventata adulta. Non la si può certo chiamare vecchia ma, per quanto abbia provato a resistere, il proprio successo è stato oscurato da una nuova diva, Mistinguett.
Con l’operetta e il bel canto di gran moda, le ballerine con le loro gonne svolazzanti e provocanti sono state costrette o a cambiare, mostrando nuove abilità, oppure a sparire. Arlette, che non sa far altro se non ballare, ha deciso di sparire e lo ha fatto in grande stile. Si è finta morta in patria emigrando sull’isola di Wallis, in Nuova Caledonia.
In questa calda mattina però il passato è tornato a tormentarla: ha letto sul giornale del ritiro dalle scene della Grande Diva Mistinguett. La notizia dovrebbe renderla euforica, ma non è così, visto che si ritrova nello sgabuzzino.
Negli anni trascorsi sull’isola, la propria rendita personale e le bellezze del luogo le hanno permesso di offuscare i ricordi dolorosi del passato. La paura di invecchiare è stata placata e il fuoco della passione che l’aveva resa così irresistibile è stato spento da tempo.
Arlette, stanca di piangere, rovista tra i propri tesori e scova lo specchio in cui si è ammirata più volte in gioventù. Si osserva il viso, e le lacrime tornano a scendere. Passeggiare solo quando il sole è basso non è servito, le creme con cui cosparge il proprio corpo, ormai fuori forma, non hanno sortito effetto: tutto in lei sta appassendo. A quella triste visione si accompagna la certezza di non poter più essere ammirata.
Piange da ore quando, quasi per caso, gli occhi le si posano sulle pagine della cronaca locale. Da quando vive lì non si è mai soffermata a leggerla, ma in questo momento qualcosa attira il suo sguardo.
La festa in onore di uno strano animale mistico le risveglia la curiosità. Leggere l’articolo un paio di volte le distende i nervi, e si accorge di esserne rimasta affascinata.
Ricorda di aver ascoltato spesso di questa leggenda, ma non ha mai dato peso alla cosa. Gli abitanti dell’isola le sono sempre parsi molto superstiziosi e il villaggio in cui si narra la leggenda è evitato da tutti, perfino dai ricchi stranieri che abitano Mata-Utu.
La leggenda della libellula che canta; di questo si tratta.
Sono passati alcuni giorni da quando ha letto la notizia, e non c’è stata notte in cui la libellula non le abbia infestato i sogni. I tonici e le medicine che prende per calmare i nervi non servono. Quella leggenda ha risvegliato in lei la passione.
Per questo s’è recata nel remoto villaggio, rannicchiato ai piedi di un’altura, più larga che alta, e circondato da una giungla minacciosa di un colore verde scuro. Le capanne sono difese a stento da un fossato, che si può attraversare solo mediante oscillanti ponti di canne. Verso sud ci sono paludi, risaie e una conca con un fiume limaccioso di cui nessuno conosce il nome, e poi di nuovo la giungla. Le giornate sono soffocanti e le notti non portano frescura.
La popolazione è completamente indigena. Arlette lo sospettava già, ma il dispiacere è comunque grande. Da quando vive sull’isola, infatti, ha stretto rapporti solo con i francesi residenti lì. A Mata-Utu si ha la sensazione che l’uomo pulluli ovunque; nel villaggio, al contrario, sente che a pullulare ovunque è la foresta, che quasi penetra nelle capanne.
Arlette viene accolta dagli anziani con un benvenuto fatto di vaghe cortesie. Le parlano della leggenda come se stessero recitando e la invitano a comprare dei manufatti. La guida, venuta apposta con lei dalla città, non smette un attimo di tradurre, e questo la irrita particolarmente.
Sente che la popolazione sta mentendo. Le nascondono qualcosa, tributano un significato altissimo alla libellula ma non sono intenzionati a dire di più.
Quando si sveglia, dopo aver sognato ancora una volta la libellula, Arlette si informa con gli anziani per andare alla ricerca dell’animale.
Questi l’assecondano e la conducono là dove è stato avvistato l’ultima volta.
Il cuore le pulsa nel petto mentre si mette in ascolto sulla riva del fiume. Ogni suono le arriva amplificato alle orecchie, ma è certa di riuscire a distinguere il canto della libellula dal resto.
Si appisola e, quando viene destata da un uomo alto e robusto, il suo lieve sorriso si tramuta in una smorfia di disappunto: stava sognando la libellula.
È accaldata e vorrebbe tornare al villaggio, ma l’uomo non le offre possibilità di scelta: la prende in braccio e inizia a guadare il fiume. La giungla lì è più folta e Arlette sobbalza intontita tra le braccia dell’uomo, finché scorge sul suo viso un sorriso sornione: allora lo picchia, urlando di farla scendere.
Irritata e spaventata, quando lui la mette giù corre al villaggio e si chiude in camera a piangere. Se si trovasse nella propria casa fuggirebbe di sicuro nello sgabuzzino, ma qui è costretta a sfogare i nervi accovacciata in un angolo.
Da quel giorno, si è resa conto che gli avvistamenti sono una routine. Gli indigeni sono bravi a inventarsi tracce e simulare suoni. La libellula può essere vista a sud o a nord, ma ogni volta che Arlette sopraggiunge, misteriosamente, è sempre l’esatto momento in cui l’animale è fuggito.
Lei si è convinta che tutti questi avvistamenti servano a prolungare il proprio soggiorno, da cui il villaggio trae beneficio economico.
Il pomeriggio è afoso, non ci sono stati avvistamenti, Arlette ha sognato incessantemente la libellula e quindi la decisione è scontata: cercarla sull’altura, da sola.
Gli anziani provano a farla desistere: «La cima è sacra, e ostacoli magici la vietano agli uomini. Chi la calca con piede mortale corre il rischio di vedere la divinità e diventare pazzo oppure sordo».
Arlette finge di cedere.
È notte, e Arlette è pronta a partire. Il pendio non è ripido ma è privo di sentieri e la boscaglia la rallenta. Qualcosa dentro di lei le dà la carica, sente di essere a un punto di svolta per la propria vita.
Venti minuti, o forse trenta, di salita e si ritrova sul pianoro. È più fresco del villaggio, soffocato ai suoi piedi, e la sensazione di essere libera pervade ogni fibra del suo corpo, come se quell’ammasso di casupole in fondo alla valle sia stata la sua prigione.
Il desiderio di trovare la libellula ritorna potente e Arlette inizia a cercare tracce; quando sente un sibilo nel terreno screpolato e sabbioso, d’istinto si volta e appoggia l’orecchio su una fessura. La voce che ode provenire da lì dentro non è umana: non è il verso di un qualche animale, ma qualcosa di celestiale. Senza pensarci, inserisce la mano nella fessura e, dopo aver sentito un fremito, la tira fuori.
Sul suo indice è posata la Libellula.
Poco più grande di una normale libellula, di un blu cangiante, con lunghe ali ricche di nervature. Si muove appena e non si alza mai in volo. Il vero incanto però è la sua voce. Il corpo si muove appena mentre parla. Arlette non conosce questa lingua, ma la voce è chiara e cristallina.
Se la porta davanti agli occhi e la Libellula inizia a cantare. Questa volta le parole sono comprensibili: canta una vecchia ninna nanna in francese che Arlette conosce bene; così, si accascia al suolo e sogna.
Un raggio di sole la sveglia nel suo letto. Arlette si sente sciocca per aver sognato nuovamente la Libellula ma, quando sente provenire dalle sue spalle una voce melodiosa, la vede là sulla finestra.
Dunque non ha sognato. Ha scalato l’altura e trovato quello che cercava.
È felice, ma avverte un gran freddo ai piedi e al basso ventre, nonché un tremito nelle ginocchia. Non ha più voglia di ascoltare la libellula, per adesso.
Apre la finestra e la fa scivolare fuori, poi torna a dormire.
La svegliano i colpi alla porta. La guida la invita a seguirla.
Uscendo, spera che la Libellula sia sparita, ma è ancora lì dove l’ha posata. Parla la sua lingua misteriosa con la testolina rivolta al cielo.
«Questa creatura non è di qui. È di lassù» traduce la guida dal capo degli anziani.
«Proprio così» ribatte lei, assumendo un tono di sfida.
Arlette è spaventata ma decide di non cedere; prova a ordinare a un anziano di raccoglierla, ma lui non si muove. Non importa quanto urli: nessuno raccoglie il sacro animale.
«Siete dei vigliacchi» grida.
Si fa coraggio e raccoglie la Libellula, avvicinandola agli astanti e lasciandola cantare. Gli anziani, in preda al terrore, si coprono le orecchie.
«Libel non può essere catturata!» La guida stenta a stargli dietro. «Ora canta una bella canzone, ma può cambiare. Parla la lingua della luna e il suo canto deve essere ascoltato solo nei sogni. I padri dei miei padri non mentivano quando parlavano del suo potere».
Arlette è di nuovo padrona della situazione. Dopo tantissimo tempo non è più intenzionata a lasciarsi assalire dallo sconforto. Sente di essere diventata la guardiana di questa magnifica creatura.
Con grazia ed eleganza porta l’animale davanti agli occhi delle persone e la lascia cantare. La gente si accalca, in preda allo sbalordimento e all’orrore. Gli uomini obbligano le mogli ad ascoltare il prodigio, ma alcune scappano coprendosi le orecchie.
Nessuno ha il coraggio di toccare la Libellula: solo Arlette osa farlo.
Un ragazzo le chiede di poterla prendere; lei lo fulmina con lo sguardo e si ritira nella capanna, stizzita.
La gente ora è diversa con Arlette. Tutti sanno che qualcosa della divinità della Libellula ha toccato anche lei, ma non dimenticano che Arlette ha violato la cima dell’altura. In qualunque momento della notte, in qualunque momento del giorno, gli dei possono castigarla. Gli abitanti non osano attaccarla o condannare il suo gesto, ma sono diventati tutti ostili.
Essere la custode di quel Miracolo è diventato molto importante per lei, ma allo stesso tempo vuole trovare il modo per trarne profitto. Sentendo ogni notte e ogni giorno la Libellula cantare, è giunta alla conclusione che stia profetizzando.
Una volta decifrato il suo linguaggio, pensa che potrà accedere al futuro ed essere di nuovo ammirata.
Tuttavia, i canti che annota ogni volta non sono mai uguali. Libel non intona mai la stessa canzone, e questo manda in confusione Arlette. I fogli riempiti di canzoni non sono di nessun aiuto. La lingua che parla è incomprensibile e non sembra avere nulla di profetico.
Arlette si sente esasperata dal clima ostile del villaggio e teme di aver fatto un buco nell’acqua con la storia della profezia.
Quando decide di tornare in città, per gli abitanti del villaggio che la vedono andar via portandosi dietro il Miracolo è solo un gran sollievo.
Tornata a Mata-Utu, ripone la Libellula tra le proprie cose più preziose. Nello sgabuzzino può cantare e parlare liberamente senza essere ascoltata da orecchie indiscrete.
Arlette è avida di potere e fama. Non ascolta più i conoscenti: quando qualcuno le chiede qualcosa, lei finge di non capire.
Ogni suo pensiero è rivolto a trarre profitto dall’essere la guardiana di una creatura tanto strabiliante, ma le lunghe ore trascorse in compagnia della Libellula la stanno mettendo a dura prova.
Ogni tanto le vengono in mente gli occhi meravigliati degli abitanti del villaggio quando aveva fatto cantare Libel, quindi l’idea di far pagare le persone per ascoltarla non le sembra tanto male. I ricchi amano spendere soldi per certe stramberie e lo spettacolo che ha in mente è semplice, raffinato ma d’effetto; non quei mostruosi freak show da quattro soldi.
Inviterà le persone nel suo salotto, le farà accomodare, aprirà poi la porta dello sgabuzzino e Libel farà il resto, circondata da vecchi abiti, candele e specchi.
Sono passati due mesi dall’apertura dello spettacolo “La voce di Libel”, e ogni persona di Wallis e perfino della vicina Futuna vi ha assistito almeno una volta.
Madame Arlette in brevissimo è diventata ricca e famosa. Ma non si sente ancora soddisfatta: vuole di più, sempre di più.
L’ultima trovata è stata la più vincente. Dietro un cospicuo compenso, concede alle persone di trascorrere ore da soli in compagnia di Libel; come dicono tutti, “Nulla sembra più avere importanza con Lei”.
Anche la nuova Arlette la pensa così. Non teme più il tempo che passa o il sole che splende in cielo: con la Libellula al suo fianco ora tutto è lucente ed eterno.
È una tiepida notte di fine ottobre. Gli affari oggi sono stati eccellenti e Madame Arlette si è concessa una seduta in solitaria con Libel. Ormai per ascoltarla bene deve posarla sull’orecchio ma, quando canta, la sua voce riesce ancora a commuoverla. È lì che ondeggia il volto in estasi quando sente il terreno sotto di sé tremare.
Posa la Libellula ed esce di fretta. La gente è in strada e sembra disperata. Sono arrivate le notizie dal continente e sembra esserci stato un crollo. Lei allarmata si rivolge al suo vicino: «Cos’è crollato? Dove? Ci sono feriti o morti?»
«Signora, ma quali morti? È crollata la borsa di Wall Street. Sono andati in fumo i risparmi di molta gente».
«Come? Può ripetere che non ho sentito bene?»
Arlette si finge sconvolta, ma in realtà si sente del tutto estranea a questa notizia. Non capisce nulla di questi affari e sa che la propria fortuna non dipende che da Libel, richiusa nello sgabuzzino.
Rientra in casa e pensa al da farsi. L’isola è piena di ricchi uomini d’affari e questo crollo li ha distrutti.
Per un paio di giorni lo spettacolo è stato sospeso in segno di rispetto, ma in realtà Madame Arlette, pervasa da una strana euforia, ha meditato su come trarre profitto anche da questa situazione.
Il vestito, che non è riuscita a chiudere, le scivola dalle spalle. Le calze con i fiocchi sono bucate e gli stivaletti le fanno male. Acconcia i capelli ormai ingrigiti e ci appunta sopra una piuma. Poi, con religioso rispetto, si pone la Libellula sulla spalla, uscendo.
Crede che il dolce canto di Libel possa portare sollievo nei cuori dei disperati finanziatori, ma quello a cui non è preparata è ciò che sta succedendo in città.
Non ha sentito gli allarmi, le grida e la folla disperata riversarsi per strada. Ovunque gente ubriaca, sadica o, peggio, morta.
La disperazione ha contagiato ogni cosa, rendendo la gente folle.
Madame Arlette e Libel sfilano piene d’orgoglio, certe di portare conforto; tuttavia, la Libellula non canta più dolci melodie ma canzoni tristi, potenti e drammatiche. Nessuno degli abitanti è sollevato da questi canti; anzi, la rabbia monta nei cuori.
Arlette non capisce cosa succeda perché ormai è diventata sorda. Continua a portare in giro la Libellula, ma questa non fa che alimentare l’odio contro di lei. Le donne, in preda al fermento, le ridono dietro per questo suo aspetto così trasandato. Gli uomini invece, ancor più inferociti, lanciano oggetti.
La donna è ormai circondata da persone che la strattonano e divincolarsi è impossibile.
Mentre Libel continua ad aizzare la folla, Arlette viene spinta verso il fiume e i suoi occhi sono terrorizzati. Poi un frullo d’ali e un fruscio di stoffe.
Libel si libra in volo e lascia Arlette scivolare nel fiume. La corrente la trascina via, il vestito si fa pesante e lei affonda.