L’acqua mi avvolge, accarezza il mio corpo e mi culla come fossi una bambina.
Avanzo lentamente ma decisa, un passo dopo l’altro, l’acqua sale e copre il mio corpo, le gambe, i fianchi, le spalle.
Non sento più i piedi, non sento più le gambe, guardo giù e la vedo…
* * *
I miei genitori capirono presto che io ero diversa dagli altri bambini, che in me c’era qualcosa che non andava.
Me ne stavo sempre per conto mio, non giocavo e non interagivo con gli altri bambini e avevo reazioni violente appena qualcosa mi infastidiva: mi dovettero ritirare dalla scuola materna e quando fu il momento di iniziare le elementari, in classe c’era una maestra speciale tutta per me.
Sempre più spesso sentivo dire che “Paola è malata”.
Io non capivo: perché stavo bene, non avevo mai raffreddore e febbre come spesso accadeva ai miei compagni di classe.
Semplicemente volevo essere lasciata in pace, per conto mio, con i miei pensieri.
Oppure davanti al televisore, ore e ore a guardare documentari sulla natura, sugli animali, sui pesci, i miei preferiti; sognavo di essere un delfino.
Fu proprio osservandomi un pomeriggio sul divano che a mia mamma venne l’intuizione: iscriviamola a un corso di nuoto in piscina.
Fin dal primo istante in cui entrai in acqua provai una sensazione mai avvertita prima, la sensazione di essere a casa.
L’acqua mi avvolgeva, accarezzava il mio corpo con dolcezza, lo coccolava ed io mi sentivo nel mio ambiente naturale come non mi accadeva da nessun’altra parte.
Si trattava di un corso personale e l’istruttore ebbe la capacità di intuire fin dai primi incontri le grandi potenzialità del mio fisico.
Mi guidava da bordo vasca con apparente distacco, quasi con superficialità, perché fin da subito aveva capito che non poteva trattarmi come gli altri bambini, che nel mio mondo non c’era spazio per l’imposizione, per la correzione gridata.
Mi lasciava libera di nuotare, di esprimere finalmente me stessa e intanto notava la fluidità con cui il mio corpo scivolava sull’acqua quasi fosse senza peso.
Mi cronometrava di nascosto sfidandomi ad andare sempre più veloce avendo compreso che quello era il punto d’incontro delle nostre rispettive sfide: io gli dimostravo di essere sempre più veloce, lui mostrava indifferenza e mi sfotteva, ma dentro di sé bruciava di gioia e di ambizione.
Ebbe la pazienza di aspettare, due lunghissimi anni, sapeva che prima o poi avrebbe dovuto affrontare il momento e sapeva che per me sarebbe stato un momento di crisi profonda.
E così fu: avevo nove anni quando mi disse che voleva portarmi a fare una gara a livello amatoriale, una sbracciata tra amici per vedere se l’intuizione che aveva avuto era giusta, disse proprio così.
Dissi di no, lo ripetei e, infine, lo urlai, al culmine di una crisi che i miei genitori faticarono a contenere.
L’istruttore non insistette e disse che andava bene così, ma aveva scatenato dentro di me un vulcano.
La piscina mi aveva dato tanto e la piscina di colpo mi toglieva tutto.
Non volli più andare a nuotare ma l’acqua mi mancava in maniera violenta e questa assenza si ripercuoteva su tutto quello che facevo, soprattutto sul mio rendimento a scuola.
Ero irritabile, tornai a passare lunghe ore sul divano davanti al televisore, guardavo i miei amati documentari sul mare, sui pesci, ma mi scoprii a cercare canali che trasmettessero gare di nuoto.
Ci volle quasi un anno perché mi decidessi a tornare in piscina; il mio istruttore mi aveva aspettato, sapeva che sarei tornata, mi accolse come se fosse passata solo una settimana dall’ultima volta che ci eravamo visti e con la stessa naturalezza un mese dopo mi disse che mi aveva iscritto a una gara di nuoto.
Ci andai.
E vinsi.
E continuai a vincere, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno.
E più vincevo e più mi piaceva e più stavo bene e volevo arrivare sempre più in alto.
Non ero più la malata, la diversa, ero Paola, la campionessa.
Finché il mese scorso ho vinto le Olimpiadi, a sedici anni, la più forte di tutte, la più forte di sempre.
E ho capito che più su non potevo andare e ho ripreso a stare male, perché l’acqua non aveva più nulla da darmi.
* * *
… ora l’acqua copre anche il mio viso, mi sommerge completamente; gli occhi sono appannati, non riescono più a vedere, eppure so che là sotto c’è!
La mia splendida coda da sirena!
Mi lascio andare, ora sono totalmente del mare, appartengo a lui: per sempre.