Guglielmo sbucò in una stradina laterale senza uscita e starnutì. La discesa se l’era immaginata più complicata, invece tutto si era svolto nel migliore dei modi. Si guardò attorno alla ricerca di occhi indiscreti e, una volta sicuro, si toccò il viso per saggiarne la consistenza. Le dita scivolarono sulla pelle ruvida di barba delle guance, poi lungo il naso appuntito e in ultimo si fermarono a esplorare le irregolarità della fronte. Dilatò le narici e annusò l’aria: il vento proveniente da mare lo investì con l’olezzo del cassonetto traboccante situato al margine della pista ciclabile. Arricciò il naso per il disgusto, ma una strana sensazione di euforia s’impadronì di lui, un miscuglio fatto di forza e consapevolezza sulla caducità delle cose. Alzò le braccia al cielo e sorrise, sentendo la vitalità dei muscoli che si tendevano attorno alle ossa. Quasi si commosse per quel tripudio di sensazioni sconosciute.
«Grazie» disse rivolgendo lo sguardo al cielo grigio di dicembre.
Restò ancora pochi istanti a godersi il suo nuovo status transitorio, poi i pensieri tornarono alla bambina. Sapeva che era questione di poco, ma non vedeva l’ora di trovarsi faccia a faccia con lei.
La strada provinciale era un ingorgo infernale e le auto si muovevano a passo d’uomo. Guglielmo procedette lungo il marciapiede, sopra il canale artificiale di cemento in cui era stato imprigionato il torrente della città. Chiazze di fango e di vegetazione spontanea macchiavano di colore il grigio asettico del canale. Poi la vide. Accelerò il passo.
Era lì. Sapeva che l’avrebbe trovata lì, davanti al grande negozio di giocattoli a fianco dell’emporio dei cinesi. Passeggiava lungo le tre grandi vetrine del negozio addobbate appositamente per il Natale, col cane sempre al fianco a vegliare su di lei. Ogni tanto si fermava, una mano appoggiata al vetro, gli occhi persi tra i giochi in esposizione. Voleva tanto che lei fosse felice e in fondo lui era lì per quello.
«Belli quei giocattoli, vero?»
La bambina si voltò a guardarlo, poi riportò gli occhi alla vetrina.
«Quale ti piace di più? Il gatto di peluche gigante o il set per fabbricare collane e braccialetti?»
Nessuna risposta.
La piccola gli dava ancora le spalle e Guglielmo si perse nella sua contemplazione: i lunghi capelli biondi che fuoriuscivano dal basco nero; il giubbino di pelle malridotto, coi pezzi che si staccavano nella zona dei gomiti; i jeans stracciati che scomparivano dentro gli anfibi di seconda mano. Sapeva che non era serena e ora che si trovava a pochi centimetri da lei poteva avvertire con prepotenza quel sentimento d’insoddisfazione. Pensò che ogni bambino avrebbe dovuto essere felice, ma le cose non andavano esattamente in quei termini. S’intristì, scoprendo la potenza di quel nuovo stato d’animo.
«Io sono Guglielmo, tu come ti chiami?» ritentò l’uomo, sperando di scavare una breccia nell’armatura di silenzio della bambina.
«Ma si può sapere che vuoi? Se non te ne vai subito ti smollo un calcio nelle palle.»
Guglielmo sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere.
«Calmati, non ho brutte intenzioni. Volevo solo fare due chiacchiere.»
L’uomo si accovacciò e iniziò ad accarezzare il cane.
«Lui invece come si chiama? Questo me lo puoi dire?»
La bambina aggrottò la fronte e arricciò la bocca. «È strano, Nino si lascia accarezzare solo da me. Di solito ringhia a tutti quelli che solo provano ad avvicinarsi.»
«Bè, con me non ringhia» rispose Guglielmo. Stava grattando Nino dietro l’orecchio destro e pareva che il cane fosse andato in estasi. «Di che razza è?»
«È un pitbull, non si vede?»
«Già, un pitbull. Mi piace il tuo cane.»
«Non è il mio cane, è il cane di Renzo, il titolare della casa famiglia.»
«Sarà, ma si comporta come se fosse il tuo cane.»
«Può essere, ma non è colpa mia se non mi molla un attimo.
Guglielmo si tirò su e sorrise. «Si vede che gli stai simpatica.»
Rimasero qualche secondo in silenzio, a studiarsi, col rumore del traffico in sottofondo che aveva ripreso a scorrere.
«Il gatto gigante» disse a un tratto la bambina.
«Come?»
«Il gatto grande di peluche, mi piace quello. Me lo compri?»
«È il regalo che vuoi per Natale?»
La bambina fece di sì con la testa, ma Guglielmo sapeva che Camilla desiderava ben altro. Conosceva tutto di lei: come si chiamava, la sua storia, le sofferenze che stava passando e il suo sogno più grande.
«Va bene, tu aspetta qui, io torno subito.»
Guglielmo entrò nel negozio, prese il peluche e pagò in contanti, passando anche davanti a un altro cliente in fila. Fece tutto di fretta, perché dalla cassa aveva una visuale pressoché azzerata dell’esterno. Quando uscì però, Camilla e il cane non c’erano già più.
«Camilla» chiamò, guardandosi attorno in cerca della piccola.
La individuò parecchie decine di metri più avanti: lei e il cane correvano lungo la ciclabile che portava al mare. Rimase là, sul ciglio della strada, a darsi dell’imbecille, indeciso se seguire o meno Camilla. Due balordi in sella a uno scooter scassato, vedendo l’improbabile gatto rossiccio che stringeva al petto, lo additarono e si misero a ridere. Guglielmo li guardò allontanarsi lungo la provinciale, poi l’orologio di un campanile batté dodici tocchi: era tardi e aveva un’altra cosa da fare. Scosse la testa, si sistemò il felino gigante sotto al braccio e a passo spedito si diresse alla fermata dell’autobus.
Scese dal bus dopo qualche chilometro e parecchie fermate. Proseguì lungo la via, poi in fondo girò a sinistra. Il quartiere residenziale era pieno di villette dai colori pastello che parevano essere state erette in fotocopia.
«Mi pare che sia il civico 24» bofonchiò Guglielmo, facendo avanti e indietro. «O forse è il 26?»
L’uomo si grattò la testa e appoggiò la schiena a un lampione, restando in attesa. Il cielo era colorato di un bianco sporco e prometteva neve. Si tirò su il bavero del giacchetto e pestò i piedi per terra: anche il freddo era una cosa nuova per lui. Passò un po' di tempo e l’attesa infruttuosa cominciò a generare il suo carico di dubbi. E se fosse andato storto qualcosa? Si era adoperato perché tutto prendesse la piega voluta, ma come sapeva fin troppo bene gli scherzetti del maligno erano sempre in agguato. Quando vide il motorino fermarsi davanti al civico 24 il cuore prese a battergli forte.
«Postino. C’è una raccomandata da firmare» disse l’uomo con la divisa blu e gialla al citofono.
La porta si aprì e uscirono un uomo e una donna di circa quarant’anni.
Avevano entrambi il soprabito, forse stavano per uscire. Attraversarono il vialetto in ardesia incastonato al centro di un bel prato all’inglese e raggiunsero il postino. Quando videro da dove arrivava la lettera i loro volti si fecero ancora più tesi. La donna dai capelli neri raccolti in una coda di cavallo chiuse gli occhi e incrociò le dita. Guglielmo in segno di solidarietà incrociò anche le sue, ma tenne gli occhi ben aperti. L’uomo firmò la raccomandata e rimase a guardare la busta, indeciso se aprirla o lasciarla intatta sino alla fine dei suoi giorni.
«Dai, aprila» sussurrò Guglielmo dall’altra parte della strada.
L’uomo finalmente prese coraggio, strappò un angolo della busta e lesse il contenuto della lettera. Quando ebbe finito di leggere, un sorriso immenso spuntò sul suo viso. Allora fece una carezza alla moglie e, quando lei aprì gli occhi e vide quel sorriso, fu certa di quello che diceva la lettera senza che il marito avesse bisogno di aprire bocca. Si abbracciarono e iniziarono a saltare sul posto come due bambini pieni di gioia. Guglielmo sorrise e alzò gli occhi al cielo. Stava iniziando a nevicare.
Alla casa famiglia succedevano cose brutte.
Guglielmo lo sapeva bene, perché le aveva viste in modo chiaro dal suo osservatorio privilegiato.
Voleva fare una sorpresa a Camilla, così invece di suonare al campanello scavalcò la cancellata, facendo attenzione a non rovinare il gatto di peluche, diventato oramai un compagno inseparabile.
Eppure adesso, circondata da tutte quelle lucine colorate, adornata con le vetrofanie di Babbo Natale e pupazzi di neve, il piccolo presepe ricreato in un angolo del giardino, quella struttura emanava un non so che di magico.
«La magia del Natale» borbottò Guglielmo, «riesce a nascondere anche le cose peggiori.»
Mentre fissava le luci multicolore spegnersi e accendersi, Nino gli andò incontro e gli regalò un sorriso canino, lasciando cadere sul suolo innevato la statuetta del pastore che stringeva tra i denti.
«Ciao bello» lo salutò, gratificandolo con una bella grattatina dietro all’orecchio. «Dove hai lasciato Camilla?»
Il cane abbaiò, come se avesse riconosciuto il nome della persona che aveva eletto a sua padroncina speciale. Guglielmo carezzò con amore il testone del pitbull, poi si avvicinò ancora di più all’edificio.
Stava quasi arrivando alla porta d’ingresso, quando una finestra laterale si spalancò, lasciando fuoriuscire un gran fumo.
«Brutta cretina, hai bruciato tutti i biscotti. Ti avevo detto di starci attenta.»
«Scusami Renzo, non l’ho fatto apposta.»
La voce di Camilla. Guglielmo si avvicinò alla finestra.
Sul davanzale giaceva una teglia colma di ovali carbonizzati.
Nell’aria fumosa della cucina due sole persone: Camilla, rincantucciata in un angolo e un omone barbuto che la sovrastava. L’uomo faceva vibrare l’aria con la spatola di legno che teneva in mano.
«Stupida! Stupida! Sei solo una piccola stupida» sbraitò l’uomo, cominciando a percuotere la bambina dove capitava: braccia, gambe, spalle, testa.
«Renzo, basta, ti prego. Non l’ho fatto apposta» piagnucolò Camilla.
«Ci manca solo che l’hai fatto apposta, brutta cretina» proseguì Renzo continuando a colpirla.
Senza pensarci Guglielmo afferrò la teglia e la gettò a terra, ma prima che potesse scavalcare il davanzale avvertì un’ombra passargli veloce all’altezza della testa.
Nino si lanciò sul padrone e azzannò il braccio che impugnava la spatola. Renzo gridò dal dolore, Nino continuò a mordere e ringhiare accecato dalla rabbia, Camilla era atterrita per la paura. Guglielmo chiamò a sé la bambina e ne approfittò per farla uscire dalla finestra prima che quel pandemonio richiamasse l’attenzione degli altri componenti della casa. La prese per mano e corsero assieme verso l’uscita.
«Cos’è quello?» chiese Camilla. Stava tremando. E non per il freddo.
«Come cos’è, e il tuo gattone. Lo desideravi tanto, non è vero?»
Camilla sorrise, prese il peluche e lo strinse al petto.
«Veramente volevo solo liberarmi di te…Però mi piace. È morbido.»
«Lo so e so anche qual è la cosa che desideri di più al mondo.»
«Ah sì? Quale?»
«Una vera mamma e un vero papà.»
Camilla lo guardò divertita e indicò la casa alle loro spalle. «Tutti i bambini che vivono là dentro lo desiderano.»
Guglielmo annuì. «Già, una mamma che ti svegli ogni mattina con un bacio e balli con te le canzoni di Baby K prima di portarti a scuola. Un papà capace d’insegnarti a fischiare e ad andare in bicicletta senza mani. Insomma, due persone capaci di amarti più di qualsiasi altra cosa al mondo.»
Camilla si scostò da Guglielmo; il sorriso era scomparso.
«Come fai a sapere tutte queste cose? Tu non mi conosci. Ma chi cavolo sei?»
«Io so tutto di te, perché sono un angelo. Il tuo angelo.»
Camilla fece una smorfia. «Tu sei tutto matto! Ho quasi undici anni, non sono mica scema. Gli angeli non esistono.»
«Ti posso assicurare che esistono eccome, piccola. Ma ora la cosa non ha importanza. Ciò che importa è andare subito alla polizia e raccontare le violenze che hai subito.»
«Per poi ricominciare tutto da capo in un’altra casa famiglia? Magari in un’altra città? Cambiare scuola e compagni? No, grazie.»
Guglielmo si avvicinò alla bambina, le prese la mano e la accarezzò. «Sei stata adottata, Camilla. La tua vita sta per cambiare. In meglio.»
«Adottata?» La voce della bambina era un sussurro, un soffio leggero. «È vero? Non mi stai prendendo in giro?»
«Come potrei? Te l’ho detto, sono il tuo angelo e gli angeli non giocano coi sentimenti dei bambini.»
Fu allora che la bambina gli saltò al collo e lo abbracciò. Guglielmo sentì il petto incendiarsi e venne invaso da un’inebriante sensazione di benessere, come mai gli era accaduto nella sua lunga esistenza: l’abbraccio della piccola, le loro lacrime di gioia, il flusso di energia vitale che aveva attraversato i loro corpi e tutta un’altra serie di emozioni potentissime. Pensò con rammarico che era un vero peccato che presto tutto questo sarebbe finito. Scacciò quel pensiero con un gesto della mano e, voltandosi, vide Nino che li stava osservando dall’altra parte della cancellata. Sembrava stesse aspettando un comando, un ordine. Forse un invito. Guglielmo mise giù la bambina, fissò Nino e formulò l’invito, battendosi le mani aperte sul petto. Il cane non se lo fece ripetere due volte, prese una breve rincorsa e saltò il cancello, atterrando con precisione tra le braccia dell’uomo.
«Ninooooooo» esclamò Camilla con gioia. Si avvicinò e carezzò il cane che aveva cominciato a dispensare slinguazzate a destra e a manca, come se non ci fosse un domani.
«Portalo con te, non penso ci saranno problemi. Tu sei la sua famiglia» disse Guglielmo, baciando Nino sul testone.
Guglielmo era presente quando Camilla si trasferì al civico 24 di Via dei Serafini l’antivigilia di Natale, non si sarebbe perso l’evento per nulla al mondo. Renzo era riuscito a conservare il braccio ferito, ma lui e la sua compagna rischiavano di dover chiudere la struttura: dopo la denuncia di Camilla, anche gli altri minori della casa famiglia avevano riferito delle violenze subite, psicologiche soprattutto, ma anche fisiche.
Così una volta tanto le autorità avevano ragionato col cuore, disponendo l’anticipo dell’affidamento preadottivo di Camilla. Aveva passato la vigilia di Natale con loro, Camilla aveva tanto insistito, ma dopo lo scartamento dei regali si era congedato. Gli dispiaceva abbandonare la bambina, ma la sua permanenza non si poteva protrarre oltre. Aveva portato a termine il compito che gli era stato affidato ed era tempo di ritornare al proprio mondo. Rimase ancora un po' la fuori, a osservarla un’ultima volta dalla finestra, a imprimersi nell’anima i sorrisi, i gesti, gli sguardi di Camilla, i suoi giochi con Nino, poi, quando fu pronto, si affrettò lungo il vialetto e uscì. S’incamminò sotto la neve, le mani in tasca, i piedi che si muovevano veloci sopra al marciapiede soffice. A metà della via si accorse di non sentire più freddo. Anche il fiato che gli usciva dalla bocca non si condensava più al contatto con l’aria gelida.
«È ora» disse, non sentendosi più le mani, i piedi, la faccia.
Rivolse un ultimo pensiero terreno alla bambina, poi si mischiò allaluce gialla di un lampione e sparì nel cielo.
«Grazie» disse rivolgendo lo sguardo al cielo grigio di dicembre.
Restò ancora pochi istanti a godersi il suo nuovo status transitorio, poi i pensieri tornarono alla bambina. Sapeva che era questione di poco, ma non vedeva l’ora di trovarsi faccia a faccia con lei.
La strada provinciale era un ingorgo infernale e le auto si muovevano a passo d’uomo. Guglielmo procedette lungo il marciapiede, sopra il canale artificiale di cemento in cui era stato imprigionato il torrente della città. Chiazze di fango e di vegetazione spontanea macchiavano di colore il grigio asettico del canale. Poi la vide. Accelerò il passo.
Era lì. Sapeva che l’avrebbe trovata lì, davanti al grande negozio di giocattoli a fianco dell’emporio dei cinesi. Passeggiava lungo le tre grandi vetrine del negozio addobbate appositamente per il Natale, col cane sempre al fianco a vegliare su di lei. Ogni tanto si fermava, una mano appoggiata al vetro, gli occhi persi tra i giochi in esposizione. Voleva tanto che lei fosse felice e in fondo lui era lì per quello.
«Belli quei giocattoli, vero?»
La bambina si voltò a guardarlo, poi riportò gli occhi alla vetrina.
«Quale ti piace di più? Il gatto di peluche gigante o il set per fabbricare collane e braccialetti?»
Nessuna risposta.
La piccola gli dava ancora le spalle e Guglielmo si perse nella sua contemplazione: i lunghi capelli biondi che fuoriuscivano dal basco nero; il giubbino di pelle malridotto, coi pezzi che si staccavano nella zona dei gomiti; i jeans stracciati che scomparivano dentro gli anfibi di seconda mano. Sapeva che non era serena e ora che si trovava a pochi centimetri da lei poteva avvertire con prepotenza quel sentimento d’insoddisfazione. Pensò che ogni bambino avrebbe dovuto essere felice, ma le cose non andavano esattamente in quei termini. S’intristì, scoprendo la potenza di quel nuovo stato d’animo.
«Io sono Guglielmo, tu come ti chiami?» ritentò l’uomo, sperando di scavare una breccia nell’armatura di silenzio della bambina.
«Ma si può sapere che vuoi? Se non te ne vai subito ti smollo un calcio nelle palle.»
Guglielmo sgranò gli occhi, poi scoppiò a ridere.
«Calmati, non ho brutte intenzioni. Volevo solo fare due chiacchiere.»
L’uomo si accovacciò e iniziò ad accarezzare il cane.
«Lui invece come si chiama? Questo me lo puoi dire?»
La bambina aggrottò la fronte e arricciò la bocca. «È strano, Nino si lascia accarezzare solo da me. Di solito ringhia a tutti quelli che solo provano ad avvicinarsi.»
«Bè, con me non ringhia» rispose Guglielmo. Stava grattando Nino dietro l’orecchio destro e pareva che il cane fosse andato in estasi. «Di che razza è?»
«È un pitbull, non si vede?»
«Già, un pitbull. Mi piace il tuo cane.»
«Non è il mio cane, è il cane di Renzo, il titolare della casa famiglia.»
«Sarà, ma si comporta come se fosse il tuo cane.»
«Può essere, ma non è colpa mia se non mi molla un attimo.
Guglielmo si tirò su e sorrise. «Si vede che gli stai simpatica.»
Rimasero qualche secondo in silenzio, a studiarsi, col rumore del traffico in sottofondo che aveva ripreso a scorrere.
«Il gatto gigante» disse a un tratto la bambina.
«Come?»
«Il gatto grande di peluche, mi piace quello. Me lo compri?»
«È il regalo che vuoi per Natale?»
La bambina fece di sì con la testa, ma Guglielmo sapeva che Camilla desiderava ben altro. Conosceva tutto di lei: come si chiamava, la sua storia, le sofferenze che stava passando e il suo sogno più grande.
«Va bene, tu aspetta qui, io torno subito.»
Guglielmo entrò nel negozio, prese il peluche e pagò in contanti, passando anche davanti a un altro cliente in fila. Fece tutto di fretta, perché dalla cassa aveva una visuale pressoché azzerata dell’esterno. Quando uscì però, Camilla e il cane non c’erano già più.
«Camilla» chiamò, guardandosi attorno in cerca della piccola.
La individuò parecchie decine di metri più avanti: lei e il cane correvano lungo la ciclabile che portava al mare. Rimase là, sul ciglio della strada, a darsi dell’imbecille, indeciso se seguire o meno Camilla. Due balordi in sella a uno scooter scassato, vedendo l’improbabile gatto rossiccio che stringeva al petto, lo additarono e si misero a ridere. Guglielmo li guardò allontanarsi lungo la provinciale, poi l’orologio di un campanile batté dodici tocchi: era tardi e aveva un’altra cosa da fare. Scosse la testa, si sistemò il felino gigante sotto al braccio e a passo spedito si diresse alla fermata dell’autobus.
Scese dal bus dopo qualche chilometro e parecchie fermate. Proseguì lungo la via, poi in fondo girò a sinistra. Il quartiere residenziale era pieno di villette dai colori pastello che parevano essere state erette in fotocopia.
«Mi pare che sia il civico 24» bofonchiò Guglielmo, facendo avanti e indietro. «O forse è il 26?»
L’uomo si grattò la testa e appoggiò la schiena a un lampione, restando in attesa. Il cielo era colorato di un bianco sporco e prometteva neve. Si tirò su il bavero del giacchetto e pestò i piedi per terra: anche il freddo era una cosa nuova per lui. Passò un po' di tempo e l’attesa infruttuosa cominciò a generare il suo carico di dubbi. E se fosse andato storto qualcosa? Si era adoperato perché tutto prendesse la piega voluta, ma come sapeva fin troppo bene gli scherzetti del maligno erano sempre in agguato. Quando vide il motorino fermarsi davanti al civico 24 il cuore prese a battergli forte.
«Postino. C’è una raccomandata da firmare» disse l’uomo con la divisa blu e gialla al citofono.
La porta si aprì e uscirono un uomo e una donna di circa quarant’anni.
Avevano entrambi il soprabito, forse stavano per uscire. Attraversarono il vialetto in ardesia incastonato al centro di un bel prato all’inglese e raggiunsero il postino. Quando videro da dove arrivava la lettera i loro volti si fecero ancora più tesi. La donna dai capelli neri raccolti in una coda di cavallo chiuse gli occhi e incrociò le dita. Guglielmo in segno di solidarietà incrociò anche le sue, ma tenne gli occhi ben aperti. L’uomo firmò la raccomandata e rimase a guardare la busta, indeciso se aprirla o lasciarla intatta sino alla fine dei suoi giorni.
«Dai, aprila» sussurrò Guglielmo dall’altra parte della strada.
L’uomo finalmente prese coraggio, strappò un angolo della busta e lesse il contenuto della lettera. Quando ebbe finito di leggere, un sorriso immenso spuntò sul suo viso. Allora fece una carezza alla moglie e, quando lei aprì gli occhi e vide quel sorriso, fu certa di quello che diceva la lettera senza che il marito avesse bisogno di aprire bocca. Si abbracciarono e iniziarono a saltare sul posto come due bambini pieni di gioia. Guglielmo sorrise e alzò gli occhi al cielo. Stava iniziando a nevicare.
Alla casa famiglia succedevano cose brutte.
Guglielmo lo sapeva bene, perché le aveva viste in modo chiaro dal suo osservatorio privilegiato.
Voleva fare una sorpresa a Camilla, così invece di suonare al campanello scavalcò la cancellata, facendo attenzione a non rovinare il gatto di peluche, diventato oramai un compagno inseparabile.
Eppure adesso, circondata da tutte quelle lucine colorate, adornata con le vetrofanie di Babbo Natale e pupazzi di neve, il piccolo presepe ricreato in un angolo del giardino, quella struttura emanava un non so che di magico.
«La magia del Natale» borbottò Guglielmo, «riesce a nascondere anche le cose peggiori.»
Mentre fissava le luci multicolore spegnersi e accendersi, Nino gli andò incontro e gli regalò un sorriso canino, lasciando cadere sul suolo innevato la statuetta del pastore che stringeva tra i denti.
«Ciao bello» lo salutò, gratificandolo con una bella grattatina dietro all’orecchio. «Dove hai lasciato Camilla?»
Il cane abbaiò, come se avesse riconosciuto il nome della persona che aveva eletto a sua padroncina speciale. Guglielmo carezzò con amore il testone del pitbull, poi si avvicinò ancora di più all’edificio.
Stava quasi arrivando alla porta d’ingresso, quando una finestra laterale si spalancò, lasciando fuoriuscire un gran fumo.
«Brutta cretina, hai bruciato tutti i biscotti. Ti avevo detto di starci attenta.»
«Scusami Renzo, non l’ho fatto apposta.»
La voce di Camilla. Guglielmo si avvicinò alla finestra.
Sul davanzale giaceva una teglia colma di ovali carbonizzati.
Nell’aria fumosa della cucina due sole persone: Camilla, rincantucciata in un angolo e un omone barbuto che la sovrastava. L’uomo faceva vibrare l’aria con la spatola di legno che teneva in mano.
«Stupida! Stupida! Sei solo una piccola stupida» sbraitò l’uomo, cominciando a percuotere la bambina dove capitava: braccia, gambe, spalle, testa.
«Renzo, basta, ti prego. Non l’ho fatto apposta» piagnucolò Camilla.
«Ci manca solo che l’hai fatto apposta, brutta cretina» proseguì Renzo continuando a colpirla.
Senza pensarci Guglielmo afferrò la teglia e la gettò a terra, ma prima che potesse scavalcare il davanzale avvertì un’ombra passargli veloce all’altezza della testa.
Nino si lanciò sul padrone e azzannò il braccio che impugnava la spatola. Renzo gridò dal dolore, Nino continuò a mordere e ringhiare accecato dalla rabbia, Camilla era atterrita per la paura. Guglielmo chiamò a sé la bambina e ne approfittò per farla uscire dalla finestra prima che quel pandemonio richiamasse l’attenzione degli altri componenti della casa. La prese per mano e corsero assieme verso l’uscita.
«Cos’è quello?» chiese Camilla. Stava tremando. E non per il freddo.
«Come cos’è, e il tuo gattone. Lo desideravi tanto, non è vero?»
Camilla sorrise, prese il peluche e lo strinse al petto.
«Veramente volevo solo liberarmi di te…Però mi piace. È morbido.»
«Lo so e so anche qual è la cosa che desideri di più al mondo.»
«Ah sì? Quale?»
«Una vera mamma e un vero papà.»
Camilla lo guardò divertita e indicò la casa alle loro spalle. «Tutti i bambini che vivono là dentro lo desiderano.»
Guglielmo annuì. «Già, una mamma che ti svegli ogni mattina con un bacio e balli con te le canzoni di Baby K prima di portarti a scuola. Un papà capace d’insegnarti a fischiare e ad andare in bicicletta senza mani. Insomma, due persone capaci di amarti più di qualsiasi altra cosa al mondo.»
Camilla si scostò da Guglielmo; il sorriso era scomparso.
«Come fai a sapere tutte queste cose? Tu non mi conosci. Ma chi cavolo sei?»
«Io so tutto di te, perché sono un angelo. Il tuo angelo.»
Camilla fece una smorfia. «Tu sei tutto matto! Ho quasi undici anni, non sono mica scema. Gli angeli non esistono.»
«Ti posso assicurare che esistono eccome, piccola. Ma ora la cosa non ha importanza. Ciò che importa è andare subito alla polizia e raccontare le violenze che hai subito.»
«Per poi ricominciare tutto da capo in un’altra casa famiglia? Magari in un’altra città? Cambiare scuola e compagni? No, grazie.»
Guglielmo si avvicinò alla bambina, le prese la mano e la accarezzò. «Sei stata adottata, Camilla. La tua vita sta per cambiare. In meglio.»
«Adottata?» La voce della bambina era un sussurro, un soffio leggero. «È vero? Non mi stai prendendo in giro?»
«Come potrei? Te l’ho detto, sono il tuo angelo e gli angeli non giocano coi sentimenti dei bambini.»
Fu allora che la bambina gli saltò al collo e lo abbracciò. Guglielmo sentì il petto incendiarsi e venne invaso da un’inebriante sensazione di benessere, come mai gli era accaduto nella sua lunga esistenza: l’abbraccio della piccola, le loro lacrime di gioia, il flusso di energia vitale che aveva attraversato i loro corpi e tutta un’altra serie di emozioni potentissime. Pensò con rammarico che era un vero peccato che presto tutto questo sarebbe finito. Scacciò quel pensiero con un gesto della mano e, voltandosi, vide Nino che li stava osservando dall’altra parte della cancellata. Sembrava stesse aspettando un comando, un ordine. Forse un invito. Guglielmo mise giù la bambina, fissò Nino e formulò l’invito, battendosi le mani aperte sul petto. Il cane non se lo fece ripetere due volte, prese una breve rincorsa e saltò il cancello, atterrando con precisione tra le braccia dell’uomo.
«Ninooooooo» esclamò Camilla con gioia. Si avvicinò e carezzò il cane che aveva cominciato a dispensare slinguazzate a destra e a manca, come se non ci fosse un domani.
«Portalo con te, non penso ci saranno problemi. Tu sei la sua famiglia» disse Guglielmo, baciando Nino sul testone.
Guglielmo era presente quando Camilla si trasferì al civico 24 di Via dei Serafini l’antivigilia di Natale, non si sarebbe perso l’evento per nulla al mondo. Renzo era riuscito a conservare il braccio ferito, ma lui e la sua compagna rischiavano di dover chiudere la struttura: dopo la denuncia di Camilla, anche gli altri minori della casa famiglia avevano riferito delle violenze subite, psicologiche soprattutto, ma anche fisiche.
Così una volta tanto le autorità avevano ragionato col cuore, disponendo l’anticipo dell’affidamento preadottivo di Camilla. Aveva passato la vigilia di Natale con loro, Camilla aveva tanto insistito, ma dopo lo scartamento dei regali si era congedato. Gli dispiaceva abbandonare la bambina, ma la sua permanenza non si poteva protrarre oltre. Aveva portato a termine il compito che gli era stato affidato ed era tempo di ritornare al proprio mondo. Rimase ancora un po' la fuori, a osservarla un’ultima volta dalla finestra, a imprimersi nell’anima i sorrisi, i gesti, gli sguardi di Camilla, i suoi giochi con Nino, poi, quando fu pronto, si affrettò lungo il vialetto e uscì. S’incamminò sotto la neve, le mani in tasca, i piedi che si muovevano veloci sopra al marciapiede soffice. A metà della via si accorse di non sentire più freddo. Anche il fiato che gli usciva dalla bocca non si condensava più al contatto con l’aria gelida.
«È ora» disse, non sentendosi più le mani, i piedi, la faccia.
Rivolse un ultimo pensiero terreno alla bambina, poi si mischiò allaluce gialla di un lampione e sparì nel cielo.