"Aspettate" disse, tremante, Alexei Domanienko, il maestro del paese. "Scusatemi ma io non me la sento proprio."
"Nessuno la obbliga, Alexei." rispose il dottor Vladios. "Ci attenda pure fuori." Il volto del maestro risplendeva pallido alla fioca luce della casa.
"Allora. Allora vi aspetto nella veranda. Va bene?" L’uomo risalì i pochi scalini già percorsi e si diresse verso l’ingresso dell’abitazione. Dimitri guardò nuovamente il dottore e scorse un leggero segno di assenso. Ricominciò a scendere verso il fondo della cantina della signora Bubonova. Dalle scale arrivava la debole luce di un lume a olio. Debole, ma non abbastanza da poter celare i segreti. "Dio mio!" Il contadino indietreggiò di un paio di scalini e vomitò.
Figura familiare per tutti gli abitanti del villaggio, la signora Bubonova aveva ormai passato gli ottant’anni. Vedova da parecchio tempo, da quando il marito, trasferitosi in città, a Odessa, per lavoro, rimase schiacciato da una pressa meccanica. Lei invece non si era mai mossa dal piccolo villaggio, riluttante alla vita cittadina. Non si era mai risposata e viveva sola nella sua modesta casa grazie ai sussidi che le arrivavano dal governo e a piccoli lavori di ricamo per gli abitanti del villaggio. Nessuna giovane del luogo si era sposata senza i ricami della signora Bubonova.
Il primo a sospettare qualcosa fu Dimitri, un agricoltore della zona che a tempo perso si prendeva cura del piccolo orto sul retro della casa della signora Bubonova.
"Ho anche provato a bussare, ma non risponde nessuno" disse, portando una cesta di patate alla famiglia Domanienko. Non vedeva la vecchia signora già da qualche giorno e, preoccupato, provò a cercare un conforto complice in casa del maestro, persona rinomata e attenta ai bisogni dei vicini.
"Ha provato a entrare in casa? Forse si è sentita male." Il maestro abbassò il giornale e tolse i grandi occhiali.
"No, non oserei mai. La signora non mi ha mai fatto entrare nella sua casa. Lei accoglie tutti in veranda."
E proprio in quella veranda era possibile scorgere la signora durante tutto il corso della giornata, ogni giorno dell’anno. Se ne stava china sul proprio lavoro, anche se non mancava mai un cordiale saluto e un solare sorriso a tutte le persone che passavano dalla via. Lì le novelle spose provavano i loro vestiti e i loro corredi. Condividevano con la signora i propri sogni e desideri. Per generazioni quella veranda era la porta per la felicità.
"Sono preoccupato. Potrebbe esserle successo qualcosa".
"Non è possibile che sia andata a trovare qualche parente fuori paese?"
"Non si è mai mossa da qui. No. Mi avrebbe avvisato."
"Potremmo contattare il dottor Vladios. Magari ha qualche informazione in più."
Nemmeno il dottore sapeva qualcosa in merito. Decisero quindi di aspettare ancora un paio di giorni, ma non notarono alcun movimento nella casa, e la veranda restava tristemente vuota. Decisero di andare a verificare la situazione di persona.
Dimitri, il maestro Domanienko e il dottor Vladios. Immobili nella veranda, la porta chiusa di fronte a loro, i loro sguardi interrogativi. Alexei Domanienko allungò la mano e girò il pomello della porta, che si aprì.
La stanza sembrava in ordine. Il buio era mitigato solo dalla poca luce che filtrava attraverso le fessure delle persiane chiuse e dalla porta che dava sulla veranda. Una casa semplice, essenziale. Rispecchiava la figura della signora Bubonova, che i fronzoli li metteva solo nei suoi magnifici ricami.
"Sembra tutto a posto."
"Signora Bubonova. Signora Bubonova, sono Dimitri. Mi sente?"
"Non risponde."
"C’è uno strano odore."
"E’ odore di morte." Le parole del dottor Vlados gelarono gli altri due uomini.
"Proviamo a guardare nelle altre stanze."
Nella camera da letto la videro. Distesa, tranquilla. Sembrava dormire nel suo grande letto ricamato, se non fosse per un principio di decomposizione visibile sul volto. Leggero, ritardato dal freddo del periodo.
"Povera signora Bubonova." Dimitri si tolse il cappello in segno di rispetto.
"A prima vista sembrerebbe una morte naturale. Non vedo segni di violenza."
"Dobbiamo avvisare il sindaco. Sapete se aveva parenti?"
"Non credo. Non me ne ha mai parlato." Dimitri sembrava il più scosso dei tre. Si asciugò una lacrima e uscì dalla stanza.
"Andiamocene anche noi."
Fu proprio in quel momento che notarono, in fondo al corridoio laterale, una porta socchiusa, dalla quale filtrava un leggera luce.
"C’è qualcuno?" chiese Dimitri. "E’ probabile che la signora abbia dimenticato la luce accesa."
Fu un’improvvisa curiosità che li portò ad aprire la porta, a scendere quelle scale e a svelare l’orrore.
Su un grosso tavolo in legno erano ben visibili dei resti smembrati di carne. Carne umana.
"Mio Dio!" ripeté Dimitri, non appena si riprese. "Come è possibile tutto questo?".
"Sono corpi umani. Guardi!" Il medico sembrava affascinato dalla scoperta. Si avvicinò al tavolo. "Diversi corpi umani."
"Chi può aver fatto tutto questo? Non può essere opera della signora Bubonova. Una signora così gentile."
"Guardi, guardi questi segni." Sul tavolo in legno erano evidenti delle profonde scanalature. "Artigli." sussurrò Dimitri facendo scorrere il dito lungo il solco. "Ho trovato dei segni simili nel pollaio. Pensavo fosse qualche animale selvatico."
"Nessun animale lascia segni del genere."
"Mio Dio!"
Il contadino sembrò dare segni di panico.
"Dobbiamo andare. Dobbiamo andarcene da qui."
"Un momento!" Il dottor Vlados prese un involucro accartocciato. Lo aprì. "E’ un cuore umano."
"Un cuore? E’ terribile, terribile."
"Ce ne sono altri. Guardi in questi fogli di giornale accartocciati."
"No. No, andiamocene."
"La data! Il giornale è di oggi!"
"Cosa?"
"Il giornale! Guardi la data! 29 gennaio 2023. E’ di oggi!"
"Ma come è possibile? La signora Bubonova è morta già da qualche giorno. Ha visto anche lei lo stato del corpo."
Proprio in quel momento i due uomini udirono un urlo agghiacciante. Un oggetto carambolò per le scale. La testa insanguinata del maestro Domanienko. Il contadino e il dottore restarono in un glaciale silenzio.
Si udì improvviso il chiaro rumore di una chiave che girava nella porta. E la luce si spense.