Dalla veranda sospesa sul campo di zafferano che si stende attorno a perdita d’occhio, guardo le mie belle contadine e sono felice, profondamente felice. Nel tramonto, che aggiunge oro al violetto delicato dei fiori, le ragazze si raggruppano, ridendo e scherzando tra loro, mentre si accingono a rientrare.
Oggi è il 1° gennaio del 2023, ma qui in Thailandia il capodanno viene dopo e così le ragazze hanno lavorato nei campi, pur se le avevo lasciate libere. Il nostro zafferano è tardivo e comincia ora a fiorire.
Quando passano nel vialetto qui davanti, mi salutano sorridendo e ammiccando e si danno di gomito l’un l’altra, ridacchiando e facendo gesti inequivocabili. Sono un’immagine incantevole.
Più tardi percepisco dei passi leggeri, dietro di me e qualche risatina. Resto fermo, seduto con le gambe incrociate e il busto eretto e mi fingo sereno e imperturbabile, anche se già fremo deliziato al pensiero di quello che seguirà e mi domando curioso quali saranno le ragazze che questa sera mi hanno scelto.
Poi Dyanphen (luna piena) e le due sorelle: Kanda (amata) e Keuta (delizia degli occhi), mi si siedono di fianco, piegando con innata grazia le gambe avvolte nella semplice pezza di cotone che fa da elegante gonna a tubo. Mi sorridono e mi tirano leggermente le maniche del kimono che indosso, cercando di scuotermi dal distacco che ostento. Visto che non mostro reazioni si scambiano sguardi d’intesa e cominciano a sfilarsi le bluse colorate mettendo in mostra le tettine appuntite e dato che ancora resto immobile, con lo sguardo fisso nel mare viola e oro al di là dei vetri, atteggiano il viso a delusione, sospirano e si dicono l’un l’altra: “Ah non siamo in grado di competere con la bellezza dei fiori e del tramonto. È meglio se ci rassegniamo e godiamo anche noi tranquille dell’oro che la sera ci regala. Orsù, mettiamoci composte nella posizione del loto, così come il nostro padrone.”
Ridacchiano mentre sciolgono le gonne, restano nude e si accomodano con misurata compostezza, tenendo le schiene ben dritte e le braccia rilassate sulle ginocchia aperte e le dita giunte ad anello. Socchiudono gli occhi e mormorano gentilmente un mantra che accordano con naturalezza in una specie di La minore, che scivola a volte in settima. Che meraviglia e che dolce eleganza, che grande privilegio poter godere così della loro bellezza e apprezzare la naturale innocenza che le porta a esibire la curva perfetta della nuca che scivola giù nella schiena fino alle dolci natiche che si allargano sotto a mandolino. Poi Dyanphen ruota un po’ su quei suoi adorabili cuscinetti per girarsi verso le sorelle e ammicca verso l’esterno, come a voler indicare qualcosa. Così mostra la gola e il collo sottile e il morbido profilo del viso e anche il solco che scende tra i seni fino a morire nell’ombelico e porta il mio sguardo nell’ombra più sotto. Keuta allora si alza sulle ginocchia e si sporge in avanti a cercare cosa indicava l’amica e così, distrattamente, mette in mostra le sue bellezze più intime, ma vien subito ripresa dalla sorella che le fa segno di ricomporsi.
Io godo del loro splendore, ma aspetto fermo, perché sono sicuro che le tre grazie non sono sole e che dietro c’è Thephì, altezzosa come il suo nome che vuol dire regina e che un po’ mi fa paura.
Per lei non sono un gioco, come per le altre, ma è veramente innamorata di me ed è gelosa e possessiva e a volte diventa violenta.
E infatti reagisce all’esibizione impudica di Keuta, entrando in scena e mandandola a gambe all’aria con una pedata. Zittisce tutt’e tre le ragazze alzando un dito e si volge a muso duro verso di me, che arretro col busto e finisco per cadere supino davanti a lei. Con due mosse svelte del piede mi apre il kimono, fa una smorfia al mio sesso eccitato e poi con determinazione avanza e si piazza a gambe larghe, coi piedi sulle mie braccia a tenerle aperte e bloccate a terra.
Mi inchioda collo sguardo che sembra combattuto fra odio e amore e intanto si toglie la blusa, apre il foulard che le fa da gonna e getta tutto lontano, restando nuda, bellissima, flessuosa, stupenda. Il suo sesso è incoronato, in alto, da un ciuffetto che fa un ricciolino graziosissimo e calamita il mio sguardo.
“Maiale, brutto porco, cosa guardi? È tutto lì quello che ti interessa? Sei una bestia, un poveretto!” Poi chiude gli occhi e sospira: “Ma più povera sono io che mi sono innamorata di te e non riesco a starti lontano.”
Si lascia cadere di botto a ginocchia larghe sulle mie braccia, mettendo in primo piano le sue delizie, ma mi fa male e mi arrabbio e protesto. Lei mi zittisce “Che uomo sei che ti lamenti per così poco?” e allarga ancora le gambe fino a farmi lappare le goccioline che imperlano i suoi peli. “Vedi maledetto come mi fai bagnare? Ti desidero da morire, anche se proprio non vorrei.”
Io sono beato, anche perché le due sorelle alle spalle di Thephì, stanno prendendosi amorevole cura del mio pisellone. Lei se ne accorge dal mio sguardo perso, si gira a cacciarle con un gesto, poi apre ancora di più le gambe e si abbassa a schiacciarsi sul mio viso, mentre sospira e mi dice con aria feroce e dolce assieme: “Ma un giorno io ti ucciderò! Lo sai?” Io a fatica libero le mie labbra dalle sue, per sorridere e rispondere: “Sarà bellissimo!” e mi rituffo in quel suo profumo di mare e zafferano.
Più tardi ceneremo con le leccornie che certo avranno preparato e poi andremo a letto tutti assieme nel grande tatami steso lì, nella veranda sotto le stelle e la luce della luna e forse Thephì suonerà il pin a tre corde e canteranno una canzone d’amore.
Il sogno, il grande sogno nascosto in fondo alla psiche di ogni maschio, quel sogno così esagerato che non riusciamo nemmeno a sognarlo compiutamente, di cui ci vergogniamo al punto di non confessarlo nemmeno a un amico, per non parlare di un’amante o una compagna, il sogno di avere un esercito di ragazze infoiate che ti desiderano, ecco, per me era diventato realtà.
Il caso, o meglio una concatenazione di eventi più o meno casuali, mi aveva portato questo folle e smodato stato di appagamento.
Da alcuni anni, come agente di una compagnia no-profit, bazzicavo la zona tra i confini del Laos, della Thailandia e del Myanmar (la vecchia Birmania) per promuovere le tecniche di trasformazione e confezionamento dei prodotti agricoli. La capacità agricola e commerciale tailandese è competitiva e ben organizzata per quanto riguarda produzione ed esportazione, ma la maggior parte dei prodotti alimentari in scatola che si vendono, anche nei negozietti più sperduti, sono di importazione. Ovvero: di frutta ce n’è in abbondanza, ma le marmellate vengono magari dalla Cina e così è per le scatolette, le bibite e i biscotti e tutto quanto sia confezionato in modo adatto alla distribuzione allargata.
Però ero anche sovvenzionato, in via confidenziale, da una nota agenzia governativa, per tenere d’occhio e riferire sugli umori, le dicerie o gli eventuali movimenti di truppe, in questo delicato incrocio di etnie e di politiche. Una specie di spia, insomma, e per questo intrattenevo contatti con diversi capetti locali e altri poco raccomandabili individui dediti a traffici illeciti, che mi tenevano informato su eventuali novità.
Con me lavorava spesso Martin, un bio-agronomo, un ragazzo veramente appassionato del suo lavoro. Eravamo diventati buoni amici e una sera ci prendemmo una meritata vacanza, da risaie, paludi e insetti, al rai Saeng Arun, un cosiddetto 4 stelle in riva al Mekong, nel nord della provincia di Chiang Rai.
Dopo molte birre e diversi bicchierini del rum locale che si chiama Mekong, come il fiume, ma non è certo fatto d’acqua, mi confidò che prima di venire in oriente, era riuscito a produrre i semi di una varietà di zafferano dall’aroma particolarmente intenso e ricco di proprietà salutari che, se si fosse riusciti a metterlo sul mercato, sarebbe andato a ruba e avrebbe reso una montagna di dollari.
Uno dei motivi per cui si era imbarcato con me in quest’impresa nel sud est asiatico, era perché questo suo zafferano miracoloso, al contrario di quello tradizionale, non cresceva bene nei climi temperati, ma aveva bisogno del caldo umido del clima monsonico. Anche la manodopera a buon mercato, che qui si poteva trovare, sarebbe stata ideale. Purtroppo fino a quel momento non aveva ancora trovato il luogo giusto per la coltivazione: servivano colline ventilate, con terreno sciolto e un po’ sabbioso e altre qualità. Mentre le elencava ebbi un lampo di memoria. “Ma io lo conosco un posto così e non è nemmeno lontano da qui. Se vuoi domani ti ci porto.”
Ecco, tutto è cominciato così.
Abbiamo impostato la coltura in questa zona collinare, deserta, ma non troppo lontana dal fiume e dal confine col Laos e i miei contatti coi faccendieri e contrabbandieri del posto mi hanno aiutato a ottenere i permessi e reclutare le ragazze e soprattutto ad avere una specie di cintura di protezione attorno all’azienda.
Intanto le proprietà del nuovo zafferano si erano rivelate al di sopra di ogni aspettativa. Era un vero elisir di giovinezza che ridava ai vecchi salute e vigore, elasticità al corpo e alla mente e soprattutto era un afrodisiaco incredibile. Non favoriva il semplice miglioramento della funzione erettile, ma risvegliava la libido e la fantasia erotica, accendeva il desiderio e la passione in modo esaltante e dolce al contempo: faceva innamorare! Avevamo chiamato la varietà che coltiviamo Crocus Igneus e la spezia ottenuta “Heat Love”, cioè fuoco, passione d’amore!
Per il momento non avevamo voluto farlo registrare, ma grazie alle mie ottime, cattive conoscenze, lo vendevamo in tutto l’oriente a prezzi incredibili, usando il fiorente mercato parallelo che propinava rimedi tradizionali e proibiti, tipo la polvere di corno di rinoceronte. Andava a ruba!
La protezione armata e l’appoggio di alcuni alti funzionari governativi ci costava un patrimonio, ma almeno stavamo tranquilli e indisturbati.
La coltura dello zafferano richiede impegno, cura e delicatezza, dalla concia preventiva dei bulbi, alla messa a dimora, alla continua pulizia, fino alla raccolta dei fiori, l’essicazione e l’estrazione degli stimmi e poi la selezione dei corni e il reimpianto. Le ragazze imparavano presto, erano la soluzione ideale.
Arrivavamo a fare due raccolti l’anno, che le tenevano costantemente impegnate, ma le cose presto si complicarono.
Anche semplicemente vivere in mezzo a quei fiori, toccarli e respirare il loro profumo ci metteva tutti in uno stato di eccitazione e ci predisponeva anche mentalmente e affettivamente ai rapporti amorosi.
Per fortuna, fin dalla fondazione della ditta, proprio per evitare rogne di genere sentimentale, avevamo avuto cura che nell’azienda ci fossero solo donne, a parte noi, che così però diventammo poi naturalmente l’unico obiettivo erotico maschile disponibile. La cosa si prospettava difficilme da gestire.
Facemmo una riunione, spiegammo la situazione, anche se ormai l’avevano capita bene tutte e chiedemmo cosa proponevano di fare.
Alcune ragazze chiesero di far venire il loro fidanzato ad abitare con noi, ma la proposta venne subito bocciata perché costui sarebbe divenuto inevitabilmente un obiettivo per molte delle altre. L’idea di farsi sostituire da donne anziane venne respinta a priori perché nessuna voleva perdere il lavoro e poi, disse una delle più avvedute, l’idea che venissero le loro mamme o nonne e andassero poi in fregola, era francamente disgustosa. Meglio andarci loro, in calore, che erano giovani e potevano in fondo permetterselo visto che le esperienze prematrimoniali non erano poi cosa grave per la morale thai corrente.
Alla fine si convenne che tutti noi facessimo del nostro meglio per comportarci civilmente nel periodo della fioritura che era il più pericoloso e ci si arrangiasse come si poteva, senza troppi esibizionismi.
Tutte assieme poi decisero, con grande saggezza di mantenere assolutamente segreta la cosa, non tanto per proteggere la loro reputazione, ma perché se si fosse sparsa la notizia saremmo stati certo assaliti da orde di maschi allupati e l’azienda sarebbe andata a catafascio. La paga era buona e il lavoro gradevole, in due anni una ragazza si pagava la dote e si sistemava, nessuna di loro voleva perdere quell’occasione. Si impegnarono tutte a fare almeno i due anni e a mantenere il più assoluto riserbo, qualora andassero a visitare le famiglie e anche poi, quando avrebbero lasciato la ditta.
Per parte nostra, per incoraggiarle in questa loro decisione, aumentammo le paghe e demmo la possibilità a chi lo voleva di acquistare quote dell’azienda, che divenne così una specie di cooperativa.
Tutti eravamo felici, a parte il povero Martin che non resse a un’infezione.
Lo abbiamo sepolto qua dietro e gli ho fatto fare un tempietto. Le ragazze più sentimentali gli portano regolarmente bastoncini d’incenso e fiori. Sarebbe contento, penso.
Martin mi manca molto, gli volevo bene e poi da solo è stato veramente difficile mandare avanti la baracca, anzi non ce l’avrei sicuramente fatta se non mi avessero aiutato le più intraprendenti e decise delle mie nuove socie, come Thephì.
1° gennaio 2026 - Seduto nella veranda guardo i campi iridescenti e rifletto.
Da alcuni anni Thephì, la regina, ha preso in mano l’amministrazione. Parla inglese, tutti i dialetti locali e ha un vero talento per gli affari, sa essere dura come l’acciaio e tratta alla pari anche con i miei vecchi amici più filibustieri. Rattana (gioiello), Saovapha (bella tra le belle) e Suhonen (buon profumo) le fanno da segretarie.
Malia, il cui nome vuol dire fiore, ma che è comunque un incantesimo di grazia e soprattutto di intelligenza, ha preso il posto di Martin e dirige tutto il lavoro coi bulbi e i fiori, aiutata da Yu (lussureggiante) e Saengdao (luce delle stelle).
Ha anche messo su un piccolo ma ben attrezzato laboratorio per analizzare le qualità organolettiche del nostro zafferano ed è da poco riuscita addirittura a sequenziarne i nucleotidi del DNA. Non ho idea di come abbia fatto, però di seguito a questo ha creato una specie di antidoto all’invadente stimolazione erotica che questo provoca.
Adesso tutte le ragazze lo assumono nei periodi critici della fioritura e ormai quasi nessuna mi viene più a cercare. Certo, mi sono affezionate e mi salutano con rispetto quando le incrocio nei campi, ma la magia è finita.
1° gennaio 2027 - Mi è rimasta solo Thephì. Ormai siamo una coppia fissa e abbiamo deciso di sposarci. È stata una bellissima festa, con tutte le nostre ragazze e con la famiglia di Thepì al completo, che mi ha adottato come uno dei loro.
Così sono libero da ogni responsabilità. Mi beo nel dolce far niente e nell’abbandonarmi alle voglie della mia bella moglie e di nessun’altra, perché lei è sempre molto gelosa.
Leggo, ascolto musica e passeggio per i campi, alle volte fumo qualche pipa d’oppio per rilassarmi e non esco quasi più dall’azienda.
1° gennaio 2029 - Thephì è sempre più presa dal lavoro e sta diventando insofferente nei miei confronti: ha perso ormai il rispetto e mi considera un buono a nulla. Credo che assuma un po’ della nostra polverina, le rare volte che mi si concede, probabilmente per superare l’indifferenza che ormai prova per me.
Il mio paradiso in terra è diventato un purgatorio. Devo trovare il modo di andarmene, prima che diventi un inferno.
Sto studiando come fare senza che lei mi scopra, perché ne ho paura .
Per valutare meglio il da farsi, placo l’ansia con qualche pipa, ma l’oppio oltre che calmarmi mi intontisce e mi toglie volontà e iniziativa.
Dovrei smettere, ma è difficile, molto molto difficile.
2 febbraio 2030, Capodanno cinese - Sono quasi sicuro che Thephì presto mi ucciderà e credo che non sarà proprio “bellissimo”, come le avevo detto tanto, tanto tempo fa.
Mentre rifletto mi faccio una pipa, tanto è inutile agitarsi. Ho imparato da questi orientali che è meglio lasciar scorrere le cose secondo il loro ritmo naturale, restando distaccati. Prima o poi troverò una soluzione o un’occasione per fuggire, forse.
Seduto nella veranda, aspetto, con calma lo svolgersi del mio karma.
Scende la sera e ed è subito buio perché oggi c’è la seconda luna nuova dopo il solstizio. Le stelle sono particolarmente brillanti e i campi di zafferano in piena fioritura risplendono dolcemente di rosso violetto e ci regalano un’atmosfera magica.
Nella tenue luminescenza che si soffonde attorno, vedo arrivare la prima segretaria di Thephì, la bella tra le belle Saovapha che mi è sempre piaciuta, ma non mi si è mai concessa, forse per paura della sua irascibile padrona. Con cura mi prepara e serve il tè, in un sorridente silenzio. Nel profumo che sale dalla tazza individuo, un po’ stupito, l’aroma del nostro zafferano afrodisiaco e intanto lei si spoglia lentamente e mi si inginocchia davanti, in una paziente attesa carica di ogni promessa.
Capisco che l’ha mandate Thephì. Non è vero dunque che mi detesta, mi ama ancora! Certo, ha deciso che deve uccidermi, ma vuol farmi morire felice.
L’ho sentita sussurrare qualcosa prima che la ragazza entrasse e adesso intravedo la sua figura dietro l’uscio. Il lampo, di un temporale lontano, mostra e congela il sorriso di Saovapha e l’atmosfera violetta che ci avvolge. È così bello che mi scendono due lacrime di felicità.
Col lampo ho visto nitida anche la figura di mia moglie, in agguato dietro la porta e anche il laccio di seta che tiene in mano.
Sospiro, bevo un sorso di tè e mi rilasso. Non voglio assolutamente perdermi quest’ultimo regalo, quest’ultimo momento di bellezza e piacere e poi conosco bene Thephì e so che è una brava ragazza, precisa e onesta. Posso stare tranquillo.
Non mi farà soffrire, mi farà un bel funerale e poi mi metterà nel tempietto, assieme a Martin e verrà tutti i giorni ad accendere un bastoncino d’incenso, per me.