Ogni mattina che Dio mandava in terra, Charlie era solito porsi la stessa domanda: quante pagine scriverò oggi? Subito pensava: forse due, e storceva il naso; forse dieci, e si batteva il palmo della mano sul petto all’altezza del cuore, come per farsi i complimenti. Di certo, senza una buona colazione, la giornata non sarebbe stata proficua.
Era solito scrivere in cucina, dove la pompa del teleriscaldamento spingeva meglio. Se guardava fuori dalla finestra, la città pareva una gigantesca, immensa sauna, tanto che la gente andava in giro in maniche corte pure agli inizi di dicembre. Dopo tutto, il progresso andava assecondato e tutti quegli sbuffi di vapore erano il progresso: vie e strade riscaldate come il salotto di una nobile abitazione. Lo stesso progresso, molto più in piccolo, significava per Charlie ottimi biscotti sputati ancora caldi.
La teiera non smetteva mai di fumare a casa di Charlie e tanto bastava, ma la levetta della macchina aveva bisogno di essere azionata per farle creare i suoi biscotti preferiti. Dal vasetto di vetro posto sulla credenza, Charlie prendeva una manciata di fiori essiccati. Li lasciava cadere come foglie secche nell’imbuto, girava la leva e, dopo un minuto circa di rutti e sbuffate di vapore grigio, i biscotti bucaneve eruttavano dallo sportello inferiore, tanti quanti erano i fiori che aveva introdotto. Profumavano di montagna, qualcosa di molto lontano, dolci come lo zucchero a velo. Nel tè erano una bomba, a patto che non si esitasse troppo a intingerli, onde evitarne lo squagliamento totale.
Compiaciuto, col palato caldo e addolcito, Charlie si metteva subito al lavoro. La storia che stava per raccontare gli era venuta in mente la notte precedente, quando lo scalda sonno aveva svaporato, facendolo rimanere al freddo come un baccalà. Belando, aveva pensato e ripensato, battendo i denti, fino ad addormentarsi per sfinimento. Diradate le nebbie della sveglia automatica che suonava sempre alla stessa ora, svanite le nuvole della data del giorno, sette dicembre milleottocentoquarantatre, che lo stesso marchingegno vaporizzava sul soffitto, Charlie aveva tutto chiaro nella testa. Tutto.
Friederick Church, un secondo dopo aver finito, iniziò a rivestirsi. Come sempre, in silenzio.
“Non ti va di rimanere ancora un poco qui?”, gli chiese Dafne, scoprendo leggermente un seno.
“A questo punto, di te, non so che farmene!” rispose Friederick, sprezzante.
Dafne si strinse nelle spalle, per nulla infastidita. Prese il suo tubo vapo e fece una lunga tirata. Espirò e sbuffò il fumo in direzione di Friederick.
“Che cos’è questa merda!”, sbottò lui, completamente avvolto dalla nuvola di vapore.
“Vaniglia del Madagascar, mio caro!”, gli rispose Dafne fumando come una ciminiera sorridente, felice per averlo irritato.
“Ci vediamo la settimana prossima!” urlò Friederick. Uscì sbattendo la porta.
“Buon Natale!” urlò Dafne, ma lui non la sentì.
Giunto sulla strada, Friederick si sbottonò il soprabito. Non capiva se sentisse caldo o freddo. Sentiva freddo se guardava il cielo grigio di Londra che come una lapide gli pesava sulla testa. Moriva di caldo quando era investito da una scia di vapore di qualche carrozza che gli era appena sfrecciata di fianco.
“Buongiorno signore” esclamò il signor Aznable, non appena Friederick varcò la porta dell’ufficio.
“Non ti scomodare Char!”, lo ammonì il padrone, “anche il tempo di un saluto è denaro!”
“Sì, signore…”, rispose sconsolato Char.
“Mi devi dire qualcosa?” ribatté Church con tono supponente.
“Sì. Sì, signore”, balbettò Char.
“Muoviti!”, urlò Church. “Non ti ho mai detto che il tempo è denaro?”
“Domani è Natale, signore!” disse Char con un filo di voce.
“Lo so bene!”, sbuffò Church, rosso in viso come la caldaia di una locomotiva.
“Se potessi…”, azzardò Aznable.
“Puoi! Puoi!”, urlò Church sbracciandosi, “che sia soltanto domani!” E aggiunse: “Prima o poi la regina abolirà questa stupida festa!”
“Grazie, signore”, rispose Aznable senza far trapelare tutta la sua felicità.
Era la vigilia di Natale. Il mistero della festa si stava vaporizzando su Londra, calava insieme al suo sistema di riscaldamento esterno. La neve artificiale ricopriva i tetti dei quartieri più benestanti ma in tutte le case andava in scena la gioia, il piacere dello stare insieme, quella tradizione quasi universale che alla fine coinvolge tutti, anche gli inattaccabili.
“Buon Natale signore!” disse un giovane a Church appena uscito dall’ufficio. La strada era quasi deserta ma densa d’allegria.
Church fece una smorfia e non rispose. “Meglio tornare in fretta a casa”, rifletté, “non ho voglia di certe smancerie.”
La casa di Church era pallida come una chiesa. Eppure, quella sera, gli organi delle chiese sbuffavano note liete come e più che a Pasqua. Sembrava la terra di nessuno, una bolla tra le bolle, un deserto in mezzo a un bosco. Church aprì il portone, posò le chiavi sulla credenza all’ingresso e accese la luce in cucina. Pensò un momento se accendere il vaporetto per riscaldarsi. Prima di andare a letto, comunque, si sarebbe fatto un bicchierino di gin, da sorseggiare tra una svampata e l’altra della sua pipa a muro, collegata sopra il fornello con il tubo del teleriscaldamento.
“Di solito alla vigilia di Natale si mangia pesce”, esclamò Church ad alta voce, come se ci fosse qualcuno che potesse sentirlo. Così dicendo, senza rendersene conto, aveva sorriso. Alzò lo sguardo e vide il suo sorriso storpiato riflesso nel tubo d’acciaio della pipa che correva sulla parete. Provò un senso di repulsione verso se stesso, tornando subito serio.
Disattivò la valvola di pressione del vapore che manteneva la temperatura della ghiacciaia. Infilò i guanti stagni e dall’interno del pozzetto prese una mattonella di filetto di pesce, una manciata di fiammiferi di patate e cinque cubetti di ghiaccio per il gin.
Stava per infilare pesce e patate nella friggitrice ad aria calda, quando il campanellino del vapogramma annunciò l’arrivo di un messaggio. Chi poteva essere alla vigilia di Natale? Gli ingranaggi del vapogramma cominciarono a eccitarsi, il camino sfiatava come la valvola di una pentola a pressione. Dopo una prima nuvoletta di vapore nerastro, dall’imbuto cominciò a materializzarsi il messaggio. O, rutto; SP, gargarismo onomatopeico; I, scorreggia fine; T, scorreggia rumorosa; E pernacchia cacofonica. Church rise di gusto.
“Un ospite?”, batté le mani, “non inviterei neanche mia madre, buonanima. Soltanto quel buono a nulla di Aznable potrebbe fare degli scherzi simili.”
Tornando subito serio: “Dopodomani darò il ben servito a quel parassita. Un Natale che si ricorderà!”
Il fish and chips riempì lo stomaco di Church, ma non fu capace di colmare il vuoto dei suoi pensieri. Neppure il gin, sgolato in generose sorsate come mai era successo prima di quella sera, riuscì a scacciare il turbamento latente che attanagliava le membra di Church dopo aver subìto lo scherzo di Aznable. Veramente quel messaggio era uno stupido scherzo del suo impiegato?
Charlie era completamente immerso nella scrittura, concentrato e risoluto nel portare a termine la sua storia. Fu il rutto del vapogramma a distrarlo. Per un attimo pensò che ciò che stesse scrivendo in realtà non gli piacesse. La macchina iniziò a buttare fuori una lettera dopo l’altra: C – h – e – f – i – n – e – h – a – i – f – a – t – t – o, il marchingegno sbuffò qualcosa che somigliava a un punto di domanda. S – t – a – i – d – i – v – e – n – t – a – n – d – o – u - n – f – a – n – t - a – s – m – a.
“Già! Un fantasma!” urlò Charlie al settimo cielo. Inviò subito la risposta al messaggio ricevuto: G – r – a – z – i – e – K – a – t – y.
Church si era addormentato sulla poltrona in cucina. Un sonno turbato e irrequieto. Continuava a girarsi e rigirarsi. Pensieri indefiniti gli turbavano la mente. Credeva di aver trascorso buona parte della notte. Destatosi, premette il pulsante del vapologio da parete e rimase di stucco. Non era passata neanche un’ora da quando si era addormentato. Mancavano due minuti alle undici. Tese le orecchie in attesa di sentire i rintocchi della torre dell’orologio. Due minuti che sembrarono un’eternità.
Finalmente il gong della torre dell’orologio rintoccò ventitré volte. Subito dopo l’ultimo rintocco, Church sentì un nitrito di cavalli. Molto vicino, come se provenisse esattamente da sotto la sua finestra. “Saranno trent’anni che le carrozze non vanno più a cavalli!” esclamò.
“Sono qui per portarti indietro di trent’anni e oltre”, disse una voce gutturale. Church trasalì e aprì gli occhi.
Un individuo trasparente come una nuvola di vapore stava in piedi davanti alla poltrona.
“Mi vuoi uccidere?” chiese Church mordendo energicamente la copertina di lana.
“No,” rispose l’ombra, “sono qui per evitare che tu uccida te stesso!”
L’ombra lo prese per mano e volando oltre la finestra lo fece accomodare nella carrozza trainata dai cavalli neri, con i sedili foderati di raso.
Church, durante il breve volo dalla finestra, aveva urlato come un pazzo, sgolandosi. Consapevole che nessuno potesse averlo udito, chiese: “Sei la morte?”
“No”, rispose l’ombra, “sono il fantasma del Natale passato.”
Il fantasma non disse altro durante il tragitto della carrozza che volava nel tempo. Udì soltanto le esclamazioni onomatopeiche di Friederick Church, mentre sotto di lui scorreva il suo passato.
Church vide se stesso bambino, al tempo in cui morirono i suoi genitori e lo lasciarono, suo malgrado, sotto la podestà dello zio paterno. Un uomo d’affari, senza scrupoli, che lo educò secondo il suo modo di vedere il mondo. Esattamente come Church era diventato, una specie di modo di essere, un controvalore di quelli che erano, o dovevano essere, i veri scopi della vita.
Non esisteva Natale, allora.
Fu così che il giovane Friederick immaginò come potesse essere un Natale consapevole trascorso con i suoi genitori e non con i loro fantasmi.
“Grazie!” disse a un certo punto.
Il fantasma del Natale passato annuì e sorrise: “Riceverai un’altra visita, stanotte!”
Scomparendo in una nuvola di fumo, un cono di luce turbinante scaraventò Church sul pavimento della sua cucina, proprio nel punto dal quale era partito.
L’uomo d’affari era sconvolto. Il fish and chips faceva su e giù nello stomaco scombussolato. Giurò sulla sterlina d’oro che aveva appesa al collo che non avrebbe mai più bevuto un sorso di gin.
Con un’eco sinistra, suonò la mezzanotte. “Buon Natale!”, si disse Church, sarcasticamente.
Una scorreggia vaporizzata precedette lo scoperchiamento del soffitto di casa Church.
“Benvenuto nel presente!”, esclamò una figura luminosa quanto un faro in mezzo all’oscurità del mare aperto. La carrozza aveva la forma di una locomotiva a vapore. Sfiatava rumorosamente.
“Mi porti nel futuro?” chiese mestamente Church, allettato dall’idea.
“Giammai”, rispose l’angelo in bianco, io sono il fantasma del Natale presente. Il futuro non è affar mio”, rise.
Con una svampata Church si ritrovò vis à vis con le fiamme dell’inferno che alimentavano la caldaia di quel mezzo locomotore. Pensava di vedere chissà cosa, ma la scena che si trovò di fronte, con grande sorpresa, lo commosse.
“L’ho visto debole, stasera” disse Char Aznable alla moglie.
“Non più di altre,” rispose lei chinando il capo.
Si abbracciarono, guancia calda bagnata toccò guancia calda bagnata: “Tim ce la farà!” esclamò ancora l’impiegato Aznable.
“Dimmi che non è vero”, urlò Church al fantasma.
“Il presente non si può cambiare!” tagliò corto l’ectoplasma, “rebus sic stantibus.”
“Che vuoi che me ne faccia del tuo latinorum, diavolo di uno spettro!” urlò Church in preda alla collera.
Il fantasma iniziò a ridere, seppur Church non fosse capace di udire il suono di una risata così sguaiata, beffarda, approfittatrice. Una nuvola di vapore denso e puzzolente come gli affari del broker lo scaraventarono di nuovo nella sua cucina, nel buio più completo.
Appena ripresosi dal trauma del viaggio presente, subito pensò: “Passato, presente…futuro!”, si mise le mani nei capelli. Il vapogramma svaporò tintinnando: F – u – t – u – r – o.
“Oh my God!” esclamò Church.
“Arretrato!” sbraitò una voce. “Con te farò un botto di cloud like! Non mi sfuggirai!”
“Chi sei tu? Il fantasma del futuro?” disse Church con un tono di voce a metà tra lo spavento e la certezza.
“Esatto, maledetto utente! Sono qui per annunciare la tua morte terrena e la mia eternità steamsocial!”
“Ma che cazzo dici?”, si irritò Church.
“Sei un arretrato, a big behinded! Non puoi capire, sei troppo stupido!” esclamò lo spirito.
Iniziò così il viaggio di Church nel futuro. Inizialmente la sua visualizzazione era limitata a un cuore con un numero a fianco che aumentava progressivamente. Ne ignorava il significato.
Poi tutto fu più chiaro: vide un cimitero, in lontananza. L’immagine rimpiccioliva verso una lapide. Non una qualsiasi, bensì una in marmo, non più lucida e ricoperta di erbacce, che riportava il seguente epitaffio: Friederick Church, beloved businessman and simple man...June, 9th, 1870.
Un urlo squarciò il cielo futurista: “Lo vedi? Nessuno si ricorderà di te!” disse il fantasma del Natale futuro. Lo spettro iniziò a ridere, alzando sempre di più il tono del suo riso. Friederick rise a sua volta, accorgendosi presto di quanto il suo riso fosse in realtà amaro, poiché aveva visto la sua tomba e il giorno in cui sarebbe morto. Eppure non era quello che lo turbava, tuttavia, quanto il fatto che nessuno si sarebbe ricordato di lui dopo la dipartita, lasciando la sua lapide alla mercé delle intemperie, non potendo evitare che il suo corpo fosse mangiato dai vermi.
Ritornato, anche se non sapeva come, nella sua cucina, Friederick afferrò il tubo vapo della sua pipa teleriscaldata. Fumò fin quasi all’alba, prima di addormentarsi per sfinimento.
L’indomani, Friederick Church si sentiva un’altra persona. Anche il caffè Londra della sua Nesteam what else gli sembrò avere un altro sapore.
Si vestì con gli abiti della festa e uscì in strada […]
Camminando con le mani dietro la schiena, Church incrociava lo sguardo dei passanti e sorrideva. Sembrava così irresistibilmente gentile che più di una persona gli disse: “Buongiorno signore, buon Natale a voi!”
Church in seguito disse che fra tutti i suoni festosi che aveva sentito, quello gli risultò il più gradito di tutti.[url=#sdfootnote1sym]1[/url]
Charlie si stiracchiò sulla sedia. Era soddisfatto di ciò che aveva portato a conclusione? Insomma. Tuttavia, da buon scrittore, egoista ed egocentrico, non esitò più di tanto a vapogrammare la conclusione del suo lavoro al proprio editore.
L – a – v – o – r – o - c – o – n – c – l – u – s – o – p – l – i – c – o – i – n - v – i – a – t - o – b – y – r –o – y – a – l – e – m – a – i – l.
Purtroppo, come capitava sempre più spesso da quando i sistemi di comunicazione s’erano evoluti, il vapogramma vomitava di ritorno un sacco di spazzatura per pubblicità: p – a – t – e – c – i – p – a – a – d – i – f – f – e – r – e – n - t – r – o – o – m – s – t – h – e – k – i – t – c – h – e – n.
Charlie non lasciò che il messaggio si concludesse: “Razza di ciarlatani!” esclamò.
Mise una manciata di fiori bucaneve nella macchinetta e, aspettando i suoi biscotti, si disse: “Come sarebbe stato il passato se il futuro fosse arrivato prima?”
[url=#sdfootnote1anc]1[/url] In corsivo da Charles Dickens, Canto di Natale, Edizione Giunti 2020 a cura di Janna Carioli.