La giraffa salì sul tavolo con lo sguardo fiero dritto davanti a sè: il corpo morbido e slanciato era di un bell’azzurro, maculato da graziose macchioline gialle. Tra le corna un ciuffo di peli rossi la rendeva spavalda e al tempo stesso irresistibile.
Un fante di plastica verde le salì in groppa; due giri di nastro adesivo lo assicurarono in quella postazione.
«Avanti, miei prodi! Dobbiamo raggiungere la Principessa!» disse il nonno con enfasi.
Giraffa e Fante non risposero, ma si capiva dai loro sguardi fissi e concentrati che erano pronti per l’impresa.
«Andiamo!» li esortò il nonno.
«Ga!» esultò la principessa dall’altro lato del tavolo, tamburellando con i talloni contro il seggiolone, incapace di contenere l’entusiasmo.
Il nonno prese la giraffa per le zampe posteriori, la inclinò in una strana impennata e, con un improbabile nitrito da cavallo, la fece avanzare sul tavolo. Giraffa saltellava tra i fiori che decoravano la tovaglia con cautela: sapeva che le petunie viola erano velenose e l’avrebbero fatta precipitare in un abisso di tristezza, mentre quelle striate di rosso le davano energia e cercò di calpestarne il più possibile.
«Dannazione!» urlò Fante con la voce da duro «Pericolo a ore dieci! Ripeto: pericolo a ore dieci! Urge deviazione!»
A ore dieci la nonna aveva appena appoggiato sul tavolo il ciottolo con l’insalata. Giraffa frenò di colpo, ma perse l’equilibrio e pestò una petunia viola: subito cadde a terra svenuta.
«Presto, l’antidoto!» Fante fu liberato dal nastro adesivo, zampettò fino al pane affettato che si trovava più in là e tornò di corsa da Giraffa.
«Mangia, amica mia! Ti sentirai presto meglio!»
«Ga, Gaa!» sentenziò Principessa, con gli occhi spalancati sul dramma che si stava compiendo a poco più di un metro da lei.
Giraffa mangiò il pane e piano piano si rimise in piedi.
«Sto meglio, Fante. Grazie, mi hai salvato la vita!» La voce che il nonno aveva scelto per lei assomigliava molto a quella della Littizzetto.
«Sciocchezze, Giraffa! Ce la fai a proseguire?»
«Certo! Dobbiamo raggiungere la principessa prima possibile!»
«Altrimenti ghiaccia tutto!» s’inserì la nonna con poco riguardo per ciò che era appena accaduto, anche se, distratta dal rumare il ragù, non aveva partecipato molto alla scena.
Con altri due giri di nastro adesivo il fante fu di nuovo assicurato in sella alla giraffa.
«Avanti, miei prodi!» li esortò il nonno e Giraffa tornò a saltellare tra i fiori. Con cautela girarono intorno a piatti e bicchieri, scalarono con fatica il monte Tavernello, dal quale esalavano vapori esilaranti che fecero dire sciocchezze ai due; aggirarono la Caraffa d’Acqua Demineralizzata chiudendo gli occhi, su esortazione del nonno, per non venire ammaliati dai suoi malefici riflessi.
«La vedo! A ore dodici, sempre dritto!» esultò Fante.
Poco più avanti, avvolta da un invitante profumo e da un grazioso ricciolo di vapore, apparve la Minestrina Che Faceva Diventare Grandi.
I prodi gonfiarono il petto e procedettero con baldanza. Stavano raggiungendo il piatto fumante, quando all’improvviso un mostro alieno saltò sul tavolo.
«Atto!» urlò la bimba «Aaattooo!»
Giraffa s’impietrì di fronte all’enorme animale che con un balzo era salito sul tavolo. Nei suoi occhi apparvero tutti i momenti in cui l’odiata bestiaccia aveva brutalmente cercato di ucciderla. Fante conosceva i traumi vissuti dalla compagna e non si sentì di spronarla all’attacco.
«Vai via gattaccio!» Intimò il nonno con la voce del nonno, ma il gatto non lo ascoltò e si avvicinò curioso alla Minestra Che Faceva Diventare Grandi.
«Oimmena Duchessa, non ti ci mettere anche te, che qui la storia è lunga» intervenne la nonna prendendo Duchessa sottobraccio e portandola di là.
«Atto!» sentenziò Principessa seguendo con lo sguardo il bel micione che veniva portato via.
Il nonno nel mentre aveva scocciato al fante un cucchiaio di plastica e stavano quasi per tuffarlo nel piatto quando un urlo li fermò.
«Aspettate!» s’intromise di nuovo la nonna, portandosi teatralmente una mano alla fronte: suo malgrado era stata catturata nell’ingranaggio di quell’epopea. «Mi sono dimenticata la Gemma della Sublime Bellezza e della Fine Intelligenza!»
Giraffa, Fante e il nonno si voltarono verso di lei: se i primi due riuscirono a mantenere una stoica espressione di fierezza, il volto del nonno si piegò in una smorfia interrogativa.
«Il formaggino» spiegò la nonna «Nel frigo.»
«Uuuh, è vero!» ululò il nonno «Avanti, miei prodi! La missione non può dirsi conclusa senza la Gemma!»
Giraffa si sentì afferrare per le zampe posteriori, Fante strinse un po' le gambe intorno alla groppa della compagna. Stavano per fare qualcosa che li elettrizzava e li spaventava al tempo stesso: stavano per volare.
Il nonno spinse indietro la sedia, si alzò con un allegro oplà e partì in direzione del frigorifero, tenendo ben saldi i due giocattoli in mano e facendogli compiere spericolate acrobazie. Il tutto con uno strano rumore in sottofondo, come a voler inspiegabilmente imitare quello di un elicottero.
«Forza, ragazzi! Dobbiamo raggiungere il Regno dei Ghiacci! Tu-tu-tu-tu-tu…»
Il frigorifero era un monolite grigio dall’altra parte della stanza: Giraffa fissava la meta concentrata, Fante stava per vomitare grazie alle tortuose acrobazie del nonno, ma non lo avrebbe mai ammesso. Alla meglio riuscirono a raggiungere la maniglia del frigo. Il nonno, un attimo prima di aprirlo, si voltò repentino verso la bambina.
«Parola d’ordine!» ordinò puntandole un dito contro.
«Ga!» urlò la bimba con gli occhi sgranati, incuriosita da tutto quello che stava accadendo intorno a lei.
Il frigo si aprì per incanto e il freddo ruzzolò fuori in un ricciolo di gelo.
La gemma si trovava in un contenitore rotondo, incastrata insieme ad altre gemme argentate. Fante e Giraffa si addentrarono in quel luogo ostile e sconosciuto, lottarono per strappare via la gemma alle sue sorelle e trionfanti uscirono.
Quando principessa li rivide batté le mani entusiasta.
Il nonno cambiò sedia e usò quella vicino al piatto di minestra. Giraffa fu lasciata libera di pascolare sul prato di petunie. Al nonno toccava adesso un’impresa più che epica, quasi impossibile: sbucciare il formaggino dal suo involucro argentato.
«Maremma impestata, ladra e cane!» imprecò dopo i primi cinque secondi persi nella vana ricerca di un fantomatico pezzo di plastica rosso.
«Dai a me, che questo più che un pranzo sta diventando una cena» s’intromise la nonna, che in un attimo scartò il formaggino facendolo sparire nella minestrina.
«Adesso è perfetta, mia principessa!» e si allontanò con un inchino.
«Orsù, presto!» comandò il nonno «Dobbiamo portare a termine la missione!» prese la giraffa, con addosso il fante che reggeva un cucchiaio, prelevò un po' di Minestra che fa Diventare Grandi e si avvicinò alla bambina elencandole tutti i benefici che avrebbe subito provato nel gustare quella delizia. La bambina spalancò la bocca, deglutì e la spalancò di nuovo: in pochi minuti il piatto fu svuotato.
La porta si aprì.
«Ciao mamma, ciao papà. Scusate il ritardo!»
«Mamma!» strillò la bambina tendendo le mani «Affa! Atto! Tu-tu-tu!» riassunse sputacchiando.
«Oh, tesoro! Hai fatto la brava? Ha fatto la brava?» domandò in sequenza prima alla figlia poi a genitori.
«È un angelo!»
«No, scusatemi davvero, ma quel seminario sul racconto odeporico non finiva più! Interessante, per carità, ma luuungo! Quel relatore, poi. Bravo eh, però…»
«Il professor Finoro, mi sembra» azzardò il padre.
«Sì, lui. Bravo, preparato, ma ha una lingua che taglia e cuce: impossibile farlo stare zitto e impossibile smettere di ascoltarlo.»
Nel mentre che parlava aveva chiuso la bambina nel cappottino e le aveva calcato in testa il cappellino rosa.
«Ma non pranzi con noi?»
«No, mamma, devo scappare. Mi dispiace avervi disturbato. Magari torniamo sabato o domenica, con più calma.» Aveva preso la bimba in collo e stava raggiungendo la porta.
«Ciao. Non vi bacio perché sono raffreddata. Fai ciao ai nonni Ari.»
La piccola sventolò la manina, lanciando uno sguardo triste alla stanza, ai nonni e alla cesta dei giochi.
«Ciao, Arianna» disse la nonna e le baciò una manina.
Un attimo dopo non c’erano più.
Il nonno rimase alla finestra guardando la macchina andar via, fino a che rimasero solo i fanalini rossi degli stop. Poi sparirono anche quelli.
«Ti aiuto?» chiese.
«No, son solo due piatti.»
Il vecchio sprofondò nella poltrona, inforcò gli occhiali e aprì la Settimana Enigmistica.
La nonna ripose il fante e la giraffa nella cesta dei giochi, sparecchiò e raccolse la tovaglia: insieme a quelle del pane le sembrò di scuotere via anche qualche briciola di felicità e si sentì triste all’improvviso.
Poi si accorse che i lembi della tovaglia che teneva tra le mani raffiguravano le petunie viola. Si voltò con le lacrime agli occhi: il nonno la vide, capì e si alzò per prenderle un pezzettino di pane.