Mamma dice che il nonno è un po’ matto e che vive nel suo mondo. Io so soltanto che vive in soffitta e che non esce mai da lì. Tutti i giorni la mamma gli porta il pranzo e la cena. A volte la cena gliela porto io, e poi mi fermo ad ascoltare le sue storie. Mi piace stare col nonno e perdermi in quel suo stanzone pieno di cose strane.
Il mio nome è Shu, ho nove anni e frequento il terzo anno alla scuola pubblica di Jeju. Mi piace molto ascoltare storie e vorrei essere brava a raccontarle. Anche se non sono brava come il nonno, voglio provare lo stesso a raccontarvi qualcosa della mia famiglia. Abitiamo in una piccola casa a due piani vicino ad altre case tutte uguali, in alcune abitano i miei amici, in altre persone che non conosco. Insieme a me vivono mio padre, mia madre, mio fratello Ji e il nonno, in soffitta.
Papà lavora in un piccolo hotel vicino al porto. Mamma dice che da giovane era davvero un bell’uomo, atletico e con tanti capelli neri. Adesso è sempre bello ma ha pochi capelli e un pochino di pancetta. Tutte le mattine sta tanto tempo davanti allo specchio per cercare di sembrare più giovane, ma la mamma dice che sembra soltanto più buffo e che perde solo del tempo.
Mamma invece non lavora e passa tutta la giornata davanti al tv color o a chiacchierare con la zia Hun che abita in fondo alla via. La zia Hun è vedova e viene spesso a trovarci. È bella e ha un buon profumo ma ha sempre il viso tanto triste.
Mio fratello Ji è molto più grande di me. Ha venti anni e ha finito la scuola con voti non tanto belli. Vuole fare teatro perché è innamorato di una ragazza coi capelli rossi che vive nella casa di fronte. Siccome è molto timido, ha deciso di fare il mimo. Vorrebbe diventare bravo ed esibirsi nei grandi teatri di Seul assieme alla ragazza dai capelli rossi, ma per il momento fa solo qualche spettacolo nei quartieri della città, qui sull’isola. Mamma è contenta per questa sua passione e lo incita a proseguire. Papà un po’ meno. Dice che non è un vero mestiere e che dovrebbe andare a lavorare con lui in hotel.
Quello che mi piace di più della soffitta del nonno è il grosso cannocchiale posizionato su un treppiedi davanti alla finestra. Il nonno dice che gli serve per tenere d’occhio il porto, perché i giapponesi potrebbero tornare da un momento all’altro. Io mi diverto a guardare dal cannocchiale, perché le cose lontane sembrano vicine. Come se le potessi toccare e prendere con le mie mani. A volte, nei racconti del nonno, al posto dei giapponesi sono i cinesi quelli che devono arrivare dal porto. Altre volte ancora i russi, o gli americani. Tutti che arrivano dal porto. Ed è per questo che lui deve controllare. È sempre attento a quello che succede al porto. Tranne il giovedì sera, perchè in tv danno il quiz e al nonno piace molto. A tutti piace molto il quiz del giovedì sera. Dalla finestra vedo i vicini che guardano il quiz in televisione. Se fossi un giapponese arriverei il giovedì sera durante il quiz. Non mi scoprirebbe nessuno.
Dice sempre di non voler uscire dalla sua soffitta finché la Corea non sarà in pace.
“Nonno, cosa dici? Ora siamo in pace!” gli ripeto in continuazione, ma lui mi risponde che siamo in guerra dal 1950, e che la guerra non è ancora finita.
Nella soffitta del nonno ci sono un sacco di bauli, armadi e scatoloni pieni di ricordi della sua vita. A volte apre una scatola, toglie un oggetto, e mi racconta qualcosa. Mi piace curiosare tra le sue cose, e lui mi lascia fare, mentre si prepara per la prossima storia. Solo l’ultimo cassetto della scrivania è chiuso a chiave, perché nasconde un segreto.
Un giorno dello scorso mese di agosto, mentre stavamo guardando le Olimpiadi di Los Angeles sul tv color della soffitta, con la mamma e Ji, il nonno disse che anche lui da giovane aveva partecipato alle Olimpiadi e aveva vinto una medaglia.
La mamma scoppiò a ridere: “Papà, nella tua vita hai raccontato un sacco di storie inventate, ma una così assurda proprio mai.”
“Eh no, mia cara. Io non racconto mai storie inventate! E men che meno questa volta!”
“Nonno, ci racconti cosa è successo?” chiese curioso mio fratello.
“È stato tanto tempo fa. Io ero giovane. Vostra madre non era ancora nata.”
“Allora è stato davvero tanto tempo fa.” disse Ji ridendo e facendo arrabbiare la mamma.
“Mi piaceva correre e lo facevo ogni volta che potevo. Andavo al lavoro di corsa. Tornavo a casa di corsa. E poi correvo anche con gli amici, nel tempo libero.”
“Non come adesso che non esci mai da questa soffitta.” Rispose la mamma ridacchiando.
“Organizzarono una gara in città. Una gara importante. Arrivarono atleti anche da Seul. C’era la radio a seguire l’evento. I miei amici mi iscrissero di nascosto. Io non volevo partecipare ma loro insistettero tanto e così mi presentai alla partenza con la divisa sportiva della scuola.”
“Che bello il nonno in pantaloncini e maglietta!”
“E cosa successe?”
“Successe che arrivai primo, davanti a tutti. Anche davanti ai campioni arrivati da fuori isola.”
“Evviva il nonno! Bravo, bravo!”
Il nonno si alzò e guardò fuori dalla finestra.
“Alla gara partecipò anche un famoso atleta della Yangjeong High School di Seul che mi segnalò all’allenatore della nazionale. Mi chiesero se volevo andare ad allenarmi con loro.”
“Addirittura?” la mamma era interessata alla storia ma non sapeva ancora se crederci o meno.
“Non era una scelta facile. Voleva dire trasferirsi a Seul. Lasciare gli amici, la famiglia. Cambiare scuola. Cambiare vita.”
“Oh!” esclamai sorpresa.
“Mia madre mi parlò una sera. Mi disse che, se volevo provare, era quello il momento giusto. Aveva messo da parte dei soldi per gli studi. Mi avrebbe dato quelli, se l’avventura con la corsa non fosse andata bene.”
“Che brava la nonna.”
“Io non l’ho mai conosciuta.”
“Mi impegnai a fondo. Gli allenamenti erano duri, molto duri. Ci allenavamo come se fossimo dei soldati, fin quasi allo sfinimento. Però mangiavamo bene. E i compagni diventarono subito degli amici. Mi portarono ai giochi asiatici. E poi alle Olimpiadi, a Berlino. Nel 1936.”
“Che bello nonno! Che storia fantastica!"
“Incontrai atleti da tutto il mondo. Fu un'esperienza bellissima. Anche se non riuscii a vincere. Arrivai terzo. Prima di me solo un inglese, e il campione di Seul. Quello che mi aveva visto alla corsa qui in città.”
“Papà. È una storia bellissima. Mi sono quasi commossa. Ma non riesco a crederci.”
Il nonno si mosse dalla finestra e aprì un cassetto della scrivania. L’ultimo, quello sempre chiuso a chiave. Estrasse una scatoletta rossa e la porse alla mamma.
La faccia che fece quando la aprì. Aveva in mano la medaglia di bronzo dei Giochi Olimpici di Berlino. La mamma scoppiò a piangere dalla gioia.
“Papà. Scusami se ho dubitato delle tue parole, ma perchè non mi hai mai detto nulla?”
“È vero nonno. È una storia incredibile. Perché non l’hai mai raccontata?”
“Perchè mi vergognavo.”
“Come ti vergognavi? Devi essere orgoglioso di quello che hai fatto!”
“Mi vergognavo, perché non ho potuto correre col mio nome. E con la mia bandiera.”
“Non capisco.”
La mamma lo guardò perplessa. Non capiva cosa ci fosse da nascondere. Perché il nonno non ha potuto correre con il suo nome alle Olimpiadi?
“A quel tempo la nostra Corea faceva parte dell’Impero Giapponese. Io dovetti correre sotto la bandiera dei giapponesi, che ci opprimevano e che ci hanno sempre trattato come schiavi. Capite perché non vado orgoglioso di quella medaglia?”
“E hai dovuto cambiare anche il nome, nonno?”
“Sì. Dovevamo usare dei nomi giapponesi. Anche il campione che vinse, vinse per il nemico. Vinse per il Giappone.”
“Che ingiustizia!” urlai, alzandomi in piedi. “Non è giusto!”.
“Per questo questa medaglia deve rimanere nel cassetto, chiusa a chiave. Come la storia che vi ho raccontato.”
Ma il nonno sapeva benissimo che io e la mamma non avremmo mai potuto tenere nascosta una storia così bella. La mamma si mobilitò. Lo raccontò alla zia Hun e a tutte le sue amiche. Scrisse al giornale locale, che volle subito fare un’intervista al nonno. Ma non era abbastanza. Contattò anche il ministro dello sport e la federazione di atletica. Tutti dovevano sapere che il nonno aveva vinto una medaglia ai Giochi Olimpici. E lo sapranno. Lo saprà tutto il mondo. Perchè il mio nonnino, e il suo amico che aveva vinto la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino, porteranno la fiaccola all’inaugurazione delle Olimpiadi di Seul, tra quattro anni. Nella nostra Corea e, finalmente, per la nostra Corea.